Law & Baker: Quei monelli venuti dalla Scozia

Di scozzesi, la Legione Straniera della pedata nostrana ne ricorda ben pochi. Raccontiamo ora la storia di Dennis Law e Joe Baker (quest’ultimo inglese di nascita, ma scozzese per milizia e scuola calcistica), piovuti alla corte del Torino per intercessione di Gigi Peronace (strepitoso personaggio mezzo italiano, mezzo inglese e tutto calabrese), nei lontani Anni Sessanta. Fu una vicenda breve e tormentata.

Peronace, come sempre, aveva avuto la vista lunga. Baker, centravanti, era un giocatore di buone, ma non eccelse qualità, Law un fuoriclasse. Nato a Aberdeen nel 1940, giocava nel Manchester City, quando il dinamico Gigi lo convinse a varcare la Manica: aveva appena ventun anni, ma era campione autentico. Mezza punta offensiva, scatto dribbling, tiro in corsa e da fermo, geniali illuminazioni tattiche: un giocatore di dimensione europea. Il Torino, allora, aveva fatto il colpo grosso? No, il Torino non aveva mai passato tanti guai, quanti ne passò dopo l’arrivo dei due allegri giovanotti sotto l’ombra della Mole…

torino 1961 62 baker law
Una formazione del Torino 1961/62. Baker è il terzo in piedi da sx, Law il primo accosciato da sx

Dovete sapere che i nostri Law e Baker erano esuberanti, allegri e scapestrati. Il Torino li sistemò, entrambi, in una villetta alle falde della collina che sovrasta la città, così, pensarono i candidi dirigenti granata, non soffriranno troppo la nostalgia della loro amata Scozia. Ma Law e Baker non erano certo tipi da nostalgia… Tutte le sere si portavano a casa vistose combriccole di ragazze disposte a consolare i non afflitti giovanotti; whisky e birra scorrevano a fiumi, il sole che sorgeva era il segnale di coricarsi per i due scozzesi, ai quali non pareva vero di aver trovato una pacchia del genere.

Per giocare (specie Law) giocavano, e bene. Ma quelli del Torino stavano sempre con il cuore sospeso per ciò che avveniva lontano dal campo. Esempio: il Torino va a Roma, per giocare contro i giallorossi. Bene, Law e Baker lasciano di soppiatto l’albergo, si infilano in un night, fanno gran baldoria, escono mentre sta albeggiando. Law è sottobraccio alla famosa Rosy Royal, una vedette dell’epoca che frequenta intensamente l’ambiente dei calciatori più in voga; gran bella donna s’intende. Il solito paparazzo scatta il flash, Law si infuria, lo rincorre, lo agguanta, lo pesta niente male.

Scandalo, si capisce: il Torino fa di tutto per soffocare il clamore su quanto è accaduto, ma nel frattempo Law e Baker si concedono una allegra vacanza in quel di Venezia. Qual è lo scozzese che, vivendo in Italia, non desidera ammirare le bellezze di una città come Venezia? Bellezze in gonnella, si capisce, le venezianine sono famose per la grazie e l’avvenenza, ecco i nostri passeggiare per San Marco in dolce compagnia, ecco il solito paparazzo che scatta il non meno solito flash, ecco Law e Baker che si producono in uno scatto entusiasmante, lo agguantano e lo menano di brutto procurandogli gravi ferite. Il fotografo, Celio Scapin, uomo di una certa età, lievemente menomato, li denuncia (ovviamente).

Lo scandalo questa volta è enorme, i dirigenti del Torino non sanno più a qual Santo votarsi per mettere un freno alle esuberanze, diciamo così, di quei due ragazzi. I quali ci pensano da soli, bontà loro, a mettersi fuori uso. La notte (o la mattina?) dell’8 febbraio di quel lontano 1962, una Alfa Romeo Giulietta Sprint bianca (appena acquistata e che andava a sostituire una più umile Fiat 600, che comunque nei primi anni ’60 è ancora un lusso per pochi italiani), lanciata a folle velocità, alle quattro del mattino carambola, impazzita, in una strada deserta di Torino, poi va a schiantarsi contro il pilone della luce sul lungo Po «Armando Diaz» all’altezza di Corso Cairoli.

Uno schianto tremendo, tre sagome sanguinanti fra le lamiere contorte, lamenti, disperazione. Accorrono i primi soccorritori, poi il lacerante urlo dell’ambulanza che trasporta i feriti sotto choc, in ospedale. Dove vengono facilmente identificati: sono Baker, che ha una grave frattura al palato e il setto nasale in briciole, Dennis Law, escoriazioni multiple e frattura di un polso, e suo fratello, Joseph Law, che era venuto a Torino per… tenerlo d’occhio e costringerlo a una vita più morigerata (se la caverà praticamente senza danni).

Per Joseph Henry Baker è la fine della breve, tumultuosa, esperienza italiana. Resta ben sessanta giorni in ospedale, poi il Torino, che non ne poteva più, lo piazza all’Arsenal dove arriva a segnare 100 gol in 156 partite, diventando per tre stagioni capocannoniere della squadra. A Torino, questo strampalato giocatore, tornerà soltanto una volta: nel 1974, con una troupe televisiva, che filma un cortometraggio sulla sua carriera. Ingrassato, bolso, sempre ubriaco di birra, praticamente non lo riconosce nessuno…

Law si riprende più in fretta, torna a giocare, è sempre bravissimo, ma quelli del Torino soffrono le pene dell’inferno nel perenne timore di qualcuna delle sue bravate. Intanto, l’Avvocato Agnelli, da sempre innamorato dei giocatori di autentica classe in grado di dare spettacolo, comincia a interessarsi a questo scozzese ribelle, ma gran giocatore. La cosa viene risaputa ed eccoci al giallo finale: una brutta (o bella?) mattina Torino si sveglia e viene a sapere che, alle prime luci dell’alba Dennis Law è salito su un aereo e si è involato alla volta di Londra, insalutato ospite. Una fuga in grande stile? Quella fu la versione ufficiale di un Torino che, finalmente, respirò sollevato; e che rimpiazzò fulmineamente Law con lo spagnolo triste Joaquin Peirò, pianista mancato, stella dell’ Atletico Madrid, che avrà una lunga, felice carriera in Italia. Ma torniamo a Law: la versione ufficiale, dicevo, parlò di fuga dello scozzese.

La verità è un’altra: per timore che la Juve riuscisse a prelevare Law dalle file del Toro, e che il severo ambiente bianconero gli facesse mettere la testa a posto, un commando di ultras granata rapì, letteralmente, il nostro Dennis, ovviamente ubriaco fradicio, lo caricò di peso su un taxi guidato da un notissimo capo-tifo del clan del Torino, lo portò a Caselle, lo sistemò su un aereo in partenza per Londra, dopo avergli infilato il biglietto di sola andata nel taschino della giacca, mentre Law se la dormiva, beato… «Così la Juve se la prende in saccoccia», sospirarono i tifosi granata quando l’apparecchio sparì all’orizzonte…

In Scozia, Dennis Law fu subito ingaggiato dal Manchester United, dove ebbe una lunga carriera ricca di soddisfazioni: perché, ripeto, il giocatore era di grana fina. Odiava visceralmente l’Inghilterra, da buon scozzese, tanto che quando la moglie stava per partorire la caricò a forza su un’auto e lasciò Manchester per la vicina Scozia dicendo: «Per tutto l’oro del mondo, non vorrei diventare padre di un inglese…». Stava giocando a golf il giorno della finalissima mondiale del 1966, un inserviente corre e gli dice: «Abbiamo vinto, siamo campioni del mondo ». Gelido, Dennis Law spezza la mazza che teneva fra le mani e sibila fra i denti: «Avete vinto, prego… Per me, questa è la più brutta notizia della mia vita. Qui, non mi vedrete mai più».

Qui finisce l’avventura un po surreale dei nostri due scozzesi. Ma il disadattamento di Baker e Law era reale. Mal soffrivano la disciplina dei ritiri, così come trovavano assurda la richiesta del club di far firmare al mattino, al campo d’ allenamento, il libro delle presenze. Ma erano grandi giocatori e fornirono un eccellente rendimento (Law segnò 10 gol in 27 gare, Baker 7 in 19, il Torino fu a lungo nelle prime posizioni, per poi finire settimo), ma fuori del campo volevano essere liberi. Bastò quell’incidente per lasciargli una fama di irregolare: il calcio è più professionale adesso, non nell’evitare le notti brave, ma nel nasconderle meglio.