Storia di una fusione che unì due storie, due tradizioni, due anime della città. Una nascita travagliata, frutto di necessità e compromessi, ma che diede vita a una delle realtà più affascinanti del calcio italiano.
Nel 1900 giunse a Genova dalla Svizzera un giovane di diciott’anni. Lo chiamavano Franz, ma il suo vero nome era Francesco Calì, nato a Ginevra da genitori catanesi. Questo ragazzo, con una passione bruciante per il “foot-ball“, non poteva immaginare che avrebbe scritto pagine memorabili nella storia del calcio italiano.
Appena giunto nella città della Lanterna, Franz si unì ai fratelli Pasteur, fondatori del Genoa Cricket and Football Club. E sempre in quell’inizio di secolo fondò la sezione calcio dell’Andrea Doria. L’entusiasmo per questa nuova creatura era tale che la squadra disputò la sua prima partita già l’11 agosto del 1900, presumibilmente a Novi Ligure. Fu l’inizio di una nuova era per il calcio ligure, con la formazione doriana che si distingueva già per la sua caratteristica maglia a quarti bianco e blu.
Il Derby della Lanterna – Nasce una rivalità
Il 9 marzo 1902 è una data che ogni tifoso genovese dovrebbe conoscere. In quel giorno, su un campo vicino al torrente Bisagno, si disputò il primo Derby della Lanterna. Il Genoa, già quattro volte campione d’Italia, si impose per 3-2 sull’Andrea Doria. Ma quel risultato era solo l’inizio di una rivalità destinata a durare nel tempo.
L’atmosfera di quel primo derby era elettrica. Pochi spettatori, è vero, ma tutti già contagiati dalla passione per questo nuovo sport. Il campo, poco più di una spianata, era circondato da tifosi curiosi e entusiasti. La partita fu combattuta, con capovolgimenti di fronte e momenti di tensione. Alla fine, la maggiore esperienza del Genoa prevalse, ma tutti capirono che era nato qualcosa di speciale.
Franz Calì, pur sconfitto, non si perse d’animo. Sapeva che la sua creatura, l’Andrea Doria, aveva già ottenuto una vittoria solo confrontandosi alla pari con i campioni del Genoa. Negli anni successivi, il derby divenne un classico del calcio italiano, con l’Andrea Doria che si fece sempre più temibile.
Il 1907 segnò una svolta epocale: l’Andrea Doria di Cali riuscì nell’impresa di eliminare il Genoa dal campionato, qualificandosi per la fase finale. Era il segnale che gli equilibri stavano cambiando, e che Genova non era più solo rossoblù. Quella vittoria fu celebrata dai tifosi doriani come una vera e propria conquista dello scudetto. Per le strade di Genova, i sostenitori dell’Andrea Doria sfilavano orgogliosi, consapevoli di aver scritto una pagina storica del calcio cittadino.
Oltre la Collina: l’Arrivo della Sampierdarenese
Mentre Genoa e Andrea Doria si contendevano il primato cittadino, oltre il promontorio di San Benigno stava nascendo una nuova forza calcistica. Nel 1911, un gruppo di studenti fondò la sezione calcio della Società Ginnastica Comunale Sampierdarenese.
All’inizio, la Sampierdarenese sembrava destinata a rimanere una realtà periferica. Il suo campo a Cornigliano distava mezz’ora di tram dal centro di Genova. Ma i “cugini di fuoriporta” non ci misero molto a farsi notare. La loro ascesa fu rapida e sorprendente, alimentata dalla passione di una comunità che vedeva nella squadra un simbolo di identità e orgoglio locale.
Nel giro di pochi anni, la Sampierdarenese (temporaneamente rinominata Liguria) si iscrisse al massimo campionato. La sua scalata fu inarrestabile: dalla Terza Categoria alla Serie A in poco più di un decennio. Nel 1922, raggiunse addirittura la finale del campionato FIGC, perdendo solo dopo tre combattutissime partite contro la Novese.
Con la sua maglia bianca attraversata da una banda rossonera, la Sampierdarenese era ormai entrata nell’élite del calcio nazionale. Il suo stile di gioco, caratterizzato da grinta e spirito combattivo, rifletteva perfettamente il carattere della sua gente: lavoratori del porto e delle fabbriche, abituati alla fatica e mai domi.
La Grande Genova e la fusione forzata
Il 1927 segnò un punto di svolta per la città e per il suo calcio. Il regime fascista varò il progetto della “Grande Genova“, un’operazione urbanistica che cancellò il promontorio di San Benigno e inglobò Sampierdarena nel comune di Genova. Fu un cambiamento epocale per la città, che vide i suoi confini espandersi e la sua identità ridefinirsi.
Questo cambiamento si riflesse anche sul calcio. I gerarchi fascisti (poco amanti delle frammentazioni: vedi Milano e Roma), imposero la fusione tra Sampierdarenese e Andrea Doria. Fu un momento traumatico per i tifosi di entrambe le squadre, che videro le loro identità cancellate con un colpo di penna. Nacque così la Dominante, con una poco allegra maglia nera a risvolti verdi, colori che riflettevano più l’ideologia del regime che la tradizione calcistica genovese.
Il nome altisonante non portò fortuna: in tre anni, la Dominante precipitò in Serie C. Era come se la squadra, privata delle sue radici, avesse perso anche la sua anima calcistica. Seguirono nuove fusioni e cambi di nome, in un turbinio di trasformazioni che disorientava tifosi e giocatori.
Ci volle il ritorno di Luigi Cornetto, uno dei fondatori della Sampierdarenese, per riportare un po’ di ordine nel caos. Quando il segretario del fascio lo chiamò, implorando il suo aiuto per salvare il Liguria (l’ennesima incarnazione della squadra), Cornetto rispose con fierezza: “Io al massimo potrei salvare la Sampierdarenese“. Fu un atto di resistenza e di orgoglio, che permise alla squadra di recuperare la sua identità.
Sotto la guida di Cornetto, la squadra (che nel frattempo aveva ripreso il suo vecchio nome) tornò in Serie A nel 1934. Fu un momento di rinascita, celebrato dai tifosi come un ritorno alle origini. La promozione fu ottenuta grazie a una squadra che mescolava sapientemente giovani talenti locali e prestiti illustri, come il portiere Manlio Bacigalupo, primo di una dinastia che avrebbe lasciato il segno nel calcio italiano.
Tre squadre per una città
La Seconda Guerra Mondiale sconvolse l’Italia e il suo tessuto calcistico. Genova, città portuale e industriale, fu duramente colpita dai bombardamenti. Il calcio passò comprensibilmente in secondo piano, ma rappresentava anche un modo per la popolazione di evadere, almeno per qualche ora, dagli orrori della guerra.
Alla ripresa delle attività, Genova si ritrovò con tre squadre in Serie A: il Genoa, la Sampierdarenese (che aveva ripreso il suo nome originario) e l’Andrea Doria, reintegrata nel massimo campionato per riparare ai torti subiti durante il fascismo. Era una situazione unica in Italia, che testimoniava la grande tradizione calcistica della città, ma che si sarebbe presto rivelata insostenibile.
La stagione 1945-46 fu disastrosa per tutte e tre le squadre genovesi. L’Andrea Doria si classificò quint’ultima, il Genoa terzultimo e la Sampierdarenese addirittura ultima. Il campionato, diviso in due gironi per le difficoltà di spostamento nel paese devastato dalla guerra, vide le squadre genovesi lottare più per la sopravvivenza che per la gloria.
Era chiaro che qualcosa doveva cambiare. L’Andrea Doria era destinata a ripartire dalla Serie B, mentre la Sampierdarenese, pur avendo diritto alla Serie A, era sull’orlo del fallimento. La guerra aveva prosciugato le risorse economiche, e mantenere tre squadre ad alto livello era un lusso che la città non poteva più permettersi.
La soluzione era nell’aria: una nuova fusione. Ma questa volta non sarebbe stata imposta dall’alto, come durante il fascismo. Sarebbe stata una scelta dolorosa ma necessaria, presa dai dirigenti delle società con il sostegno della Federazione, che vedeva di buon occhio la razionalizzazione del panorama calcistico cittadino.
Nasce la Sampdoria: un parto travagliato
L’estate del 1946 fu cruciale per il calcio genovese. I dirigenti dell’Andrea Doria e della Sampierdarenese si incontrarono per dar vita a una nuova realtà calcistica. Non furono trattative facili: c’erano tradizioni da rispettare, tifoserie da accontentare, equilibri da mantenere.
I doriani misero sul piatto i soldi (ben 18 milioni di lire, che valsero alla nuova squadra il soprannome di “milionaria”), mentre i sampierdarenesi portavano in dote il titolo sportivo per la Serie A. Era un matrimonio di convenienza, ma che avrebbe dato vita a una delle squadre più amate d’Italia.
Ma come si sarebbe chiamata la nuova squadra? La questione non fu di facile soluzione. Doria-Samp o Samp-Doria? La Federcalcio propendeva per Doria-Samp, e anche un sorteggio confermò questa scelta. La Lega Calcio, nei suoi documenti ufficiali, inserì la nuova squadra alla lettera “D”.
Tuttavia, il dibattito continuò a lungo. A metà agosto, la Gazzetta dello Sport propose addirittura di chiamare la squadra “Unione Sportiva Liguria“. Ma alla fine, il 30 agosto 1946, venne annunciata la decisione definitiva: sarebbe stata Sampdoria, con buona pace di tutti.
La Gazzetta dello Sport commentò con un certo scetticismo:
«Dunque l’han battezzata Samp-Doria. È stato un parto molto laborioso e alla fin fine non troppo felice. Sembrava, la settimana scorsa, che le due correnti in lotta si fossero accordate sulla denominazione Unione Sportiva Liguria. E la barbosa istoria fu sul punto di terminare una volta per sempre. Invece, poi, han voluto tornarci su. Duri da una parte, macigni dall’altra. Ed è saltato fuori, definitivamente, quel Samp-Doria che dà i brividi su per la schiena. Mica non dormiremo per questa soluzione infelice. Ma vi par di sentirli i tifosi gridare: “Forza Samp-Doria”? No davvero».
Il tempo avrebbe dimostrato quanto si sbagliasse. Quel nome, che all’inizio sembrava così poco naturale, sarebbe diventato un grido di battaglia per generazioni di tifosi.
I colori di una leggenda
Risolto il problema del nome, restava da definire la maglia. Come conciliare il biancoblù dell’Andrea Doria con il bianco, rosso e nero della Sampierdarenese? Era una sfida non solo estetica, ma simbolica: la nuova maglia doveva rappresentare l’unione di due storie, di due identità.
La soluzione fu un capolavoro di design sportivo: una maglia blu con una fascia orizzontale bianca, attraversata da una striscia rossa e una nera. Al centro, lo stemma della Repubblica di Genova. Una combinazione che all’inizio suscitò qualche perplessità, ma che sarebbe diventata una delle divise più iconiche del calcio italiano e non solo.
Quella maglia era più di un semplice indumento sportivo: era un manifesto. Il blu dominante ricordava il mare di Genova e il cielo della Liguria. La fascia bianca era un ponte tra passato e futuro, mentre il rosso e il nero rendevano omaggio alla storia della Sampierdarenese. Lo stemma della Repubblica di Genova al centro era un richiamo alle radici profonde della città, alla sua storia di potenza marinara e commerciale.
Quando la nuova maglia fu presentata al pubblico, ci fu un momento di silenzio, seguito da un’ovazione. I tifosi capirono immediatamente che quella combinazione di colori non era solo bella: era perfetta. Era la Sampdoria.