La straordinaria storia di Julius Hjulian

Campione in Svezia, pioniere al Celtic, giocò sotto gli occhi di Mussolini e aiutò gli americani a sconfiggere Hitler. C’è tutto nella vita di questo portiere svedese.

Nell’XI secolo, un monaco inglese di nome Eskil intraprese una missione destinata a finire in tragedia. Inviato in Svezia per convertire i pagani a ovest dell’attuale Stoccolma, interruppe un rito sacrificale e pagò con la vita il suo “zelo” religioso. La leggenda narra che i suoi seguaci, trasportando il corpo, dovettero fermarsi dopo 30 chilometri quando questo divenne inspiegabilmente pesante. Nel punto esatto dove lo deposero, sgorgò una sorgente d’acqua. Lì venne edificata una chiesa e, intorno ad essa, nacque Eskilstuna.

Nei secoli successivi, questa città si trasformò in un importante centro industriale, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Sheffield svedese” per la sua fiorente produzione di acciaio e ferro. Le sue fabbriche attiravano lavoratori da ogni angolo del paese, tra cui Carl August Hjulin, che iniziò come spalatore di carbone sui treni prima di diventare macchinista e, nel 1909, consigliere comunale per il Partito Socialdemocratico.

In questo contesto di ferro, fumo e ambizioni operaie, nel 1903 nacque il suo figlio più giovane, Julius. La famiglia viveva nel quartiere operaio di Nyfors, letteralmente dall’altra parte dei binari ferroviari – una demarcazione fisica che nella Svezia dell’epoca rappresentava anche un confine sociale. Il giovane Julius, dopo otto anni di scuola, seguì il destino di molti suoi coetanei, trovando lavoro come tornitore in una delle innumerevoli officine della città. Ma il destino aveva in serbo per lui un percorso molto diverso da quello dei suoi compagni di fabbrica.

Il miracolo del 1921

Nei primi anni ’20, il calcio svedese era un affare esclusivo delle grandi città. Stoccolma e Göteborg si dividevano i trofei come due monarchi assoluti, mentre le squadre di provincia potevano solo sognare la gloria. L’IFK Eskilstuna non faceva eccezione: nella primavera del 1921 si era piazzata penultima nel campionato nazionale, un risultato che confermava il loro ruolo di comprimari.

Ma nell’autunno dello stesso anno, qualcosa cambiò. Julius Hjulin, un portiere di appena diciotto anni cresciuto nel quartiere operaio, venne promosso titolare. La scelta sembrava azzardata: affidare la porta a un teenager in un torneo così importante pareva una follia. Eppure, il giovane portiere iniziò a collezionare clean sheet con una regolarità sorprendente.

Il sorteggio favorevole regalò all’IFK un bye nel primo turno. Poi arrivarono due vittorie consecutive contro squadre di Stoccolma, entrambe per 1-0, con Hjulin protagonista assoluto tra i pali. Ma fu in semifinale che il giovane portiere si consacrò definitivamente. Contro l’Helsingborg, favorito d’obbligo, Julius sfoggiò una prestazione memorabile, coronata da una parata decisiva negli ultimi minuti che preservò la vittoria per 1-0.

Mentre l’IFK festeggiava questa impresa storica, dall’altra semifinale arrivò un’altra sorpresa: lo Sleipner aveva eliminato l’Örgryte. Per la prima volta nella storia del calcio svedese, due squadre di provincia si sarebbero affrontate in finale.

La finale

L’alba del 16 ottobre 1921 vide la stazione centrale di Eskilstuna brulicare di tifosi già alle sei del mattino. Un treno speciale era stato organizzato per portare i sostenitori dell’IFK a Stoccolma, in un viaggio di quattro ore carico di speranze e tensione. Tra i macchinisti di quel giorno potrebbe esserci stato proprio Carl August Hjulin, il padre del giovane portiere.

Le recenti elezioni, le prime con suffragio universale in Svezia, avevano dato la vittoria ai Socialdemocratici, e i tifosi dello Sleipner, squadra operaia di Norrköping, lo vedevano come un segno del destino. La partita attirava anche la curiosità degli abitanti della capitale: 11.075 spettatori paganti, un record di affluenza per una finale.

Il primo tempo fu tattico e bloccato. Ma nella ripresa, lo Sleipner (il cui nome si ispirava al cavallo a otto zampe del dio Odino) prese il sopravvento. Il momento cruciale arrivò quando le nuvole si aprirono improvvisamente: il sole basso di ottobre accecò Julius Hjulin, che non poté nulla sul tiro degli avversari. 0-1.

Ma il giovane portiere non si perse d’animo. Quando Gösta Pettersson pareggiò, Julius corse a centrocampo per abbracciarlo, grato per avergli evitato l’onta eterna. E quando, a sei minuti dalla fine, Henning Olsson segnò il gol della vittoria, alzò le braccia al cielo prima di sistemarsi il cappello e prepararsi per gli ultimi, interminabili minuti. Non ci furono altri pericoli: l’IFK Eskilstuna aveva scritto la storia.

L’avventura americana: un nuovo nome, una nuova vita

Ma la gloria del titolo nazionale non poteva riempire gli stomaci vuoti della Svezia post-bellica. Nel 1922, con la disoccupazione che colpiva un quarto della popolazione di Eskilstuna, Julius Hjulin seguì le orme di suo fratello Paulinus verso l’America. Il dilettantismo forzato del calcio svedese non offriva alternative: a soli 19 anni, il giovane eroe della finale lasciò il suo paese.

All’arrivo a Ellis Island, come accadde a milioni di immigrati, il suo cognome venne americanizzato: Hjulin divenne Hjulian. Ma il cambio di nome non modificò il suo talento tra i pali. A Chicago, trovò lavoro presso la Pullman, azienda produttrice di vagoni ferroviari, che gli offrì anche un posto nella squadra aziendale. La condizione? Evitare i turni di notte per potersi allenare regolarmente.

Il successo fu immediato: nel 1923, Pullman FC vinse il campionato statale dell’Illinois, conquistando la Peel Cup. L’Harvey FC non perse tempo a metterlo sotto contratto, impressionato dalla sua abilità tra i pali. Julius si descriveva alla stampa locale come un portiere coraggioso: non particolarmente alto, ma potente e rapido nelle uscite. Caratteristiche che non passarono inosservate agli occhi di alcuni arbitri inglesi in tournée negli Stati Uniti, che gli suggerirono di tentare la fortuna in Gran Bretagna.

Per Julius, che non aveva mai avuto paura di rischiare, fu sufficiente questo suggerimento. Nel 1925, fece nuovamente le valigie, questa volta diretto verso la Scozia, dove lo attendeva una nuova, straordinaria avventura.

Pioniere in Scozia

Nel 1925 Glasgow era il cuore pulsante del calcio scozzese, e il Celtic uno dei club più prestigiosi al mondo. Il suo primo provino fu con il Clyde, club di seconda divisione, dove impressionò subito gli osservatori. La voce si sparse rapidamente fino a raggiungere le orecchie di Willie Maley, il leggendario manager del Celtic in carica dal 1897. Maley volle vedere personalmente questo svedese di cui tutti parlavano.

Il provino con il Celtic fu quasi comico: senza scarpe da calcio disponibili, Julius dovette affrontare i tiri dei campioni celtici indossando le sue normali scarpe da città. «Mi facevano male le mani, i piedi scivolavano e pensavo di aver fatto una pessima figura», raccontò anni dopo a un giornale svedese. «Quando tornai negli spogliatoi, avevo perso ogni speranza di giocare in Prima Divisione». Invece, con sua grande sorpresa, Maley gli offrì immediatamente un contratto.

Con uno stipendio di 200 sterline più i bonus partita, Hjulian divenne il primo scandinavo della storia del Celtic e il primo svedese a giocare professionalmente nelle Isole britanniche. Anche se giocò solo tre partite ufficiali, rimanendo riserva dell’affidabile Peter Shevlin, il suo nome entrò comunque nella storia come pioniere di una tradizione che avrebbe visto altri svedesi, come Henrik Larsson, diventare leggende del club.

La grande avventura: i Mondiali del 1934

Flash Forward: siamo il 27 maggio 1934, una data storica per il calcio svedese. Mentre undici giocatori scendevano in campo a Bologna per il debutto della Svezia ai Mondiali contro l’Argentina, un dodicesimo svedese si stava preparando a Roma. Ma Julius Hjulian non indossava la maglia gialla della sua patria: tra i pali della nazionale statunitense, stava per affrontare l’Italia padrona di casa.

Il percorso che lo portò a quella partita fu tutt’altro che ordinario. Tornato a Chicago nel 1926, Hjulian si era costruito una solida reputazione sia come portiere che come ingegnere alla Crane Company, dove la sua capacità di interpretare i progetti più complessi lo rese indispensabile anche durante la Grande Depressione. Sul campo, continuò a vincere titoli statali con Sparta ABA FC e Chicago Bricklayers, poi ribattezzati Wieboldt Wonderbolts.

La nazionale americana, che aveva sorpreso tutti con il terzo posto al Mondiale del 1930, si iscrisse all’ultimo momento all’edizione del 1934. Dopo una serie di provini affrettati, solo un portiere fu ritenuto all’altezza: Julius Hjulian, ormai trentunenne.

Il viaggio in Italia iniziò con uno spareggio di qualificazione contro il Messico a Roma, vinto 4-2. Ma il premio per quella vittoria fu terribile: affrontare l’Italia davanti a Mussolini in persona. Nel nuovo Stadio del Partito Nazionale Fascista, Il Duce assistette alla partita indossando un berretto da marinaio bianco, mentre Hjulian sfoggiava il suo solito cappello grigio.

Nonostante il risultato finale di 7-1 per gli azzurri, il New York Times elogiò ugualmente le «splendide parate di Julius Hjulian di Chicago» che evitarono un passivo ancora più pesante. Una foto dell’epoca lo ritrae mentre anticipa il leggendario Giuseppe Meazza.

Quella partita segnò la fine della sua carriera calcistica, ma non delle sue avventure. Perché il meglio, per Julius Hjulian, doveva ancora venire.

La seconda vita di Julius

Durante la Seconda Guerra Mondiale, il talento di Hjulian si rivelò prezioso in un modo del tutto inaspettato. Quando la Marina degli Stati Uniti si trovò ad affrontare un problema critico – i tubi a vapore delle navi si rompevano durante l’inseguimento dei sottomarini tedeschi – fu proprio l’azienda dove lavorava Julius, la Crane Company di Chicago, a ricevere la chiamata d’emergenza.

La soluzione arrivò proprio da Julius. Come raccontò suo figlio Julius R. Hjulian, «Papà ascoltò la presentazione del problema un mercoledì e tornò con la soluzione il lunedì successivo». Ma questa brillante intuizione ebbe un prezzo personale: il governo lo considerò troppo prezioso per rimanere un semplice civile. Fu trasferito alla base militare di Fort Sheridan per tutta la durata della guerra, potendo vedere la famiglia solo nei fine settimana.

Le sue innovazioni tecniche contribuirono significativamente allo sforzo bellico americano. I sistemi di tubature che progettò permisero alle navi della Marina di inseguire i sottomarini tedeschi senza il rischio di guasti critici, un vantaggio strategico fondamentale nella battaglia dell’Atlantico.

Nel dopoguerra, Julius si concesse una lunga vacanza in Svezia. Nel 1946, partecipò alla celebrazione del 25° anniversario del trionfo dell’IFK Eskilstuna, deliziando i vecchi compagni con i racconti delle sue avventure americane. Era ancora considerato il miglior portiere nella storia del club, anche se il resto del calcio svedese lo aveva dimenticato da tempo.

Tornato negli Stati Uniti, si affermò come prolifico inventore, registrando ben 32 brevetti. La sua mente creativa non si fermò mai: continuò a sviluppare innovazioni nel campo dell’ingegneria meccanica fino agli ultimi anni della sua vita. Sviluppò anche una passione per il collezionismo di orologi, forse un riflesso della sua precisione ingegneristica, mentre continuava a visitare regolarmente la Svezia con sua moglie Agnes durante l’estate.

Il sipario calò nel 1974 su un’esistenza che aveva attraversato mondi apparentemente inconciliabili – dai campi di calcio alle sale di progettazione, dalle pianure svedesi di Eskilstuna ai grattacieli di Chicago. Il destino lo portò a calciare un pallone sotto gli occhi del Duce, per poi contribuire, con il suo genio ingegneristico, alla caduta del Reich hitleriano. Di fronte alla sua storia, ci si sente inevitabilmente piccoli: ha vissuto dieci vite mentre noi ne viviamo a malapena una, saltando con disinvoltura tra ruoli e continenti come se stesse semplicemente girando pagina.