L’America di Bearzot

20 giugno 1994

Il gioco corto e manovrato alla lunga diventa asfittico

Un bagno di sudore e di sofferenza. Erano 12 anni che non pativo un caldo così atroce, una umidità così soffocante in uno stadio. Ma almeno allora al Sarrià di Barcellona era andata bene, qui al Giants al caldo si è aggiunto il dispiacere di una sconfitta che francamente non mi aspettavo e che adesso ci complica il cammino.

Indubbiamente l’Eire è stata fortunata nel trovare quel gol. Ma l’Italia non è mai riuscita, se non in una parte del secondo tempo, a giocare come avrebbe voluto. Quel tipo di manovra molto corta, molto legata va bene per il mantenimento di un risultato, non per ottenerlo o, peggio, per ribaltarlo. Perché ti obbliga a grandi movimenti senza palla e in realtà lo spazio che guadagni di volta in volta è troppo poco. Diciamo che è un buon gioco di avvicinamento: ma se è troppo fitto, come è stato sabato, alla lunga finisce per diventare asfittico. E anche un gioco dispendioso perché deve essere sostenuto dal pressing. E con quel caldo non è facile pressare in continuazione.

Charlton ha inventato un tipo di gioco ideale per una squadra che si sente inferiore. Ci ha costretti ad un consumo superiore di energie, stando sempre attento a sfruttare al meglio i nostri movimenti. L’importante adesso è non farne un dramma. Niente è perduto a patto di rimuovere immediatamente la sconfitta e proiettarsi sulla partita con la Norvegia. Non so che intenzione abbia Socchi, se stia pensando o no di cambiare qualcosa. Io non lo farei, perché se hai scelto una squadra dopo tre anni di lavoro non la puoi cambiare per una sconfitta. Chi ha perso ha dentro una voglia di riscatto che chi è stato fuori non può avere: e questa è una motivazione importante di cui tenere conto. Diamogli un ‘altra occasione, ma diamogli anche un po’ di aiuto. Si vedono adesso i veri tifosi. La squadra ha bisogno del loro sostegno: guai se cominciasse a sentire intorno a sé aria di disfattismo.