Le elezioni FIFA che cambiarono il calcio

A Francoforte, in quel piovoso giugno del 1974, due uomini incarnavano due visioni opposte del calcio: Sir Stanley Rous, l’aristocratico britannico legato alla tradizione, e João Havelange, l’ambizioso brasiliano che sognava un impero globale.

11 giugno 1974. Sir Stanley Rous, il settantanovenne presidente della FIFA, si svegliò presto nella sua camera d’albergo a Francoforte, soffermandosi a guardare la pioggia torrenziale che batteva incessantemente sulle finestre. La stampa estera lo aveva soprannominato “Mr World Football“, un titolo che rifletteva il suo dominio incontrastato sul calcio mondiale negli ultimi 13 anni. Il giorno precedente era stato incoraggiante: una serie di incontri dell’ultimo minuto con delegati asiatici e africani sembrava aver rafforzato la sua posizione. Il giornalista John Jackson aveva scritto sul Mirror che Rous stava guadagnando nuovo supporto. 

Tuttavia, nonostante questi segnali positivi, un’atmosfera di cambiamento permeava l’aria. Il suo sfidante, João Havelange, un dinamico brasiliano di 58 anni, si muoveva tra i corridoi dell’hotel con la sicurezza di chi sa che la storia sta per essere riscritta. La campagna presidenziale era stata intermittente, ma ora, nel momento decisivo, tutto sembrava convergere verso un punto di svolta. Mentre Rous scendeva per la colazione, mantenendo la sua caratteristica compostezza britannica, doveva essere consapevole che questo non era un normale congresso FIFA. L’organizzazione che aveva guidato per più di un decennio stava per affrontare una delle sue più significative trasformazioni, e lui si trovava al centro di questa tempesta di cambiamento.

Due uomini, due mondi

Il confronto tra Rous e Havelange incarnava uno scontro tra due visioni diametralmente opposte del calcio. Rous rappresentava l’essenza del calcio britannico tradizionale: ex insegnante alla Watford Grammar School, veterano della Prima Guerra Mondiale in Africa, e arbitro rispettato che aveva diretto la finale di FA Cup del 1934. La sua carriera era stata costruita sui principi dell’educazione e dello sport puro. La sua segretaria personale, Rose-Marie Breitenstein, lo descriveva come un uomo per cui il calcio era principalmente una questione di educazione, con poco interesse per gli aspetti finanziari. 

Dall’altra parte, Havelange proveniva da un mondo completamente diverso. Figlio di un commerciante d’armi di Rio, aveva gareggiato come nuotatore alle Olimpiadi del 1936 a Berlino e nella pallanuoto a Helsinki nel 1952, prima di diventare un imprenditore di successo. La sua visione del calcio era radicalmente diversa: vedeva questo sport come un’industria globale da sviluppare e monetizzare. Era un uomo d’affari nato, che aveva costruito un impero commerciale in Brasile e che ora puntava a trasformare il calcio mondiale.

La FIFA di Rous: un’organizzazione in miniatura

Durante la presidenza di Rous, la FIFA operava come un’organizzazione quasi familiare. La sede di Zurigo era sorprendentemente modesta, tanto che Rous stesso preferiva lavorare dalla sua abitazione londinese, limitando i suoi viaggi in Svizzera agli affari più urgenti. 

L’organizzazione gestiva essenzialmente un solo torneo maggiore, la Coppa del Mondo, con sole 16 squadre partecipanti. Questa semplicità organizzativa rifletteva perfettamente la visione di Rous del calcio come sport puro, ma stava diventando sempre più anacronistica in un mondo che si stava rapidamente globalizzando. La struttura elitaria del Mondiale, con la sua forte enfasi sulla rappresentanza europea, aveva creato un crescente risentimento nelle altre confederazioni, particolare in Africa e Asia.

La questione sudafricana

La gestione della questione sudafricana si rivelò il tallone d’Achille di Rous. Nonostante le crescenti pressioni internazionali contro l’apartheid, mantenne un approccio che molti consideravano eccessivamente conciliante verso il regime sudafricano. Nel 1961, il Sudafrica venne sospeso dalla FIFA, ma Rous guidò personalmente una crociata che portò alla sua riammissione nel 1963, basandosi su promesse di inclusività che si rivelarono poi vuote. Questa decisione gli alienò praticamente tutto il continente africano

Il discorso di Rous al Congresso del giugno 1974

La situazione peggiorò drammaticamente quando la Confederazione del Calcio Africano protestò per l’allocazione di un solo posto combinato per Africa e Asia-Oceania ai Mondiali del 1966. Il loro malcontento raggiunse l’apice con il boicottaggio del torneo da parte di 15 nazioni africane. C’era una forte percezione che il calcio fosse considerato un’impresa europea e che la FIFA dovesse operare principalmente nell’interesse delle nazioni calcistiche europee. Ogni tentativo delle nazioni africane di utilizzare la FIFA come veicolo per affermare la loro presenza sulla scena internazionale veniva accolto con resistenza e uno stretto interesse europeo.

La campagna di Havelange

La strategia elettorale di Havelange rivoluzionò il modo di fare politica nel calcio. Il brasiliano intraprese un tour mondiale senza precedenti, visitando 80 paesi in pochi mesi. Durante questi viaggi, presentò un programma dettagliato di sviluppo che includeva la costruzione di nuovi stadi, programmi di formazione per gli allenatori, e soprattutto l’espansione del Mondiale a 24 squadre. Significativamente, si occupò personalmente delle spese di viaggio per numerosi delegati africani, una mossa che la stampa definì “perfettamente legittima” ma che Rous, con le sue risorse limitate, non avrebbe mai potuto permettersi. La sua campagna si concentrò particolarmente sulle nazioni emergenti del calcio mondiale, promettendo loro una voce più forte nel governo del gioco

Prima dell’elezione, Havelange ebbe anche un incontro memorabile con Rous a Londra, dove con sicurezza gli disse che se si fosse candidato “ci sarebbe stato solo un vincitore“. Come ricordò in seguito, “Mi mise il braccio intorno alle spalle, come un padre farebbe con suo figlio. Non credo mi credesse.” La sua capacità di combinare promesse concrete di sviluppo con una sapiente gestione delle relazioni personali si rivelò decisiva nel costruire una coalizione vincente.

Il Congresso del cambiamento

Il giorno del voto, la tensione nella sala del congresso era palpabile. Delegati da tutto il mondo si riunirono in un’atmosfera carica di fumo e aspettative. Il primo turno di votazioni non produsse un vincitore definitivo: Havelange superò Rous ma non raggiunse la maggioranza dei due terzi necessaria per la vittoria. 

Durante la pausa tra i due voti, il brasiliano si mosse freneticamente tra i delegati, consolidando supporti e promettendo cambiamenti, mentre Rous, fedele al suo stile, rimase seduto al suo posto, sorseggiando una bevanda. Nel sua arringa finale, l’inglese si limitò a dire: “Non posso offrire incentivi speciali per ottenere supporto, né ho fatto campagna elettorale. Preferisco lasciare che il mio lavoro parli da solo.” 

Il risultato finale – 68 voti per Havelange contro 52 per Rous – segnò non solo un cambio di leadership, ma un cambio di paradigma nel calcio mondiale. Il gesto finale di Havelange, che consegnò un mazzo di fiori a Rous, fu emblematico di questo passaggio di potere. Come osservò amaramente Rous: “Per loro è un bouquet, mentre per me è più simile a una corona funebre.

La vittoria di Havelange segnò molto più di un semplice cambio di leadership nella FIFA. Fu il momento in cui il calcio iniziò la sua metamorfosi da semplice sport a fenomeno commerciale globale. La FIFA che conosciamo oggi, con i suoi miliardi di dollari di entrate e la sua influenza mondiale, nacque proprio in quel giorno piovoso a Francoforte. 

Rous accettò la sconfitta con la dignità che lo aveva sempre contraddistinto, pur riconoscendo privatamente quanto fosse stato doloroso. Il suo commento profetico – “Le tendenze nel calcio mondiale non sono troppo piacevoli al momento” – si sarebbe rivelato sorprendentemente accurato nei decenni successivi. La sua ex assistente Breitenstein riflette che “fu un colpo per lui, ma non lo mostrò. Dovette andare avanti perché c’era ancora il Mondiale del 1974 da gestire.” 

Un nuovo mondo

Quella mattina piovosa a Francoforte, mentre i delegati alzavano le loro schede di voto, stavano inconsapevolmente girando l’ultima pagina di un’epoca. Il calcio di Rous – fatto di fischietti d’argento, campi fangosi e arbitri in giacca nera – stava per lasciare il posto a qualcosa di completamente diverso. Non era solo un brasiliano che spodestava un inglese, era il vecchio ordine che cedeva il passo al nuovo.

Cinquant’anni dopo, gli echi di quella votazione risuonano ancora nei corridoi dorati dei palazzi FIFA. Il denaro scorre come champagne nelle suite presidenziali, i diritti televisivi valgono più del PIL di piccole nazioni, e le strette di mano nei corridoi hanno il peso di trattati internazionali. Sir Stanley, con la sua visione del calcio come nobile passatempo educativo, probabilmente si rigirerebbe nella tomba.

Eppure, sotto la superficie cromata del calcio moderno, pulsano ancora le stesse tensioni di allora. È ancora la lotta tra puristi e pragmatici, tra tradizionalisti e innovatori. È ancora l’Europa che cerca di mantenere il controllo mentre il resto del mondo spinge per avere voce in capitolo. Solo che ora si combatte con contratti milionari invece che con telegrammi diplomatici.

Quel giorno a Francoforte, nessuno poteva immaginare che si stava assistendo alla nascita del calcio come lo conosciamo oggi. Ma proprio come una farfalla che emerge dal suo bozzolo, il “beautiful game” stava per spiegare le ali e prendere il volo verso orizzonti che Rous, con tutta la sua visione, non avrebbe mai potuto immaginare.

Il laconico commento del Corriere della Sera