LIBUDA “Stan” Reinhard: la meteora del calcio tedesco

Nel calcio tedesco degli anni ’60 e ’70, nessuno dribblava come lui. Genio e sregolatezza, trionfi e cadute: storia di un talento purissimo che brillò intensamente prima di spegnersi troppo presto.

Lemgo, nel profondo della Renania Settentrionale-Vestfalia, dove la pallamano regna sovrana e il calcio è poco più di un passatempo, non aveva mai prodotto calciatori di rilievo, ma quel ragazzino, classe 1943, dalle gambe magre e lo sguardo sveglio sembrava avere qualcosa di diverso. Fu lo Schalke 04 a notarlo per primo. A nove anni, Reinhard varcò così i cancelli del club di Gelsenkirchen, dove il calcio non era solo uno sport, ma una religione. Con le sue calze perennemente abbassate e un fisico che sembrava quasi inadatto al calcio professionistico, quel giovane cresciuto nella West Oberliga portava con sé un dono raro: la capacità di far innamorare la gente con un semplice movimento del corpo.

Non ci volle molto perché i tifosi gli affibbiassero il soprannome che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita: “Stan“, in onore del leggendario Stanley Matthews. Come il suo idolo inglese, Libuda aveva fatto del dribbling la sua arte suprema, anche se la sua versione era più grezza, più istintiva, più selvaggia. La sua finta a sinistra con uscita a destra divenne presto il suo marchio di fabbrica, un movimento che richiedeva ore e ore di perfezionamento, ma che nel suo caso sembrava nascere da una naturale predisposizione alla magia calcistica.

Era la stagione 1962/63, l’ultima prima della nascita della Bundesliga, quando quel ragazzo dalle movenze particolari si prese la fascia destra dello Schalke. Non era ancora il fuoriclasse che avrebbe fatto impazzire le difese di mezza Europa, ma chi lo vedeva giocare capiva che in quel corpo sgraziato si nascondeva il seme di qualcosa di straordinario.

L’ascesa e il tradimento

La nascita della Bundesliga nel 1963 segnò un punto di svolta nella carriera di Libuda. In quella stagione inaugurale, Stan fu una rivelazione: ventinove presenze, quattro gol e altrettanti assist, numeri che non raccontano completamente la sua influenza sul campo. Lo Schalke partì come un fulmine, infilando quattro vittorie e un pareggio nelle prime cinque partite. Ma come spesso accade nelle favole più crude, l’incantesimo si ruppe nella seconda parte della stagione. La squadra perse dieci delle ultime quattordici partite, scivolando all’ottavo posto.

La stagione successiva iniziò con un lampo di speranza: Libuda segnò nella partita d’esordio contro l’Eintracht Frankfurt, portando lo Schalke sul 2-0. Ma quel gol fu come l’ultimo bagliore di una stella morente. La squadra precipitò all’ultimo posto, in un’agonia che sembrava non finire mai.

Fu allora che Libuda prese una decisione che avrebbe fatto tremare la Ruhr: attraversare il confine proibito. Il suo trasferimento al Borussia Dortmund fu più di un semplice cambio di maglia: era un atto di ribellione, un tradimento per alcuni, una liberazione per altri. Il Borussia, fresco vincitore della Coppa di Germania e con ambizioni europee, rappresentava per Stan la possibilità di una rinascita.

Gli anni del Dortmund

Nel 1965, il passaggio al Borussia Dortmund segnò l’inizio del periodo più brillante nella carriera di Stan Libuda. La squadra giallonera stava costruendo un organico competitivo per emergere sia in patria che in Europa, e Libuda divenne rapidamente un elemento chiave di quella formazione. Si inserì in un tridente offensivo che avrebbe fatto la storia: Lothar Emmerich come centravanti e cannoniere implacabile, Siegfried Held (che aveva sostituito il mitico Friedhelm TimoKonietzka) come ala sinistra, e Libuda sulla fascia destra.

La stagione 1965-66 vide Libuda raggiungere l’apice della sua arte. Le sue prestazioni divennero uno spettacolo ricorrente: i terzini sinistri della Bundesliga vivevano un incubo quando dovevano affrontarlo. La sua capacità di dribbling, unita a una visione di gioco straordinaria, lo rendeva non solo un fantasista ma anche un prezioso assistman per i compagni d’attacco. L’immagine di Libuda che faceva impazzire i difensori e creava occasioni da gol in serie divenne un marchio di fabbrica del Borussia di quegli anni.

Ma fu in Europa che Libuda scrisse le pagine più memorabili. Nella Coppa delle Coppe del 1966, il Borussia Dortmund intraprese un cammino trionfale. Al primo turno eliminò la modesta Floriana di Malta, poi dovette sudare più del previsto per superare il coriaceo CSKA Sofia. Nei quarti di finale affrontò e superò il potente Atlético Madrid. La semifinale contro il West Ham di Bobby Moore, Martin Peters e Geoff Hurst si trasformò in una vera e propria lezione di calcio, con i tedeschi che si imposero con un sonoro 5-2 nel computo totale delle due gare.

La finale all’Hampden Park di Glasgow contro il Liverpool rappresentò l’apice di quella cavalcata europea. Le due squadre condividevano un passato recente simile: entrambe erano state eliminate nelle semifinali di Coppa dei Campioni dall’Inter di Helenio Herrera (il Borussia nel 1964 e il Liverpool nel 1965). La partita si rivelò combattutissima, come ci si poteva aspettare da una finale tra due squadre di quel calibro. Il Liverpool schierava campioni del calibro di Roger Hunt, Ian St. John, Ron Yeats e Ian Callaghan, tutti destinati a diventare leggende di Anfield.

Fu Held a portare in vantaggio il Borussia, ma la gioia durò poco: Hunt pareggiò dopo soli sette minuti. La partita si trascinò fino ai supplementari, dove Libuda si rese protagonista dell’episodio decisivo. Una sua conclusione dalla distanza disegnò una parabola improbabile che, complice anche l’abbagliamento del portiere causato dai riflettori e una deviazione di Chris Lawler, si infilò in rete. Quel gol non solo regalò la vittoria al Borussia, ma lo consacrò nella storia come il primo club tedesco a conquistare un trofeo continentale.

Questa vittoria europea non solo consolidò la reputazione di Libuda come uno dei migliori giocatori tedeschi dell’epoca, ma gli valse anche il soprannome di “George Best tedesco“. Come il nordirlandese, Libuda combinava un talento naturale straordinario con una personalità carismatica che lo rendeva adorato dai tifosi. La sua permanenza a Dortmund, seppur relativamente breve, rimane uno dei periodi più brillanti nella storia del club giallonero, e il suo contributo alla vittoria della Coppa delle Coppe del 1966 lo ha consacrato definitivamente nell’olimpo del calcio tedesco.

La Nazionale e il Mondiale del ’70

Il rapporto di Libuda con la Nazionale tedesca fu complesso e caratterizzato da alti e bassi. Nonostante il suo innegabile talento, il CT Helmut Schön sembrava nutrire qualche dubbio sulla sua affidabilità. Questa diffidenza si manifestò chiaramente nel Mondiale del 1966 in Inghilterra, dove Libuda, pur convocato, non giocò nemmeno un minuto nonostante la presenza di diversi suoi compagni del Borussia Dortmund.

La sua vera occasione arrivò durante le qualificazioni per il Mondiale del 1970. Il momento chiave fu la partita contro la Scozia ad Amburgo, un incontro cruciale per la qualificazione. Dopo che la partita di andata a Glasgow si era conclusa con l’unico pareggio dei tedeschi nel girone, una sconfitta avrebbe significato dover disputare uno spareggio in campo neutro. La partita fu un’altalena di emozioni: Jimmy Johnstone portò in vantaggio gli scozzesi sfruttando un raro errore di Sepp Maier, ma il compagno di club di Libuda, Klaus Fichtel, pareggiò prima dell’intervallo. La Germania passò in vantaggio con Gerd Müller su assist di Uwe Seeler, ma Alan Gilzean riportò il risultato in parità. Fu allora che Libuda, su assist di Helmut Haller, realizzò il gol decisivo che mandò la Germania in Messico, dopo una corsa solitaria che lo vide superare il difensore Tommy Gemmell.

In Messico, Libuda iniziò il torneo in panchina nella partita d’esordio contro il Marocco, ma fu nella seconda partita contro la Bulgaria che dimostrò tutto il suo valore. Nonostante lo svantaggio iniziale causato da un calcio di punizione di Asparuh Nikodimov, Libuda dominò la partita in modo assoluto. Segnò il gol del pareggio con un tiro-cross che mise in difficoltà il portiere Simeonov, poi fornì due assist per la tripletta di Müller e si procurò anche un calcio di rigore. La sua prestazione fu talmente devastante che l’allenatore bulgaro Stefan Bozhkov commentò che solo una pistola avrebbe potuto fermare Libuda quel giorno.

Tuttavia, nelle partite successive Libuda non riuscì a mantenere lo stesso livello di prestazione. Nei quarti di finale contro l’Inghilterra, venne sostituito da Jürgen Grabowski, una mossa che si rivelò vincente poiché sia Grabowski che Hannes Löhr contribuirono al gol decisivo di Müller nei supplementari. Nella semifinale contro l’Italia, entrato dalla panchina, Libuda fu comunque protagonista avviando le azioni dei due gol tedeschi nella “Partita del Secolo“, persa 4-3 dopo i supplementari. Nella finale per il terzo posto contro l’Uruguay, sia lui che la squadra offrirono una prestazione sottotono, ma riuscirono comunque a conquistare il terzo gradino del podio.

Quella del Messico sarebbe stata l’ultima grande manifestazione internazionale di Libuda. La sua carriera in nazionale si concluse nel 1972, durante le qualificazioni per gli Europei, in una partita contro la Polonia terminata 0-0. Il suo bilancio con la maglia della nazionale si fermò a 26 presenze e 3 reti, numeri che non rendono giustizia al suo talento. Lo scandalo del Bundesligaskandal, che lo coinvolse poco dopo, pose fine definitivamente alle sue ambizioni con la nazionale tedesca, privando la Germania di uno dei suoi giocatori più talentuosi proprio nel momento in cui la squadra si apprestava a vivere uno dei suoi periodi più gloriosi.

Gli ultimi anni e il tragico epilogo

Il ritorno allo Schalke 04 sembrava l’inizio di una nuova fase gloriosa. Nominato capitano di una squadra talentuosa che includeva futuri nazionali come Nigbur, Fichtel, Fischer e i fratelli Kremers, Libuda guidò la squadra vicino allo scudetto nel 1972. La vittoria della Coppa di Germania con un netto 5-0 sul Kaiserslautern sembrò confermare il suo momento magico.

Tuttavia, il coinvolgimento nel “Bundesligaskandal”, uno scandalo di partite truccate che coinvolgeva il Rot Weiss Oberhausen e l’Arminia Bielefeld, segnò l’inizio della fine. Costretto all’esilio in Francia allo Strasburgo, Libuda non fu più lo stesso giocatore.

Il suo declino fu tanto rapido quanto doloroso. Ritiratosi a soli 32 anni, la sua vita post-calcistica divenne un vortice di problemi: alcol, tabacco, relazioni complicate e investimenti sbagliati lo portarono alla rovina. La sua dipendenza dal fumo, già evidente durante la carriera quando sorprendentemente riusciva a mantenere alte prestazioni nonostante fosse un accanito fumatore, si rivelò fatale.

Negli ultimi anni della sua vita si trovò in condizioni di indigenza, costretto a vendere tutto, compresi i suoi trofei e persino la sua tabaccheria. Morì il 25 agosto 1996, a soli 52 anni, dopo aver lottato contro un cancro alla gola e in seguito a un ictus. La sua morte in solitudine e povertà rappresenta un drammatico contrasto con l’elettrizzante gioia che la sua figura, con quella caratteristica chioma bionda, aveva portato sui campi da calcio di tutta Europa.

Il parallelo con George Best e Garrincha non si limita solo alle capacità tecniche straordinarie, ma si estende tragicamente anche al destino personale: tre geni del calcio accomunati da un talento sublime e da un finale amaro, vittime forse della loro stessa incapacità di gestire la fama e il successo.