La storia del Calciomercato

Parte 2: Il De Bello Gallia

Con il «boom» del dopoguerra, nasce l’organizzazione di Paolo Mazza e Gipo Viani. Per le trattative, diventa sede stabile il lussuoso e mitico albergo milanese, dove si combattono battaglie a suon di centinaia di milioni

IL MASSICCIO arrivo degli «oriundi» non può non riservare sgradite sorprese: ci sono i campioni, autentici, ma ci sono anche, e in maggior misura, i «bidoni». Le società si affidano, per le referenze e le trattative, a mediatori spesso improvvisati che battono le rotte del Sudamerica, Uruguay ed Argentina in particolare; due paesi nei quali è più facile trovare un po’ di sangue italiano nelle gambe dei calciatori. Se la Lazio resta la più scornata, la Juventus e l’Inter si dimostrano le più avvedute, e fors’anche un po’ fortunate, azzeccando gli acquisti: De Maria, De Vincenzi, Faccio, Porta, i fratelli Ferrara, Mascheroni e Scarone che indossano la maglia nerazzurra; Sernagiotto, Cesarini, Monti, Orsi che invece vestono la casacca bianconera.

RAGGIRI. Vengono un po’ all’avventura. Spesso, questi oriundi, restano vittime di raggiri. Emanuele Carta, commerciante di pasta a San Paolo, segnala addirittura per lettera alla Juventus il nome di Pietro Sernagiotto. L’Agnelli di turno alla presidenza della società bianconera, legge che si tratta di un giocatore piuttosto piccolo – e lo vede nella foto che accompagna la «segnalazione» – ma dotato di grandissima rapidità di esecuzione, abile nel dribbling e preciso nel tiro, senz’altro il migliore della squadra «Palestra Italia» che pare già un ottimo auspicio. Bastano poco più di ventimila lire – Orsi è costato 45 mila lire – per il trasferimento di Sernagiotto alla Juventus. Ma quando arriva scoppia la grana. Sulla nave che dal Brasile lo porta a Genova il neo-juventino viene raggirato da alcuni mediatori che in pratica fanno la spola fra i due continenti, pendolari del calcio-mercato. Firma un contratto fasullo che viene però portato a conoscenza della Federazione. Sernagiotto sbarca a Genova nell’estate del 1931, va aTorino, conosce la Juventus ma… resta appiedato per un anno: squalificato per la storia dei due contratti. Indossa la maglia bianconera nel 1932-33 e vince subito lo scudetto.

COMANDI. Sono spesso dirigenti attivi del partito fascista i presidenti delle società. Così taluni trasferimenti avvengono tramite conoscenze altolocate, in cambio di determinati favori che non sempre hanno carattere calcistico o sportivo. O addirittura sono «comandati». È il caso di Annibale Frossi, che gioca nel Padova. Il 12 settembre 1935 il caporal maggiore Frossi, fante della «Gran Sasso», è imbarcato sulla motonave «Saturnia» nel porto di Napoli. Mancano poche ore per la partenza per l’Africa Orientale, c’è l’Impero da conquistare. Serena, successore di Starace alla segreteria del partito, dà ordine che il «caporal maggiore Frossi Annibale deve scendere». E di persona spiega allo stupefatto fante che, anziché andare a combattere in Etiopia, giocherà nella squadra dell’Aquila. Un attaccante così, che il ct. Pozzo già aveva adocchiato per la Nazionale olimpica, può guidare la compagine abruzzese alla promozione promessa da Serena. Al posto di Frossi parte per l’Africa Bruno Vecchiet. Frossi si distingue, viene poi provato dalla Lucchese e subito, per 50 mila lire, finisce all’Inter.

BALILLA. I mondiali vinti nel 1938 in Francia mettono in orbita le due ali della Triestina: Pasinati e Colaussi. L’uno va subito dopo al Milan, Colaussi nell’estate di guerra 1940 approda alla Juventus. La società alabardata fa il colpo, circa 65 mila lire per l’ala destra (che gioca anche da mediano) e 100 mila lire per l’ala sinistra. Sono le nuove cifre-record del mercato. Sono i tempi di Peppino Meazza e di Piola. Il «balilla», simbolo dell’Inter, soffre di un male misterioso, è questa l’origine del clamoroso trasferimento ai cugini rossoneri del Milan. Il fine dicitore nerazzurro lamenta dolori al piede, un’arteria non permette il regolare afflusso del sangue. Meazza decide di farsi operare per riprendere la piena efficienza. Quando torna all’attività l’Inter però si trova già a ranghi completi. Il Milan ha il cannoniere Boffi, gli manca un cervello. Il 29 novembre 1940 il grande annuncio: Meazza cambia l’azzurro con il rosso accanto alle strisce nere, la maglia non è quella dell’Inter bensì quella del Milan.

TITOLO GRATUITO. Il «Corriere della sera» riporta il comunicato ufficiale: «Il presidente dell’Ambrosiana-Inter ed il commissario straordinario del Milano (erano queste le denominazioni ufficiali delle due società meneghine) si sono incontrati per trattare la cessione del giocatore Giuseppe Meazza. L’accordo fu raggiunto in virtù del desiderio dell’Ambrosiana-Inter di giovare alle migliori affermazioni calcistiche cittadine. Poiché l’atto compiuto dell’Ambrosiana-Inter conservasse il suo alto significato di solidarietà e di collaborazione sportiva la cessione è stata fatta a titolo completamente gratuito». Questo singolare accordo porta le firme di Fernando Pozzani (conosciuto come «generale Po») per l’Ambrosiana-Inter e di Umberto Trabattoni per il Milano.

GUERRA. Le truppe italiane invadono l’Albania. Chi sa che nel Paese appena occupato ci sono alcuni calciatori di talento? La Juventus e la Roma, pronte a sfruttare la situazione. Lustha e Krieziu, questi i due campioni albanesi, diventano italiani per effetto della guerra. La mezzala Lustha scopre il Piemonte, completa l’attacco della Juventus, mentre l’ala destra Krieziu si ferma nella Capitale e fa parte della squadra che nel 1941-42 conquista lo scudetto. Intanto che la guerra si allarga, qualcuno scopre la conduzione «aziendale» – ma non si può dire «manageriale», visti i tempi – delle società di calcio. L’innovatore è – scusate il gioco di parole – il commendator Ferruccio Novo. Nel campionato va di moda il Venezia, trascinato dal tandem Loik-Mazzola. Il presidente granata comincia a creare quello che è destinato a diventare il «grande Torino» prelevando proprio Ezio Loik e Valentino Mazzola: dalla Laguna al Po, dalla maglia neroverde a quella granata. Il prezzo di un milione per la coppia di mezze-ali più forte e meglio affiatata del calcio italiano dimostra il lievitare dei costi, dovuto anche all’ingresso di Novo nella trattazione di questi affari. Novo diventa il polo del mercato. Per somme di poco inferiori alle 100 mila lire il suo Torino acquista ancora Ballarin e Grezar dalla Triestina, poi Castigliano dallo Spezia ed infine Gabetto dalla Juventus. Il passaggio dell’elegante centravanti da una riva all’altra del Po solleva discussioni e polemiche, ma mai come per quello di Peppino Meazza dall’Ambrosiana Inter al Milan. Il clima bellico incombe sempre di più.

RICOSTRUZIONE. Nell’immediato dopoguerra esplode il calcio. C’è da ricostruire anche il mondo del pallone, che già qualche anno prima stava assumendo una veste manageriale per iniziativa del commendator Novo presidente del Torino. Mancano però i giovani, conseguenza diretta del periodo bellico, e si riaprono le frontiere per rinsaguare le nostre squadre, nell’intento pure di non far scadere il contenuto tecnico dei campionati. Ed è in tale contesto che il mercato fa notizia. Vi si affacciano due personaggi che resteranno inimitabili: Paolo Mazza, presidente della Spal, che riassumeva in sé anche le funzioni e le mansioni del segretario-manager, e Giuseppe «Gipo» Viani, che tra una disputa e l’altra per contendere a Rocco la paternità del «calcio all’italiana» – con l’impiego cioè del libero, già adottato dal capitano Barbieri con la squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia nel campionato di guerra 1943-44 e prima ancora ideato da Banas nel Padova nel quale militava proprio Rocco – fiuta il futuro. Viani porta la Salernitana in Serie A e, mentre arrivano a frotte gli stranieri, i sudamericani più o meno oriundi, più o meno autentici campioni, e si scopre anche il filone europeo, «Gipo» manovra i trasferimenti alla corte del principe Raimondo Lanza di Trabia.

GALLIA. Lo stravagante quanto ricchissimo nobile siciliano, padrone del Palermo, frequenta il «Gallia» con una scelta che precorre i tempi: vicino alla stazione ferroviaria di Milano, è il salotto degli uomini d’affari. Diventa il centro del mercato. Il principe accentua, con il mercato, il proprio carattere stravagante: riceve Mazza e Viani, i presidenti che «contano» (Dall’Ara, Dusio, Befani, Masseroni, Sacerdoti, Novo, Lauro ecc.) nel suo appartamento, anzi addirittura nel bagno dove ha fatto installare il telefono. E li riceve in costume adamitico. Le sue vestaglie di seta restano in valigia. Dapprima qualcuno di questi personaggi, padri del ricostruito calcio italiano, resta esterrefatto; poi diventa un’abitudine. Una nota di colore.

TRIO SVEDESE. Giocano in Italia autentici campioni, come il trio svedese Gren-Nordhal-Liedholm ricostituito dal Milan dopo l’exploit svedese all’Olimpiade di Londra 1948; come i danesi John e Karl Hansen, Praest, che si sono messi in luce giocando contro gli azzurri olimpici; come l’ungherese Nyers, gli argentini Verdeal, Martino, Curti, Ricagni. E sì potrebbe allungare l’elenco dei «bravi». Ma arrivano anche i «bidoni», addirittura le controfigure. I sudamericani Bovio, Cerioni, Pedemonte e Zapirain vedono la neve all’Arena e piantano in asso l’Inter. C’è il curioso affare di Felix Benegas, centravanti del Paraguay avversario dell’Italia ai mondiali del 1950 in Brasile, che approda alla Triestina. Ma resta sempre il dubbio che non fosse il vero «9» paraguayano, bensì il fratello; dubbio provocato dall’insufficienza tecnica del giocatore…

IL MEDIANO IN REGALO. A Milano operano sempre di più Mazza e Viani, il principe Lanza di Trabia acquista il danese Bronèe, poi sposa l’attrice Olga Villi e sorge l’aneddoto che le abbia «regalato» il mediano laziale Fuin, finissimo palleggiatore. Dalla Scandinavia, dove opera Pagliarini, arriva il centravanti Jeppson, «fiutato» dal dirigente atalantino Tentorio. Un anno in maglia nerazzurra bergamasca, poi il clamoroso colpo: il comandante Lauro lo porta a Napoli. Prezzo da capogiro: 105 milioni. E l’inizio di un mercato sempre più folle. Mazza si rivela grandissimo talent-scout. Viani un organizzatore eccezionale. La coppia ha in mano il mercato. Mazza mette a segno alcuni colpi notevoli: preleva l’ala Astorri per 250 mila lire dallo Schio e lo rivende per due milioni alla Juventus; cede il trio De Lazzari, Montanari, Brandolin alla Lazio a dodici volte il prezzo pagato all’origine; preleva per tre milioni Pandolfini dalla Fiorentina e lo rivende sempre ai viola per 15 milioni. Il mediano Nesti costa 700 mila lire, passa all’Inter per 35 milioni; decuplica il valore dell’ala Frizzi.

ORGANIZZAZIONE. Viani allestisce una fitta rete di informatori, opera per tutte le società, per tutti quelli che gli chiedono consigli. Dirige un’organizzazione capillare. Il cinquanta per cento dei movimenti del mercato è sotto suo controllo. Ad ogni affare allarga i confini della sua tenuta agricola a Nervesa della Battaglia. I maligni dicono che «Gipo» battezza i capi di bestiame con i nomi dei giocatori che ha venduto… Di vero è che egli è un professionista che domina un ambiente dilettantistico, guidato da mecenati. Viani «inventa» le opzioni sui giocatori a campionato ancora in corso, per bruciare la concorrenza. Ricorre persino a trucchi. Frignani, ad esempio, passa all’Udinese parecchi giorni dopo la chiusura delle liste: basta far apporre sull’espresso con cui si notifica il trasferimento un timbro retrodatato… Il mercato registra l’arrivo di altri intermediari che cominciano a far concorrenza a Viani ed a Mazza: il toscano Giacchetti «inventa» le comproprietà quando si deve definire lo status di Dell’Angelo fra la Fiorentina e il Prato.

L’ASSEGNO DI LAURO. Mazza in pochi minuti vende al Napoli il portiere Bugatti per 55 milioni: Lauro gli consegna un cartoncino ricavato da un pacchetto di sigarette svizzere sul quale ha scritto «pagate 55 milioni» e sotto ci ha messo l’autografo. «Vai alla Commerciale», dice a Mazza. Il giorno dopo il presidente della Spal riscuote tranquillamente 55 milioni presentando quel bigliettino allo sportello dalla Banca Commerciale di Palermo. Lauro è sindaco di Napoli. Il calcio gli serve anche per la sua immagine di primo cittadino. Nel 1960 batte il record di Jeppson: paga 375 milioni per l’accoppiata Pivatelli-Ronzon offertagli da Viani. I giornali scrivono che non ci sono più frontiere.

ALLODI. Il calcio-mercato diventa il fenomeno dei tempi. A Milano confluiscono sempre più operatori, consiglieri, accompagnatori, curiosi. Il «Gallia» diventa il polo dell’attenzione estiva. All’orizzonte spunta Italo Allodi; dal Mantova all’Inter, dalla provincia alla corte di Moratti che fa grande la squadra nerazzurra. Allodi riassume le doti di Viani e il fiuto di Mazza. In breve li supera. Nel 1961 porta a Milano lo spagnolo Suarez: 280 milioni, nuovo record per un giocatore. La dimensione aumenta, è ormai un fatto di costume. Si entra nella vera epoca manageriale, precorsa da Viani, perfezionata da Allodi. I presidenti di società cambiano, uno degli ultimi mecenati resta il conte Marini Dettina presidente della Roma, il quale vuole assumere Mazza (gli offre 50 milioni l’anno) perché diventi general-manager della società giallorossa; e per acquistare giocatori – non sempre valgono sul campo quanto gli costano – deve sacrificare alcuni capolavori di Tintoretto o Tiepolo intaccando il patrimonio di famiglia.

SCUDETTO DEL GALLIA. La stampa assegna «lo scudetto del Gallia» alla squadra che mette a segno il colpo più importante. L’atmosfera nell’albergo milanese cambia e peggiora ogni estate, si espande sempre più il profumo dei milioni. A centinaia. Quando sta per scoccare la mezzanotte dell’ultimo giorno, quando il mercato «chiude», il presidente interista Moratti raduna stampa e presidenti, gli operatori più conosciuti, nel bar dove Oscar, il barman che assiste a molte contrattazioni ma custodisce gelosamente i segreti, stappa bottiglie di champagne. E un tocco di classe cui Moratti tiene. Intanto la Juventus nel 1962 stabilisce il nuovo primato: alla riapertura delle liste, in ottobre, preleva dalla Sampdoria l’ala Mora per 350 milioni. I bianconeri hanno un’ala vera, dopo che Dell’Omodarme ha fatto il pendolare fra Ferrara e Torino, andata e ritorno con aumento notevole di prezzo, da 30 a 220 milioni. E Mazza sorride.

SENSAZIONE. Ogni estate è scandita da colpi a sensazione: mezzo miliardo nel 1963 per Sormani dal Mantova alla Roma; 525 milioni l’anno dopo per Meroni dal Como al Torino (ad affare concluso, Rocco, allenatore granata, raccomanda al giocatore venuto al Gallia per presentarsi al neo-presidente Pianelli: «Bisognerebbe tenerti in vetrina sotto una campana di vetro…»). L’ambiente del mercato comincia però a degradarsi. Nella confusione del «Gallia» si intrufolano troppi curiosi, arrivano dirigenti di società persino di Serie D, con il viaggio pagato dalla colletta degli amici. Bisogna essere al Gallia, questa la moda. E lo status symbol. Arrivano a frotte. E non tutti, poi, pagano il conto…