L’America di Bearzot

17 giugno 1994

L’Africa e la Colombia ecco le realtà emergenti

Parte oggi il Mondiale della nuova frontiera, forse di un calcio completamente diverso. Il nostro sport è nato in Europa e sulle sue origini anglosassoni si sono poi innestati quattro ceppi sviluppatisi secondo caratteristiche diverse, sino a dare origine a quattro scuole calcistiche vere e proprie: anglosassone, danubiana, latino-europea e latino-americana.

Poco alla volta, nel corso degli anni, abbiamo assistito ad un processo di omologazione di tutte e quattro queste scuole. E oggi ci troviamo di fronte ormai ad un calcio tradizionale che è rinchiuso in se stesso, vivendo quasi esclusivamente in funzione del risultato.

Io spero che da questa grande vetrina americana possa nascere un calcio diverso, che affondi ancora le sue radici nella grande tradizione ma sappia nello stesso tempo proiettarsi verso il futuro.

Qualcosa si è già visto, ci sono nuove realtà africane e asiatiche che danno l’idea del rinnovamento: lo stesso Sudamerica, accanto alle scuole tradizionali, registra la presenza di una squadra come la Colombia che tutti accreditano tra le possibili candidate alla vittoria finale.

Ma non è tanto una questione di vittoria in se stessa, sennò torneremmo nella logica del risultato ad ogni costo che già ha isterilito il vecchio calcio della tradizione. L’Olanda non ha vinto molto, anzi in rapporto a quanto ha innovato ha vinto davvero poco. Ma la sua rivoluzione tattica degli anni Settanta ha lasciato una traccia indelebile nella storia del calcio.

Qualcosa di simile potrebbe accadere a questi Paesi che si presentano adesso alla grande ribalta di Usa ’94. La Nigeria e gli africani in genere dominano la scena mondiale a livello giovanile ormai da molti anni. Dire se siano del tutto sbocciati, se siano cioè già pronti a ripetersi anche in età adulta non è facile. Ma è indubbio che un evento del genere è ormai nell’aria e già questa di Usa ’94 potrebbe essere la volta buona. Stiamo parlando di squadre abituate ai climi caldi e a qualche disagio ambientale, che peserà certamente meno a chi deve ancora arrivare in alto rispetto a chi magari ha smarrito un po’ la capacità di soffrire. E poi la ribalta, strepitosa. Certo, né l’America né tanto meno New York possono essere dipinte come la culla del calcio: ma sono la miglior vetrina possibile, un’occasione unica e forse irripetibile per affermare la propria voglia di successo.

Se poi anziché il Mondiale della grande sorpresa, che, ripeto, per me non sarebbe tale, questo si rivelasse ancora una volta il Mondiale delle grandi di sempre, io credo che tra queste sia proprio l’Italia la squadra dalle potenzialità più interessanti. Perché in un calcio tradizionale stanno un po’ alla volta sparendo le grandi individualità, l’Italia può invece vantarne ancora in buon numero, certamente superiore rispetto alla concorrenza. E questo ci autorizza a sperare.