Al Phillips Stadium di Eindhoven, il PSV scrisse una pagina indelebile del calcio olandese demolendo la squadra di Rotterdam con uno storico e impietoso 10-0.
Il Phillips Stadium di Eindhoven si stagliava contro il cielo grigio in quella domenica di ottobre, ignaro di stare per ospitare una delle partite più incredibili nella storia del calcio olandese. Era il 24 ottobre 2010, una data che sarebbe rimasta impressa a fuoco nella memoria dei tifosi del Feyenoord. Sì, perché ci sono partite che cambiano la storia di un club, altre che la segnano indelebilmente come cicatrici. Questa fu entrambe le cose.
Nel calcio olandese, gli anni 2000 stavano volgendo al termine in modo peculiare. L’Ajax dominava ancora, ma nuove forze emergevano: l’AZ Alkmaar di Louis van Gaal aveva sorpreso tutti, il Twente si stava affacciando ai vertici. In questo contesto di cambiamento, nessuno poteva immaginare che stava per consumarsi una delle più grandi umiliazioni mai viste su un campo da calcio professionistico. Il risultato finale (spoiler!) di 10-0 non fu solo un numero sul tabellone, ma divenne il simbolo di un’epoca, il momento in cui uno dei club più prestigiosi d’Olanda toccò il punto più basso della sua storia.
Due squadre, due mondi

La crisi del Feyenoord non era arrivata all’improvviso. Anni di gestione finanziaria discutibile avevano portato il club sull’orlo del baratro. Il glorioso club di Rotterdam (una Coppa Campioni e 2 Coppe UEFA) si trovava costretto a una politica di austerity che aveva trasformato la prima squadra in poco più che una formazione “Primavera”.
Mario Been, l’allenatore, si trovava a gestire una situazione paradossale. La sua panchina era popolata da ragazzini che in condizioni normali avrebbero dovuto fare la trafila nelle giovanili. Stefan de Vrij, che sarebbe diventato uno dei migliori difensori d’Europa, all’epoca era poco più che un adolescente. Georginio Wijnaldum, futuro campione del Liverpool, cercava di gestire un centrocampo con la sua esperienza da diciannovenne. La presenza del quarantunenne Van Dijk in porta era l’unica concessione all’esperienza, più per necessità che per scelta.
Il PSV, dall’altra parte, viveva un momento di transizione, ma manteneva una struttura solida. Fred Rutten poteva contare su una rosa che mescolava sapientemente gioventù ed esperienza. Ibrahim Afellay era il gioiello della corona, un talento che il Barcellona avrebbe presto portato in Catalogna. Attorno a lui, giocatori come Wilfred Bouma e Orlando Engelaar fornivano quella spina dorsale di esperienza che al Feyenoord mancava drammaticamente.
L’inizio della fine: i primi 45 minuti
Quel pomeriggio il destino sembrò accanirsi contro il Feyenoord con una precisione chirurgica. La perdita del capitano Fer dopo soli 14 minuti non fu solo un cambio forzato, ma un colpo al morale di una squadra già fragile. La sua sostituzione con El Ahmadi modificò gli equilibri tattici che Been aveva faticosamente costruito.
E l’espulsione di Leerdam al 34° minuto fu il classico esempio di come una situazione difficile possa precipitare. Il giovane terzino, già ammonito, commise un fallo tattico che in altre circostanze sarebbe potuto essere considerato “intelligente”. In quel contesto, si rivelò fatale. Been fu costretto a riorganizzare ulteriormente la squadra, inserendo il giovanissimo Bruno Martins Indi e sacrificando l’attaccante Schaken.
Il doppio vantaggio del PSV prima dell’intervallo, con i gol di Reis e Afellay, sembrava già una montagna da scalare. Nessuno, però, poteva immaginare che quella montagna stava per trasformarsi in un Everest di umiliazione…
Il secondo tempo del terrore

Quando le squadre rientrarono in campo per il secondo tempo, il Phillips Stadium era già in festa per il 2-0. Ma nessuno, nemmeno il più ottimista dei tifosi del PSV, avrebbe potuto prevedere lo tsunami che stava per abbattersi sul Feyenoord. I primi due minuti della ripresa furono un presagio dell’incubo: Jonathan Reis trovò il terzo gol con una facilità disarmante, seguito due minuti dopo da Toivonen. 4-0 e non erano passati nemmeno cinque minuti.
La difesa del Feyenoord si dissolse come neve al sole. André Bahia, che avrebbe dovuto essere il punto di riferimento difensivo, sembrava un fantasma in campo. I giovani De Vrij e Martins Indi, futuri pilastri della nazionale olandese, quel giorno apparivano come scolaretti alla prima partita. Il PSV si muoveva come se stesse giocando una partitella d’allenamento, con una facilità quasi imbarazzante.
Jeremain Lens e Dzsudzsák iniziarono il loro personale show, trasformando ogni azione offensiva in un potenziale gol. Il veterano Van Dijk, a 41 anni, viveva probabilmente il momento più difficile della sua lunga carriera, raccogliendo palloni dal fondo della rete con una regolarità devastante.
The day after

Rotterdam si svegliò il lunedì mattina con un senso di irrealtà. I giornali faticavano a trovare le parole per descrivere quanto accaduto. “De Telegraaf” titolò semplicemente “Apocalisse a Eindhoven“, mentre l’Algemeen Dagblad optò per un più diretto “La Vergogna di Rotterdam“.
Nel quartier generale del Feyenoord, il silenzio era assordante. Mario Been, con gli occhi arrossati ma la schiena dritta, affrontò la stampa con una dignità sorprendente. Le sue parole sul pianto interiore e sull’amore per il club divennero immediatamente parte della narrativa di quella tragedia sportiva. La dirigenza, contrariamente alle aspettative, decise di confermargli la fiducia, riconoscendo che i problemi del club andavano ben oltre una singola, per quanto catastrofica, sconfitta.
Epilogo
Quel 10-0 si trasformò in una sorta di anno zero per il Feyenoord. La squadra chiuse quella stagione al decimo posto, il peggior piazzamento della sua storia recente, ma paradossalmente quella umiliazione servì da catalizzatore per un cambiamento profondo.
I giovani che vissero quella disfatta ne uscirono temprati. Wijnaldum divenne un punto fermo del Liverpool campione d’Europa, De Vrij si affermò come uno dei migliori difensori della Serie A, Martins Indi trovò la sua dimensione in nazionale. Il club stesso, negli anni successivi, intraprese un percorso di risanamento che lo avrebbe portato a riconquistare il titolo nazionale già nel 2017.