La storia del Calciomercato

Storie di Calciomercato: 1970- Juve e Roma salto triplo

Nel 1970 i grandi protagonisti del Gallia furono Allodi e Picchi, che stavano per porre le basi della grande Juventus, e due personaggi di casa bolognese: Filippo Montanari, il presidente, e «Mondino» Fabbri…

QUANDO Italo Allodi faceva il suo ingresso al «Gallia», un lungo brivido percorreva le turbe di cronisti in fremente attesa di ghiotte novità. Sempre impeccabilmente vestito di bianco, incredibilmente fresco e brillante nonostante la calura di una Milano tormentata da un caldo africano, Italo Allodi aveva un sorriso, una parola, una bugia per tutti. «Amico carissimo, come va? Tutto bene? Serve niente? Ah, vuoi sapere cosa ha combinato finora la mia Società? Caro, lo sai che io, Italo Allodi, non ho mai nascosto niente agli amici della stampa. Niente, purtroppo, ancora niente. Ma prima della chiusura del mercato non mancherò di darti qualche interessante primizia». Cosi, con tutti: dal più influente capataz al più sconosciuto novellino alle prime armi nella giungla del «Gallia».

NEL 1970 fu proprio Italo Allodi il grande protagonista del calcio-mercato. Era passato, clamorosamente, alla Juventus. Dico clamorosamente perché Allodi era stato, con Moratti e H.H., l’artefice dei successi mondiali dell’Inter, acerrima rivale di sempre della Società bianconera. Ritiratosi Moratti; emigrato il «mago» da Milano a Roma, Italo aveva fatto credere di essere sul punto di concedersi un po’ di riposo: invece stava per concludere, con Catella, il Presidente, e con Boniperti, longa manu dell’Avvocato in seno alla Juve, il trasferimento del secolo. Eccolo, infatti, alla Juve. Si porta appresso Armando Picchi, il capitano della grande Inter, un livornese di poche parole e di molti fatti, un uomo che, per oltre un decennio aveva incarnato come nessun altro lo spirito e le glorie della Società nerazzurra! Nessuno avrebbe mai immaginato, soltanto qualche mese prima, che Allodi e Picchi avrebbero cambiato tanto clamorosamente bandiera…

ITALO ALLODI approda alla Juve e cosa fa? Combina, immediatamente, una delle più sensazionali operazioni di mercato di tutto il calcio italiano! La Roma, Presidente Alvaro Marchini, figura di rilievo del PCI, dirigente contestato dalla piazza giallorossa sempre turbolenta, abbocca all’amo di Allodi. Che propone uno scambio sensazionale: la Juve, dice Italo, con la sua voce di sirena, è disposta a privarsi del fuoriclasse spagnolo Luis Del Sol (appena… trentacinquenne), già colonna del Real Madrid; di Gianfranco Zigoni e di Roberto Vieri, due attaccanti di enormi possibilità (nel fare casino n.d.r.) e di una discreta somma di denaro contante. In cambio, chiede alla Roma tre ragazzi di buone speranze: Fabio Capello, che Paolo Mazza, altro drago del «Gallia» si era fatto pagare uno sproposito per privarne la Spal; Luciano Spinosi, terzino e stopper di possibilità ancora tutte da chiarire e Fausto Landini, centravanti in sboccio. Ci state? Marchini ci sta; e firma, in pratica, la sua condanna a capro espiatorio della ennesima «rivoluzione» giallorossa. Infatti, di lì a un anno, sarà costretto a lasciare la Presidenza della Roma a Gaetano Anzalone, detto Gay, che fa leva sul malcontento popolare per la cessione dei tre gioielli giallorossi onde scalzare don Alvaro.

MA ALLODI non ha ancora finito. Certo Roberto Bettega, prodotto del vivaio juventino, era stato mandato a farsi le ossa a Varese, in comproprietà. Picchi, che aveva chiuso la sua favolosa carriera proprio nel Varese, dice a Italo di richiamare, ad ogni costo, il giovane attaccante alla corte juventina: è un fuori classe, garantisce Picchi, farselo scappare sarebbe autentica follia, E Bettega torna alla Juve, assieme a tale Franco Causio, di Lecce, che la Juve aveva acquistato dalla Sambenedettese per poi girarlo, in prestito, prima alla Reggina, poi al Palermo. Ma Allodi, che aveva osservatori dappertutto, dice a Catella e a Boniperti che bisogna richiamarlo all’ovile, guai a lasciarlo ancora in giro, ormai è maturo per il grande salto. Nasce così, sotto la guida sapiente di Italo, la grande Juve degli Anni Settanta. Perché nel ’72 Allodi completerà il suo capolavoro strappando Dino Zoff al Napoli: e assicurando alla Juve l’ultimo «tassello» di un mosaico che fu il nerbo della squadra più scudettata d’Italia per tutti gli anni settanta.

TUTTO QUANTO precede, comunque, si svolse lontano dal «Gallia». La Juventus non ha mai frequentato in forze il calcio mercato. Galleria San Federico, la sede juventina, ecco il fulcro delle trattative bianconere. Al «Gallia» andava una delegazione della Juve per trattare gli affari minori. Ma quelli sensazionali venivano regolarmente conclusi a Torino. E Allodi, dosando sapientemente le sue apparizioni milanesi, era una specie di specchio per le allodole: mentre gli intermediari, e i dirigenti interessati, trattavano con lui, Boniperti aveva già chiuso le trattative più clamorose, ovviamente iniziate e condotte da Allodi, ben lontano dal «Gallia»… Se Gipo Viani e il principe Lanza di Trabia inventarono il «Gallia»; se Paolo Mazza, il mago di campagna, il rabdomante dei campioni, il più astuto dirigente del nostro calcio per circa un trentennio, ha fatto epoca al «Gallia»; se Manlio Scopigno e Andrea Arrica hanno arricchito di aneddoti piccanti e divertenti la storia di un’epoca pittoresca e irripetibile del calcio, si deve ben dire che Italo Allodi, prima alla guida dell’Inter poi al timone della Juve, ha «fatto» il calcio-mercato.

NEL 1970, altro grande protagonista del «Gallia» fu indovinate chi? Il Bologna! Sissignori, proprio il Bologna di Filippo Montanari e di Edmondo Fabbri. Liquidato il povero Lambrugo, che tornò malinconicamente a Como; ceduto Lucio Mujesan al Verona e il generoso Turra al Brescia, la Società rossoblu azzeccò in fulminea successione, tre colpi magistrali. Dall’Udinese prelevò Adriano Fedele, un terzino di belle speranze che a Bologna avrebbe fatto epoca. Dalla Ternana giunse un napoletano praticamente sconosciuto, Francesco Liguori, mentre la Fiorentina decideva di dare via libera ad un calabrese estroso e bizzarro, quanto dotato di classe; Francesco Rizzo. Filippo Montanari, l’immancabile bocchino incollato alle labbra, e Mondino Fabbri, perennemente tormentato dai dubbi, finalmente si decisero a spalancargli le braccia. E Rizzo, che aveva vinto lo scudetto con la Fiorentina, arricchì i quadri del Bologna. Un grande Bologna, che si classificò al quinto posto, nonostante la brutale eliminazione di Liguori dalla scena calcistica per il grave incidente patito a San Siro, il 10 gennaio del ’71, ad opera di Romeo Benetti. Gli subentrò Gregori, ma il Bologna cambiò volto, nonostante la classe di molti dei suoi elementi di quel campionato favoloso; Vavassori, Roversi, Fedele, Cresci, Janich, Savoldi, Rizzo, Bulgarelli, l’estroso Bruno Pace (folgorante una battuta del pescarese al ritorno dei rossoblu da una breve tournee in USA. Disse, Pace, al sottoscritto; «Una mattina Edmondo Fabbri, seduto per terra nella Quinta Strada, penzolava coi piedi dai bordi del marciapiede…»).

COMUNQUE quel 1970 fu ricchissimo di trasferimenti clamorosi. Ricordo quello di Sandro Vitali dal Vicenza alla Fiorentina per una cifra sbalorditiva per quei tempi, oltre 600 milioni. Farina, altro temutissimo marpione, riuscì a piazzare il… colpo basso a Baglini e Pesaola. Dico colpo basso perché Vitali, che nel Lanerossi aveva segnato ben 17 reti, a Firenze fallì clamorosamente: 6 gol e disperazione dei dirigenti viola. Che dopo quella disastrosa stagione lo girarono al Cagliari. Poi Vitali tornò a Vicenza (per quattro soldi…) dove doveva chiudere tragicamente la sua breve, sfortunata esistenza. E ancora: fu l’anno del divorzio di Suarez dall’Inter (destinazione Sampdoria), del passaggio di Benetti dalla Samp al Milan (per la sfortuna di Liguori), di Frustalupi sempre dalla Samp all’Inter, di Fogli dal Milan al Catania, di Lodetti dal Milan alla Samp, di Amarildo dalla Fiorentina alla Roma, di Sormani dal Milan al Napoli, di Castellini dal Monza al Torino. Ma fu, soprattutto, l’anno della Juve di Italo Allodi e del Bologna di Montanari e Fabbri. I quali, non bisogna dimenticarlo, respinsero per l’ennesima volta i tentativi di Nereo Rocco di vestire Giacomo Bulgarelli con la maglia rossonera, per dar vita ad un trio centrale con Bulgarelli, Combin e Rivera. Ho ancora negli occhi il volto di Montanari e di Fabbri quando, tappati in un rovente taxi a due passi da via Turati, la sede del Milan, dissero di no a Bruno Passalacqua, il DS rossonero, che gli sventolava sotto il naso un assegno firmato da Franco Carraro con una cifra da capogiro: ottocento milioni (del 1970…). Li raccolsi fra le braccia, per riportarli al «Gallia» semisvenuti. Ma Bulgarelli era rimasto nel suo Bologna!

Alfeo Biagi