I centroamericani, alla loro prima partecipazione ai Mondiali, sfidarono le grandi potenze europee, sfiorando una storica qualificazione.
Immaginate di essere una piccola nazione centroamericana, con poca tradizione calcistica e zero partecipazioni ai Mondiali. Poi, all’improvviso, vi ritrovate a giocare contro alcune delle migliori squadre del pianeta, davanti a milioni di spettatori. Questo è esattamente ciò che accadde all’Honduras nel 1982, quando i “Catrachos” (soprannome della nazionale honduregna) si qualificarono a sorpresa per la Coppa del Mondo in Spagna.
L’Honduras aveva partecipato per la prima volta alle qualificazioni mondiali solo nel 1962, senza successo. Negli anni ’70 la nazionale aveva fatto progressi, sfiorando la qualificazione in alcune occasioni. Un episodio controverso di quel periodo fu la cosiddetta “Guerra del Calcio” con El Salvador nel 1969, quando le tensioni politiche tra i due paesi sfociarono in un conflitto armato dopo una serie di partite di qualificazione mondiale.
Ma fu solo con l’arrivo in panchina di José de la Paz Herrera, noto come “Chelato Uclés“, che il sogno divenne realtà. Uclés, ex calciatore diventato allenatore dopo un’esperienza in Argentina, riuscì nell’impresa di costruire una squadra competitiva mescolando giovani talenti e giocatori più esperti.
Il cammino di qualificazione fu esaltante. L’Honduras superò brillantemente la fase regionale, vincendo il proprio girone davanti a Costa Rica, El Salvador, Guatemala e Panama. Nel girone finale, disputato in casa a Tegucigalpa, i Catrachos stupirono tutti. Vittorie contro Haiti, Cuba e Canada, più due pareggi contro El Salvador e Messico, garantirono il primo posto e la storica qualificazione. Il risultato fu strepitoso: l’Honduras vinse il girone CONCACAF, lasciando a bocca asciutta il ben più quotato Messico.
I protagonisti dell’impresa
Chi erano gli eroi che portarono l’Honduras sul palcoscenico più importante del calcio mondiale? Una squadra di giocatori poco conosciuti a livello internazionale, ma dotati di talento, grinta e spirito di sacrificio.
In porta c’era Julio César Arzu, portiere agile e coraggioso, dotato di ottimi riflessi e grande abilità nelle uscite. La difesa era guidata dal possente Anthony Costly, un centrale forte fisicamente e imbattibile nel gioco aereo. Al suo fianco, l’esperto Jaime Villegas, 31 anni, garantiva esperienza e solidità. Sulle fasce, Efraín Gutiérrez a destra ed il 35enne Fernando Bulnes a sinistra offrivano un mix di copertura difensiva e spinta in fase offensiva.
Il centrocampo era il vero punto di forza della squadra. Gilberto Yearwood, l’unico che giocava all’estero (in Spagna), era il faro della manovra con i suoi passaggi precisi e la sua visione di gioco. I suoi lanci con l’esterno del piede erano una vera e propria arma tattica. Accanto a lui, l’instancabile Héctor Zelaya, un tuttocampista capace di giocare sia come difensore che come centrocampista, correva per due coprendo ogni zona del campo. A completare il reparto, il capitano Ramón Maradiaga, altro centrocampista di qualità e personalità.
In attacco, la velocità e l’abilità di Porfirio Betancourt e Roberto Figueroa mettevano in difficoltà le difese avversarie. Betancourt era un attaccante rapido e tecnico, mentre Figueroa, partendo da sinistra, era pericoloso con i suoi inserimenti e il potente tiro dalla distanza. A supporto, il dinamico Prudencio Norales sulla fascia destra garantiva equilibrio tattico, arretrando in fase di non possesso per formare un centrocampo a quattro.
Una squadra ben assemblata, capace di giocare un calcio piacevole e a tratti sorprendente, mixando solidità difensiva, dinamismo a centrocampo e imprevedibilità in attacco.
L’esordio da favola contro la Spagna
Il 16 giugno 1982, l’Honduras fece il suo debutto mondiale contro i padroni di casa della Spagna. Nessuno dava un centesimo ai Catrachos: si temeva addirittura una goleada, sulla scia del 10-1 subito dai vicini di El Salvador contro l’Ungheria il giorno prima.
Ma contro ogni pronostico, accadde l’impensabile. Dopo soli 7 minuti, una palla lunga di Camacho venne respinta di testa da Bulnes nella metà campo honduregna. Zelaya raccolse il pallone a centrocampo, scambiò due volte con i compagni, superò il tentativo di tackle di Joaquín Alonso e si trovò solo davanti ad Arconada. Con freddezza, il centrocampista honduregno scavalcò il portiere spagnolo con un tocco delicato, portando clamorosamente in vantaggio i Catrachos.
Lo stadio ammutolì, incredulo. La Spagna, nervosa e imprecisa, faticava a trovare varchi nella solida retroguardia honduregna. Il CT Santamaría cercava di scuotere i suoi dalla panchina, ma la squadra sembrava paralizzata dalla pressione.
I Catrachos, galvanizzati dal vantaggio, si difendevano con ordine e ripartivano in contropiede. Al 20′ del primo tempo, Juanito ebbe una buona occasione di testa, ma Arzu si distese e parò senza problemi. Era l’unico vero pericolo creato dalla Spagna nel primo tempo.
Nella ripresa, la pressione spagnola si fece più intensa. Al 55′, Miguel “Perico” Alonso concluse una bella azione corale con un tiro che Arzu deviò in tuffo. L’Honduras però non si limitava a difendere: al 65′ arrivò la grande occasione per il raddoppio. Figueroa intercettò un passaggio a centrocampo e lanciò Betancourt nello spazio. L’attaccante superò in velocità Camacho, entrò in area e calciò a incrociare: il pallone sfiorò il palo alla destra di Arconada, con Norales che reclamava il pallone al centro dell’area.
Quando ormai il colpaccio sembrava a portata di mano, arrivò la doccia fredda. All’83’, Saura si incuneò in area e venne atterrato da Bulnes. L’arbitro argentino Arturo Ithurralde indicò generosamente il dischetto tra le proteste dei giocatori honduregni. Dagli undici metri si presentò López Ufarte: Arzu intuì l’angolo e si tuffò alla sua sinistra, ma non riuscì a respingere il tiro potente e preciso dell’attaccante spagnolo.
Negli ultimi minuti la Spagna cercò il gol della vittoria, ma l’Honduras resistette con ordine. Al triplice fischio, l’1-1 finale fu accolto come una vittoria dai centroamericani e come una mezza disfatta dai padroni di casa: i Catrachos avevano dimostrato al mondo intero di non essere lì per caso.
La conferma contro l’Irlanda del Nord
Cinque giorni dopo lo storico pareggio con la Spagna, l’Honduras affrontò l’Irlanda del Nord allo stadio La Romareda di Saragozza. I verdi, guidati dal carismatico Billy Bingham, erano reduci da un pareggio a reti inviolate contro la Jugoslavia e potevano contare su giocatori di esperienza come il 37enne portiere Jennings dell’Arsenal e l’attaccante Gerry Armstrong del Watford.
Chelato Uclés optò per un solo cambio rispetto alla formazione che aveva affrontato la Spagna: José Luis Cruz prese il posto di Fernando Bulnes sulla fascia sinistra. Tuttavia, l’inizio del match fu un brusco risveglio per i Catrachos. Dopo soli 10 minuti, l’Irlanda del Nord passò in vantaggio: su un calcio di punizione dalla fascia battuto da McIlroy, la palla colpì la traversa e rimbalzò verso il difensore Nicholl. Il suo colpo di testa venne respinto da Arzu, ma sulla ribattuta Armstrong fu il più lesto ad intervenire, insaccando di testa da pochi passi.
Il gol subito non demoralizzò l’Honduras, che reagì immediatamente. Al 12′, i Catrachos andarono vicinissimi al pareggio: un tiro potente di Betancourt si stampò sulla traversa a Jennings battuto. Cinque minuti più tardi, Figueroa impegnò severamente il portiere nord-irlandese con una punizione insidiosa da oltre 20 metri.
La pressione honduregna si intensificò e al 22′ arrivò un’altra clamorosa occasione. Su un’uscita incerta di Jennings, Figueroa tentò un pallonetto che sembrava destinato in rete, ma Nicholl salvò sulla linea con un colpo di testa provvidenziale.
Nella ripresa, gli uomini di Bingham partirono meglio, cercando di sfruttare gli spazi lasciati dai Catrachos ma la svolta del match arrivò al 60′, grazie a una mossa tattica di Uclés. Il tecnico honduregno inserì il giovane Tony Laing al posto di Norales, passando a un assetto più offensivo. La mossa si rivelò vincente quasi immediatamente: sul corner successivo, battuto da Figueroa, Laing si inserì con perfetto timing e colpì di testa, trafiggendo Jennings per l’1-1.
Il pareggio galvanizzò l’Honduras, che nei minuti finali cercò con insistenza il gol della vittoria. Betancourt e Figueroa misero più volte in difficoltà la retroguardia nord-irlandese, ma Jennings si superò in un paio di occasioni, negando il successo ai Catrachos. La partita si concluse sull’1-1, un risultato che lasciava aperte le speranze di qualificazione per entrambe le squadre.
Il finale amaro contro la Jugoslavia
L’ultimo match del girone, contro la Jugoslavia, si trasformò in una vera e propria battaglia. L’Honduras aveva bisogno di un pareggio per sperare nella qualificazione, mentre gli slavi dovevano vincere a tutti i costi.
La Jugoslavia iniziò con un pressing alto, cercando di mettere subito in difficoltà la costruzione del gioco dei Catrachos e dopo soli 3 minuti, Petrović colpì la traversa su calcio di punizione, facendo tremare i tifosi honduregni.
Nonostante la pressione iniziale, l’Honduras riuscì gradualmente a prendere le misure agli avversari. Al 33′, arrivò la prima grande occasione per i centroamericani: un passaggio magistrale di Gilberto Yearwood liberò Betancourt davanti alla porta, ma il suo tiro incrociato sfiorò il palo, con Pantelić battuto.
Appena tre minuti dopo, un’altra chance clamorosa per l’Honduras: dopo una serie di rimpalli in area jugoslava, la palla arrivò a Costly che, trovatosi improvvisamente a tu per tu con Pantelić, calciò alto sopra la traversa.
Nella ripresa, la Jugoslavia alzò ulteriormente il ritmo. Al 47′, Gilberto Yearwood si trovò solo davanti a Pantelić dopo un’azione di rimessa, ma il portiere jugoslavo uscì tempestivamente, salvando la sua porta. La partita divenne sempre più tesa e fisica e l’arbitro cileno Gastón Castro ebbe il suo bel da fare per tenere sotto controllo il nervosismo crescente in campo. Al 60′, Šestić impegnò severamente Arzu con un tiro potente da fuori area, ma il portiere honduregno si distese e deviò in corner.
Con il passare dei minuti, la stanchezza iniziò a farsi sentire per entrambe le squadre. L’Honduras si chiuse in difesa, cercando di proteggere lo 0-0 che l’avrebbe qualificato. La Jugoslavia, sempre più disperata, iniziò a lanciare palla lunga verso l’area avversaria.
Quando ormai sembrava che l’Honduras potesse farcela, arrivò il colpo di scena: all’88’, Šestić si incuneò in area dopo una serie di dribbling, cadendo dopo un contatto con Villegas. L’arbitro Castro, tra lo stupore generale, indicò il dischetto del rigore. Petrović si presentò sul dischetto e, con freddezza, spiazzò Arzu, portando in vantaggio la Jugoslavia a soli due minuti dalla fine.
Nei minuti di recupero, l’Honduras si gettò disperatamente in avanti alla ricerca del pareggio. In un clima di tensione estrema, Gilberto Yearwood perse la testa e colpì Šljivo, guadagnandosi l’espulsione.
Al triplice fischio, i giocatori honduregni crollarono sul terreno di gioco, in lacrime. Il sogno si era infranto nel modo più crudele possibile, a un passo dal traguardo. La Jugoslavia festeggiava, ignara che il giorno seguente la sua gioia sarebbe stata spenta dalla vittoria dell’Irlanda del Nord sulla Spagna, che avrebbe qualificato proprio gli irlandesi insieme ai padroni di casa.
Un’impresa storica
Nonostante l’eliminazione, l’Honduras uscì a testa altissima da quel Mondiale. Le prestazioni dei Catrachos non passarono inosservate: ben sei giocatori furono acquistati da club europei nei mesi successivi. Roberto Figueroa si trasferì al Murcia, dove si affermò come titolare e capocannoniere nella stagione del ritorno in massima serie. Porfirio Betancourt giocò in Francia con lo Strasburgo e poi in Spagna con il Logroñés. Anche Gilberto Yearwood, Julio César Arzu, Anthony Costly e Ramón Maradiaga ebbero esperienze in Europa, soprattutto in Spagna.
L’impatto di quella partecipazione mondiale fu enorme per il calcio honduregno. La nazionale tornò protagonista nel 2001, con un sorprendente terzo posto alla Copa America in Colombia. In quell’occasione, gli honduregni eliminarono addirittura il Brasile ai quarti di finale, vincendo per 2-0. CT di quella squadra era Ramón Maradiaga, uno dei protagonisti del Mundial ’82.
Poi arrivarono le qualificazioni ai Mondiali 2010 e 2014, anche se senza lo stesso successo del 1982. In Sudafrica nel 2010, l’Honduras ottenne un altro prestigioso pareggio contro una squadra europea, fermando sullo 0-0 la Svizzera. Nel 2014 in Brasile, invece, i Catrachos persero tutte e tre le partite, ma riuscirono a segnare il loro primo gol in un Mondiale dal 1982: l’autore fu Carlo Costly, figlio di Anthony, il difensore della squadra dell’82.