L’Italia di Valcareggi: i migliori anni della nostra vita

L’allenatore triestino eredita l’Italia dopo il disastro-Corea, vince il Campionato d’Europa del 1968, guida gli azzurri al secondo posto a Messico 1970 e lascia dopo l’inaspettata resa di Stoccarda (1974).

1: IL FIGLIO DEL… FABBRI

Quando dopo i Mondiali 1966 Mondino Fabbri smonta dal cavallo azzurro, 18 sono le vittorie della sua Nazionale, 6 i pareggi e 5 le sconfitte. Dopo Vittorio Pozzo, nessuno aveva fatto meglio. Ma Middlesbrough è la sua tomba e il dentista coreano Pak Doo Ik è il suo becchino. Si celebra a furor di popolo e di critica il disarcionamento di «Topolino». Mondino Fabbri balla una sola estate e chiude con gli spaghetti coreani in salsa genovese (pomodori all’aeroporto al rientro dall’Inghilterra, i conti sono in… rosso).

Si ricomincia. Helenio Herrera fa capolino in Nazionale. È tempo di maghi. Ferruccio Valcareggi, uomo di calcio e di lentiggini, è il commissario tecnico. Il famigerato Habla Habla suggerisce e basta. Naturalmente, suggerisce otto giocatori della sua Inter per la Nazionale della riscossa: ce n’erano quattro a Middlesbrough. Tramonta così la Nazionale «bolognese» di Fabbri e appare la Nazionale «interista» di H.H. Tutti orgogliosamente in difesa a pedalare. Gigi Riva, quando verrà il suo momento, esalterà il modulo a una punta. Viva l’Italia!

Valcareggi è zio Uccio per tutti, bonomia e saggezza. Incassatore formidabile, assorbe critiche, ironie e interviste. Sostiene l’accoppiata con Herrera per quattro partite, poi alza le sue vele, unico skipper sulla barca azzurra, e va. Zio Uccio ha fatto esperienza con Fabbri, ha seguito da vicino il lavoro di Pozzo. Ha pochi vocaboli ma gli bastano per difendere sempre la sua Nazionale. «Il gioco è stato brioso». Mai frase ripetuta sistematicamente in ogni occasione, buona o cattiva che fosse, ha scoraggiato la critica più insistente. E zio Uccio non è tipo che vada in tilt. Sorride con tutte le sue lentiggini e crede nello Stellone.

Dentro è uno splendido mulo triestino, fuori è venato di bonomia bolognese con bella presenza e frecciate da antico ragazzo di San Frediano. I suoi domicili di calciatore (è stato un nomade, ha giocato in otto squadre) lo hanno impastato così. Allena, tra le prime squadre, il Prato inaugurando la moda degli allenatori che dal Prato finiscono alla Nazionale (lo imiterà Bearzot). Ha l’altezza che non aveva Mondino e questo è già un vantaggio sulla critica più… bassa. E poi «la partita è stata briosa», buonanotte, e tutti a casa. Questo figlio di un… Fabbri, che al momento opportuno ribalta astutamente il disastroso giudizio sui coreani definiti «tanti Ridolini», farà molta strada. Sarà un vecchio lupo di pelo rosso che guiderà la Nazionale 54 volte perdendo solo sei partite.

Quando zio Uccio avrà compiuto i sessant’anni (nel 1979), ed è ormai un patriarca del calcio che si autodefinisce con gioia «un uomo felice, ricco e conosciuto», statistici molto precisi rivelano che questo magnifico uomo del pallone per 46 anni si è spogliato ogni giorno per fare calcio, e quindi è sceso in campo sedicimila volte, ha vinto il Seminatore d’oro due volte, vince con la Nazionale il Campionato d’Europa del 1968, guida gli azzurri al secondo posto in Messico 1970 e alla inaspettata resa di Stoccarda (1974).

Dopo di che, anche per lui giubilazione e grande popolarità (le vittime piacciono). Il suo motto era «meno si parla, meno si sbaglia». Glielo aveva insegnato Rigotti, un allenatore che Uccio ebbe nel 1933 quand’era alla squadra-ragazzi della Triestina. Non l’ha mai dimenticato anche quando avrebbe potuto svelare piacevoli altarini azzurri. È rimasto sempre il gentiluomo-Valcareggi.

2: PRIMI PASSI

Smaltita una partita «di rinascita» con l’Unione Sovietica (Milano, primo novembre 1966, ciabattata di Guarneri nella porta del grande Jascin: si vince così), la Nazionale di zio Uccio parte alla conquista del Campionato d’Europa 1968 per rifarsi il dente del giudizio strappatogli dal coreano odontoiatra. Facchetti è il capitano del nuovo corso. Due del Napoli, Juliano e Bianchi, rafforzano l’Inter-Nazionale. Con Romania, Cipro e Svizzera è uno scherzo andare alla qualificazione europea. Rattrista l’ascesa il primo infortunio di Gigi Riva. Alla sua terza partita, gli frana addosso Americo portiere del Portogallo (in amichevole) fratturandogli il perone sinistro.

Espugniamo Bucarest (25 giugno ’67) con un tiro lungo di Bertini, la Grande Bertha. Rientra Riva che, con Sandrino Mazzola, seppellisce di gol i poveri ciprioti. Il grande Gigi, da solo, pareggia poi due gol degli svizzeri a Berna. Escono dalla Nazionale Bulgarelli e Pascutti. Quando non c’è Riva, Pierino Prati, piede milanista valorizzato da Rivera, segna gol decisivi. Ne fa uno a Sofia (Bulgaria-Italia 3-2) in finale di partita sul solito assist di Rivera, e Valcareggi ricorderà quel gol come una felice premonizione. Zio Uccio detterà ai suoi agiografi che la sua vittoria più bella è stata appunto la… sconfitta di Sofia perché al gol di Prati «guardai in cielo e mi dissi che ce l’avevamo fatta, eravamo in semifinale». In effetti il 2-3 era pienamente ribaltabile nel return-match di Napoli, e così fu. Nel ritorno Prati bucò ancora i bulgari, imitato da Domenghini (2-0). Tra i pali, per la prima volta, Dino Zoff, il cavaliere del futuro.

3: MONETINA NAPOLETANA

A quei tempi, Napoli e il suo stadio di Fuorigrotta erano considerati autentici portafortuna. Il giorno dell’inaugurazione del San Paolo (6 gennaio I960) avevamo battuto allegramente la Svizzera. E, poi, a Napoli, era franata la Scozia, nel ’65, ultimo intoppo per Inghilterra ’66.

Il Campionato d’Europa 1968 si conclude in Italia, semifinali e finale. Invitiamo l’Urss a Napoli-portabuono per la nostra semifinale. Domenghini, grande mulo col numero sette, scuote inutilmente un palo della porta sovietica, 0-0 anche dopo i supplementari: di corsa negli spogliatoi per il sorteggio. Il pubblico resta muto sugli spalti. Ma San Gennaro non dice mai di no. Monetina napoletana prima bizzosa (rimane in bilico su una fessura), poi napoletanamente preziosa. Testa o croce non ha importanza, Facchetti ha scelto testa e testa ha da essere. L’arbitro Tschenscher dice Italia. Le monete napoletane hanno due teste, o due croci. Napoli è grande per questo. Facchetti risale le scalette del sottopassaggio, ricompare in campo. Boato indimenticabile mentre mostra la moneta miracolosa, quel 5 di giugno del ’68, al calar della sera, sotto Posillipo.

4: E DUE FINALI

Via per la marcialonga romana. Finalissima europea contro la Jugoslavia. Sono indisponibili Rivera, Riva e Mazzola. Debutta Pietruzzo Anastasi, catanese nero e acrobatico. Tra gli slavi primeggiano Pantelic in porta e l’ala sinistra Dzajic, definito l’espresso di Belgrado: fila come un treno, ha un sinistro del diavolo. Ma a Dzajic basta un mezzo tiro per far rotolare il pallone nella porta di Zoff. Siamo in svantaggio. E la Jugoslavia ha appena eliminato, in semifinale, l’Inghilterra di Bobby Charlton.

Siamo alle strette. Ritornano i fantasmi delle ultime débàcle con gli slavi: dieci gol nelle porte dei nostri Viola e Lovati in due partite. Domenghini, abbonato ai pali, coglie stavolta una traversa. Sul punto di affogare, mancano dieci minuti all’amen, magistrale punizione di «Domingo», palla dentro 1-1, altri supplementari e ripetizione della partita due giorni dopo, di lunedì.

Catenaccio di Valcareggi sulla formazione. Slavi al lumicino delle disponibilità mentre Zio Uccio cambia cinque uomini. I «freschi» si chiamano Rosato, Salvadore, Mazzola, De Sisti e Riva. Gli slavi barcollano. Riva li fulmina dopo 12’, Anastasi raddoppia alla mezz’ora. Otto club riforniscono la Nazionale Campione d’ Europa: il Napoli (Zoff), l’Inter (Burgnich, Facchetti, Domenghini e Mazzola), il Milan (Rosato), il Bologna (Guarneri), la Juventus (Salvadore), il Varese (Anastasi), la Fiorentina (De Sisti), il Cagliari (Riva). Vince tutta l’Italia. Dopo tante delusioni, un trionfo. Si accende nella notte romana il tabellone luminoso dell’Olimpico: «Italia».

5: CANTA IL GALLES

Campioni d’Europa, bella è la vita. Le novità della Nazionale di Valcareggi sono Zoff, De Sisti, e Pietruzzo Anastasi che molti paragonano a Farfallino-Borel. Intanto, monta la marea dei gol di Gigi Riva che sarà Rombo-di-tuono (copyright Gianni Brera). Difesa collaudatissima, nella notte romana in cui diventiamo stelle europee, dalle 24 presenze azzurre di Tarcisio «Roccia» Burgnich e dalle 37 di Giacinto Facchetti, terzino-mannequin che sfila col gol ai piedi. E Roberto Rosato, detto Baby-face, fratello gemello di Rivera (sono nati lo stesso giorno, nello stesso anno, 18 agosto 1943), piemontesi entrambi, ha già sedici gettoni all’attivo. Guarneri e Salvadore sono vecchi lupi d’area. Sandrocchio Mazzola ha doppiato le trenta partite. Entra ed esce Rivera, anch’egli oltre le trenta. Mazzola e Rivera, Rivera e Mazzola: croce e delizia della Nazionale di zio Uccio. Domenghini è il mulo parlante di una squadra azzurra che spesso non sa parlare di gol.

E, così, sta ormai in sella la stirpe di coloro che saranno definiti «i messicani». Pochi ritocchi, qualche ricambio: ed è fatta. Albertosi, Bertini, Boninsegna, Cera verranno avanti anch’essi e ci faranno sognare. Tra panchina e campo, in mezzo a tanti assi, Antonio Juliano primo napoletano verace in maglia azzurra, un prodigio di carattere, dal Vesuvio con onore.

Per Messico ’70 si comincia a Cardiff, novità assoluta nel carnet delle trasferte. Mazzola in panchina, gioca Rivera. Giostriamo per la prima volta da Campioni d’Europa e chiediamo un lasciapassare per i prossimi Mondiali sulle alture degli aztechi. Ninian Park, un gioiello di paese, ventimila spettatori. Gallese era William John Charles, il gigante della Juve che faceva da torre a Sivori. È tutta qui la nostra cultura sul Galles-football. Non siamo preoccupati e andiamo in campo quasi impettiti. Però facciamo gran confusione. Ci salva Riva a metà partita. Si profilano staffette. Mazzola entra al posto di Anastasi. Non incantiamo nessuno. Però 1-0 che ci va bene.

6: MESSICO E NUVOLE

E andiamo a saggiare l’altura in programma, mondiale per il ’70. Come si gioca a duemila metri? Combiniamo due partite amichevoli con il Messico allo Stadio Azteca, 1 e 5 gennaio 1969. Tournée di ambientamento, mandiamo in passerella sedici giocatori. Sgarbati al primo incontro: battiamo i messicani all’89’ con Riva (3-2). Oh, Dio! Ci saremo mica scoperti? Facciamo 1-1 nella ripetizione, sempre un tantino sgarbati, ma stavolta è solo pareggio, all’89’, di Bertini. Parliamo già di altura, ma dovremo pur sempre passare su Galles (return-match) e Germania Orientale prima di essere in… cielo.

Non ci sono problemi: allegri, c’è Riva! A Berlino Est facciamo 2-2, due gol di Riva. Diamo quattro pappine al Galles a Roma, tre gol di Riva. A Napoli (porta-buono) il ritorno coi tedeschi-est è 3-0 tondo. Riva si limita a fare un gol (splendido) dei tre.

7: GIGI RIVA

Sono sette i gol di Riva che ci fanno volare sino al Messico. Questo ariete, che viene paragonato a Piola, marcia alla bella media di più di un gol a partita. Come un vero cacciatore (di gol) ha la «doppietta» pronta, senza negarsi al tris (triplette a
ciprioti e gallesi). Gigi Riva debutta in nazionale a Budapest, 27 giugno ’65, sostituendo Pascutti infortunatosi all’8’. Farà il turista in Inghilterra (Mondiali ’66) con Bertini e Juliano. Comincia a scatenarsi alla batteria nella sua quarta partita azzurra: stadio (e ballo) di San Vito, Cosenza, tre siluri tutti in una volta contro la nave di Cipro (da Cipro avanzando veleggia la nave crociata latina, Jaufré Rudel poeta: Riva scuote anche gentili ricordi di scuola). Si legge subito: avesse il destro, sarebbe il miglior centravanti del mondo.

Nasce due volte, dicono. A Leggiuno (Varese) prima, a Cagliari come bomber dopo. Segno dello scorpione, propizio agli atleti, nasce realmente di martedì alle due del mattino, il 7 novembre del 1944. La sua è una povera casa, l’adornano un pesco e un nespolo. Il lago è vicino, anche l’oratorio (e il pallone dell’oratorio). Da bimbo, tifa Inter. Una pressa gli uccide il padre operaio e lascerà un’ombra di malinconia nei suoi occhi castani.

Non sarà facile la sua vita. Lo chiamano «Luigino lo Smilzo». Finisce sul giornale («Cronaca Prealpina») segnando quattro gol in una finale che il Leggiuno vince sulla Gaviratese (8-4). A sedici anni viene cartellinato dal Laveno: ventimila lire di ingaggio più duemila lire a punto, ma anche l’abbonamento gratis per la corriera Leggiuno-Laveno. Lo segue l’Inter, ma lo prende il Legnano a diciotto anni (è alto 1,80 e si sta irrobustendo, non è più lo smilzo). Piace al Milan, ma Gipo Viani lo boccia (Nereo Rocco invece lo prenderebbe a occhi chiusi). Il Bologna offre 50 milioni (Bernardini è entusiasta), ma lo prende il Cagliari per un milione in più.

Nascerà col tempo il suo amore per la Sardegna: all’inizio, piuttosto che finire a Cagliari smetterebbe di giocare (si dice sempre così). Silvestri lo scopre «nato per il gol». Poi va a scuola di vita dal filosofo Scopigno. Diventa il beniamino di tutta un’isola e i suoi gol vi pianteranno uno scudetto memorabile. Lo boccia anche Herrera il mago, a contratto già firmato (l’Inter l’avrebbe pagato 400 milioni, 1966). Quattro anni dopo, a suon di gol, porta il Cagliari alle stelle (scudetto) e l’Italia in Messico. Il suo bilancio finale in Nazionale sarà di 42 partite e 35 gol. È il cannoniere azzurro di tutti i tempi.

8: SALVADORE NON SI SALVA

Sorprese e palpiti prima di imbarcarsi sulle Aerolineas do Mexico. A Madrid si castra Sandro Salvadore. Giochiamo in amichevole, veleggiamo sull’allegro vantaggio di due gol (Anastasi e Riva, l’accoppiata europea) e il nostro bel difensore fa due autogol: depennato dalla lista per l’altopiano azteco. Intanto, Riva è scatenato: altri due gol a Lisbona (Italia-Portogallo 2-1). Grande festa. Dà forfait Anastasi e, rintracciato mentre era a pesca di trote, Roberto Boninsegna viene incluso nel volo per Città di Messico: sarà il centravanti azzurro.

I ventiduesono questi. Portieri: Albertosi, Zoff e Vieri. Difensori: Burgnich, Cera, Facchetti, Po-letti, Niccolai, Ferrante, Rosato, Puia. Centrocampisti: Furino, Bertini, Mazzola, De Sisti, Rivera, Juliano. Attaccanti: Domenghini, Boninsegna, Riva, Gori, Prati. In più Lodetti, offeso come giocatore e umiliato come turista. Scudiero di Rivera, è fatto fuori: ecco tutto. Un ventitreesimo non giocatore.

9: GUERRA DI PAROLE

Intanto picchiano i titoli scettici dei giornali italiani: verso Valcareggi c’è poca fiducia. «Una Nazionale senza schemi e senza nerbo». «Con gli abatini a centrocampo, in Messico saranno guai». Il debutto azzurro è fissato a quasi tremila metri, Estadio Bombonera, Toluca. «Arriba los azules». E siamo nel ballo mondiale. Su tutto l’altopiano dei Maya corre un solo grido «Mexico, Mexico, ra-ra-ra» sottolineato da tamburi, clacson e piedi impazienti. Nella piazza di Toluca ballano gli indios. Porteranno bene. Paròn Rocco dà una scossa di dialettale buonumore: «Via via, femo fora sti svenska». Si gioca contro la Svezia, è chiaro.

Riva è su tutti i giornali messicani. Viene definito «el emperador». Dove ci porteranno i suoi gol? Grandi foto indicative: accostate, sui giornali in piena euforia, la scarpa destra di Pelè e la scarpa sinistra di Riva. Amichevole col Toluca, prima di cominciare, sotto gli occhi spioni di Bergmarck, c.t. degli svedesi che prepara la sua trappola per Riva. La trappola si chiama Olsson, figliuolo ostico anche a sua madre, peggio come terzino.

E, nel frattempo, grandi congiure di palazzo. Walter Mandelli, torinese, presidente del settore tecnico della Federcalcio, ottimo sciatore ed eccellente giocatore di golf, impone Mazzola e defila Rivera. Il bimbo d’oro minaccia di piantare Messico e burattini e di far ritorno in Italia. Ci vuole tutta l’abilità di Rocco per fermarlo. Scandalo soffocato, nervosismo nell’aria. Andiamo alla partita alle quattro del pomeriggio. Gran caldo, gran tifo. Praticamente giochiamo sulle… Alpi (2680 metri): Toluca è il tetto dei Mondiali ’70.

10: SANTO DOMINGO

Per Riva non c’è solo il truce Olsson, ma anche la mezz’ala Cronqvist! Ma al 10’ Domenghini infila la sua gran ciabattata che, unica e sola, ci porta nei quarti di finale. Santo Domingo! Il gol rifilato alla Svezia ci fa filare veloci come il vento. Per il clamoroso modo di mettere a frutto tanto poco, un gol e via, la nostra Nazionale viene definita una «Cassa di risparmio». E sia.

In Italia, sgomento di Scopigno filosofo burbero: «Tutto mi sarei aspettato dalla vita ma non di vedere Niccolai via satellite». Il povero Niccolai dura al Mondiale solo 37’: lo svedese Kindvall, vichingo truce, non ne sopporta la guardia stretta e lo mette kappaò. Ma Kindvall non sa che il peggio viene sempre dopo. E arriva per lui Baby-face Rosato: Kindvall non s’avventura più nel fiordo italiano. Non c’è Rivera in campo (Mandel-sson non vuole). C’è Mazzola. Il libero è Cera. De Sisti è il nostro giocatore tattico. Riva latita. L’altura, la grande attesa, il controllo asfissiante degli avversari lo strappano dal piedistallo di uomo-gol.

Contro Uruguay e Israele sono due 0-0 che mortificano la «porrà» (il tifo) italiana. Ma regge sempre quel gol di Domingo. Con un gol in tre partite, Valcareggi sbarca nel turno successivo. Domingo annaspa per la sua generosità: lo sostituisce Furino nel secondo tempo contro l’Uruguay (se ne lamenta Domingus Christus Superstar); lo sostituisce Rivera (!) nel secondo tempo contro Israele.

11: LA STAFFETTA

Ma la vera staffetta, quella tra Mazzola e Rivera, nasce nella partita col Messico, ancora alla Bombonera di Toluca, domenica 14 giugno 1970. Ordini perentori al Baffo: a tutta birra per tutto il primo tempo, poi ci penserà Rivera. Valcareggi ha trovato la soluzione? Comunque, va a meraviglia. El senor Gonzales ci fa il torto di un gol. Domenghini, che ha rifatto il pieno di ossigeno, ci mette un’altra ciabattata delle sue e ci assicura il pareggio con la gentile collaborazione del capitano messicano Pena (autogol). Secondo tempo: fuori Mazzola, entra Rivera. Olè. Passaggio a Riva: 2-1. Gol personale: 3-1. Rivera sei tutti noi! E Riva addobba il 4-1 finale. Graziosamente Domenghini lascia che Gori giochi gli ultimi sei minuti di questa partita.

Siamo in semifinale coi tedeschi. Partita consegnata alla leggenda azzurra e targa-ricordo allo Stadio Azteca. Ping-pong di gol nel finale dei 120 minuti. Vivacchiamo su un gol-lampo di Boninsegna (8’). Rosato manca di rispetto a Kaiser Franz, e Beckenbauer ci
rimette un braccio (frattura della clavicola). Il Kaiser continua a giocare col braccio al collo, è tutto molto eroico. La Cassa di Risparmio funziona. Quest’altro unico gol ci porterà in finale? Schnellinger (che gioca da noi, biondo di un biondo!) si avvia verso l’uscita quando gli arriva (è il 90’) l’ultima palla buona. Scatta e va, e fa l’1-1.

Supplizio e angoscia dei supplementari. Ci schiacceranno i panzer? Macché. Brilla lo Stellone di Valcareggi che intanto, fra primo e secondo tempo, effettua la gherminella ormai classica e irrinunciabile: fuori Mazzola, dentro Rivera. E Giannino d’oro è il protagonista dell’ineffabile mezz’ora supplettiva. Intanto Muller Gerd, rapinatore di gol, si inserisce in un malinteso fra Albertosi e Poletti (che ha sostituito Rosato) e segna il 2-1. Roccia Burgnich andato avanti in apnea fa il 2-2, siamo fuori da ogni regola e previsione ed è il momento magico. I tedeschi boccheggiano (Kaiser Franz col braccio al collo), Riva gli infila il 3-2. Fine del primo tempo supplementare.

Poi c’è il tutto-Rivera. Prima il Gianni si inchina a una palletta di Gerd Muller lasciandosela passare sul palo dove fa da guardiano (Albertosi vorrebbe picchiarlo), poi di grande piatto destro, molto elegante e spiazzante, va a fare il 4-3, conclusivo, trionfale, stramazzante. I tedeschi da soli sessanta secondi avevano riconquistato la parità. Addio uber alles. Ci guadagniamo la finale. Tifa per noi Merle Oberon, attrice dai bellissimi occhi neri. Siamo i protagonisti nel grande stadio messicano dell’architetto Pedro Ramirez costato dieci miliardi di lire. Ma sai chi ci aspetta? Pelè!

12: VICECAMPIONI

E siamo già saturi di gloria dopo grandi digiuni. Il secondo posto è assicurato, la squadra è stanca e soddisfatta. Italia-Brasile, finalissima mondiale 1970, è la nostra terza finale mondiale. In finale non ci arrivavamo da trentadue anni. Bisognerebbe andare in campo con gente fresca, ma Valcareggi non ha il coraggio di cambiare, di «mischiare le carte» ai brasiliani. Loro ci hanno studiato in TV. Ci conoscono bene. Pelè si alza come un elicottero, la testa e il braccio destro teso di Burgnich si protendono disperatamente. Il re incorna da lassù il cross di Rivelino. Pelè alto nero e leggero, morbido e irresistibile, leopardo allungato, sigla 1’1-0 di classe. Ci illude Bonimba (già, Boninsegna!) con l’1-1.

Nella ripresa non siamo più una squadra, siamo la spiaggia di Dunquerque. E il Brasile vi sbarca felice. Cannonata di Gerson: 2-1. Numero di Pelè che consente a Jairzinho il 3-1. Arriva da lontano Carlos Alberto e fa quattro. Non c’è staffetta stavolta. Juliano (sostituisce Bertini) gioca l’ultimo quarto d’ora. I sei inutili minuti finali di Rivera (Ferruccio fa uscire Boninsegna) faranno epoca, record e polemica. Brasile campione, noi vice. Per un’ora abbiamo resistito sulla mattonella, poi il samba ci ha storditi. Vicecampeaos do mundo. Mas que nada!

13: PRATER AMARO

Gli orgogliosi «messicani», vicecampioni del mondo, atterrano a Fiumicino tra fischi e tentativi di linciaggio! Fremono le mille mamme di Rivera. L’ oltraggio dei sei minuti finali all’Azteca cancella l’impresa del secondo posto mondiale. Mandelli lascia, Valcareggi ovviamente resta. Abbiamo da riempire quattro anni prima del prossimo appuntamento mondiale. Amichevoli e campionato d’Europa ci faranno compagnia. In Europa siamo campioni, abbiamo un titolo da difendere.

Cominciamo in bellezza a Vienna, 31 ottobre 1970. Ormai siamo abituati ad espugnare la vecchia roccaforte danubiana, il Prater non ci fa paura. Infiliamo un bel 2-1, ma ci rimettiamo Riva al quale l’austriaco Hof fa saltare il perone destro. Riva resterà fermo un anno. Secondo grosso infortunio in maglia azzurra: la volta precedente gli era saltato il perone sinistro. Si va avanti: Prati all’ala, Boninsegna centravanti.

Ci sbarazziamo dell’Irlanda a Firenze (non sono più i tempi dei Blachflower). Arance marce a Cagliari per un’amichevole con la Spagna in cui Valcareggi non inserisce alcun cagliaritano: perdiamo la faccia e la partita. Non perdevamo in casa da dieci anni. Riscatto a Dublino, campionato d’Europa. Passiamo con Boninsegna e Prati. A porta vuota, Pierino la Peste manca l’1-0 a Stoccolma, ma battiamo agevolmente gli svedesi nel return-match di Milano: torna Riva e fa due gol, il terzo è di Boninsegna (3-0). A gonfie vele. Le amichevoli non ci piacciono: perdiamo ad Atene. Scandalo e allarme.

14: COM’È TRISTE BRUXELLES

Perdiamo però lo smalto anche nel campionato europeo. Siamo ai quarti di finale. Andata e ritorno col Belgio. I fiamminghi di Van Moer e Van Himst si chiudono a riccio a Milano, Piot sventa due palle-gol di Riva, è 0-0. Duro è il ritorno in Belgio. Sul campo dell’Anderlecht, erba fradicia e vento del nord, debutta Fabio Capello che prenderà il posto e il ruolo di De Sisti. Usciamo battuti (1-2). L’Europa ci dice di no (maggio 1972). Non siamo più i campioni, il titolo passerà ai tedeschi.

Cerchiamo novità. I «messicani» sono stanchi? Sono finiti? Valcareggi non li molla, avendoli nel cuore. Tenta qualche esperimento in una tournée-lampo nei Balcani. C’è un ritorno di Anastasi, Facchetti salta la tournée ed altre quattro partite. Verrà alla ribalta Bellugi. Siamo ormai alle qualificazioni mondiali per Germania ’74. Lussemburgo, Svizzera, Turchia sulla strada azzurra. Vogliamo tremare?

Tremiamo. Con Chinaglia e Riva terrorizziamo i semi-professionisti lussemburghesi sul loro piccolo campo. Ma è 0-0 con la Svizzera a Berna; e, peggio, è 0-0 con la Turchia a Napoli. A Istanbul, ritorno coi turchi: ci salva Anastasi. Fa una apparizione azzurra Furino (protagonista in Turchia), ma il futuro si chiama Benetti. E ci disponiamo al festival di gol col Lussemburgo a Genova: quattro di Riva, uno di Rivera. Siamo praticamente qualificati per i Mondiali del ’74. E così ci dedichiamo al 75esimo anniversario della Federcalcio e ad un vecchio tabù: l’Inghilterra.

Roma e Torino, sedi dei festeggiamenti tedeschi. Invitati d’onore il Brasile, campione del mondo, e l’Inghilterra, che non abbiamo mai battuto. A Roma, il Brasile disegna subito una melina destinata ad addormentarci. Noi cerchiamo vittorie di prestigio. Loro non hanno più Pelé e noi abbiamo Rivera in vena. Riva fa un gol comodo su un cross di Rivera mancato da Pulici. Nel secondo tempo, Capello spara una bomba sotto la traversa di Leao, la palla rimbalza sulla linea, l’arbitro ci dà il gol. Due a zero da anniversario. I brasiliani campioni del mondo presenti a Roma sono solo quattro: Clodoaldo, Piazza, Jairzinho e Rivellino. Non stiamo a sottilizzare. Abbiamo battuto il Brasile campione, 9 giugno 1973, altro non sappiamo.

E saliamo a Torino, 14 giugno. Nono confronto con gli inglesi. Mai gliele abbiamo date: quattro pareggi sono tutta la nostra gloria. Ora è gente più malleabile. E finito Bobby Charlton, Ramsey ha il suo daffare. Noi siamo in attesa da quarant’anni. Non c’è Riva, dobbiamo sbrigarcela in qualche modo. Ferruccio schiera Anastasi e Pulici come punte, Mazzola e Rivera interni, Capello tattico. Li stende Anastasi nel finale del primo tempo. Li impacchetta Capello nella ripresa. Quando entra Causio per sostituire Pulici, il «barone» li gioca con palleggi irridenti. Non è più l’Inghilterra di una volta, ma questo 2-0 ci piace e cancella un record negativo.

15: FINALMENTE

Cinque mesi dopo, novembre, andiamo a confermare la nostra lungamente attesa e sospirata vendetta: passiamo alla grande anche a Wembley. In un anno, battiamo per la prima volta gli inglesi in assoluto e sul loro campo. Nella notte di Wembley sibilano palloni selvaggi verso la porta di Zoff. Li scagliano Channon, Osgood e Peters. Dino rimedia con parate miracolose, a occhi chiusi, sotto i fari di Wembley. Il resto va fuori di poco. A quattro minuti dalla fine, gli rifiliamo la beffa memorabile. Chinaglia (una grande partita) scappa sulla destra e impegna Shilton, la palla sfugge al portiere. Capello ha seguito tutta l’azione e giunge puntuale a mettere dentro, nella porta vuota. 1-0. Bye-bye England!

Abbiamo finalmente battuto l’Inghilterra dopo 40 anni di disarmante attesa. In un anno solo, il 1973, l’abbiamo battuta due volte: a Torino e a Wembley. Un record. Non potevamo festeggiare meglio il 75esimo anniversario della Federcalcio. Per iniziare i festeggiamenti, avevamo battuto anche il Brasile, a Roma. In queste tre partite, si fa luce Fabio Capello che succede nei compiti tattici della Nazionale di Valcareggi a «Picchio» De Sisti. Ma Capello fa di più. Va in gol. Contro Brasile e Inghilterra segna tre volte: un gol ai brasiliani (contestato), due agli inglesi con quello decisivo della spettacolosa rapina a Wembley. Basta tutto questo per tornare a galla dopo l’eliminazione dal Campionato europeo. Siamo già qualificati per il Mondiale del ’74 in Germania.

E’ di nuovo la vie en rose. Coi tedeschi ci giochiamo una amichevole a Roma appena
quattro mesi prima dell’inizio del Mondiale. E il 26 febbraio 1974, zero a zero. Nessuno vuole scoprire le batterie. I «messicani» che resistono sono Burgnich, Facchetti, Mazzola, Rivera, Riva. Deve essere di zio Uccio Valcareggi il moto «i messicani logorano chi non ce li ha». Ma, intanto, sbandiamo a Vienna, ultima amichevole premondiale sulla strada per Stoccarda (0-0), si prevedono giorni grami in Germania.

«Newsweek» dedica una copertina a Zoff. L’ America ci guarda. Noi guardiamo sempre a Rivera. L’ex bimbo d’oro ha 31 anni, gioca da sedici. Dove vuole arrivare l’Italia di Valcareggi? Riva appare affaticato. Un dente del giudizio lo prostra in maniera allarmante. Che cosa succede?

16: MONACO 74

I ventidue scelti da Ferruccio per Monaco 74 sono i seguenti. Portieri: Zoff, Albertosi, Castellini. Difensori: Bellugi, Burgnich, Facchetti, Sabadini, Wilson, Morini, Spinosi. Centrocampisti: Benetti, Rivera, Mazzola, Capello, Re Cecconi, Juliano. Attaccanti: Causio, Anastasi, Boninsegna, Chinaglia, Pulici e Riva.

Giornate nervose al Castello di Ludwigsburg, ritiro azzurro tra boschi, vigne e frutteti, quindici chilometri fuori Stoccarda. Eppure i bookmakers ci danno alla pari dei tedeschi per la vittoria finale. I nostri si lamentano delle scarpette superleggere confezionate da un abile ma incompreso artigiano. Chinaglia ha i nervi tesi. Juliano ha qualcosa da ridire: è in gran forma, è il più in salute dei centrocampisti, ma gli dei non si toccano.

Il debutto è con Haiti allo Stadio Olimpico di Monaco, 15 giugno 1974. Tanta festa: cinquantamila italiani presenti, ne sono arrivati anche dal Canada. Ma Emmanuel Sanon viene avanti in contropiede (siamo tutti sotto la porta di Francillon, farfalla di Haiti, che fa numeri spettacolari fra i suoi pali) e stende un’ombra di Corea sul nostro esordio monacense. Uno a zero per i caraibici, hai visto mai? Zoff era imbattuto da 1143’: in dodici partite di fila non aveva più preso un gol.

Riva e Chinaglia non riescono a districarsi fra i guardiani dell’isola, ma, in mezza mischia. Rivera agguanta il pareggio. Poi ci mette in vantaggio l’haitiano Auguste con un autogol. Chinaglia cicca una palla-gol e Valcareggi lo sostituisce col più agile e fremente Anastasi. Apriti cielo!

Long John lascia il campo visibilmente contrariato (eufemismo). E alla panchina azzurra, che lo applaude, Chinaglia che si ritiene preso in giro fa un bel gesto all’italiana. Dopo di che, nello spogliatoio, si produce in un «assolo» di rotture di bottiglie. In campo segna Anastasi e finisce 3-1. La mancata goleada contro Haiti ci costerà, a gioco lungo, l’eliminazione. Intanto, processo a Chinaglia. Come per Rivera in Messico fu di aiuto Rocco, ora è Maestrelli che deve ammansire il bisonte infuriato. Chinaglia si ammansisce davanti al suo maestro, o finge. Ma l’aria che spira al Castello di Ludwigsburg è tetra. Facciamo 1-1 con l’Argentina a Stoccarda. Ci giochiamo il passaggio alle semifinali con la Polonia. Ci basterebbe un pareggio.

17: GAME OVER

Corre voce di un accordo coi polacchi. Ci starebbero. Ma siamo italiani e non si fidano. La loro condizione è questa: dobbiamo tener fuori squadra Chinaglia e Anastasi. Solo così può venir fuori 0-0, e passiamo insieme il turno. Ma non dobbiamo aver capito bene. Oppure, a nostra volta, non ci fidiamo. Valcareggi schiera proprio Chinaglia e Anastasi. Restano fuori Rivera e Riva, invischiati nelle trame del Castello.

A Stoccarda, piena di italiani, è una giornata di sole sfolgorante. Si gioca nel pomeriggio, è il 23 giugno 1974. E non abbiamo fortuna. Anastasi va subito gambe all’aria e l’arbitro tedesco Weyland ci nega il sacrosanto rigore. Nel finale del primo tempo, si infortuna Burgnich, entra Wilson, disorientamento in difesa: i polacchi ci infliggono l’uno-due con Szarmach e Deyna. Entra Boninsegna nella ripresa, andiamo all’assalto. Anastasi colpisce un palo. Il portiere annulla una palla-gol a Facchetti. Tutto si spegne nelle mani del gigantesco Tomaszewski, guardiano-beat. Riusciamo a infilare un gol con Capello a cinque minuti dalla fine, ma 1’1-2 ci condanna.

Passano alle semifinali la Polonia (6 punti) e l’Argentina che ha gli stessi punti nostri (3) ma una migliore differenza-reti. In realtà, hanno deciso le partite con Haiti: noi l’abbiamo battuto per 3-1, gli argentini per 4-1. E qui sta la differenza. Stoccarda amara, torniamo a casa. Azzurri, go home. Pollice-verso per Valcareggi. Il suo ciclo è finito, è durato sette anni: campione d’Europa e vicecampione del mondo. In Germania tramontano altre stelle: Rivera, Mazzola e Riva non giocheranno più in Nazionale.

DataRisultatoCompetizione
01/11/1966Italia – Unione Sovietica 1 – 0Amichevole
26/11/1966Italia – Romania 3 – 1Qual. Europeo 1968
22/03/1967Cipro – Italia 0 – 2Qual. Europeo 1968
27/03/1967Italia – Portogallo 1 – 1Amichevole
25/06/1967Romania – Italia 0 – 1Qual. Euro 1968
01/11/1967Italia – Cipro 5 – 0Qual. Euro 1968
18/11/1967Svizzera – Italia 2 – 2Qual. Euro 1968
23/12/1967Italia – Svizzera 4 – 0Qual. Euro 1968
06/04/1968Bulgaria – Italia 3 – 2Qual. Euro 1968
20/04/1968Italia – Bulgaria 2 – 0Qual. Euro 1968
05/06/1968Italia – Unione Sovietica 0 – 0 dtsEuro 1968 – Semifinale
08/06/1968Italia – Jugoslavia 1 – 1 dtsEuro 1968 – Finale
10/06/1968Italia – Jugoslavia 2 – 0Euro 1968 – Finale
23/10/1968Galles – Italia 0 – 1Qual. Mondiali 1970
01/01/1969Messico – Italia 2 – 3Amichevole
05/01/1969Messico – Italia 1 – 1Amichevole
29/03/1969Germania Est – Italia 2 – 2Qual. Mondiali 1970
24/05/1969Italia – Bulgaria 0 – 0Amichevole
04/11/1969Italia – Galles 4 – 1Qual. Mondiali 1970
22/11/1969Italia – Germania Est 3 – 0Qual. Mondiali 1970
21/02/1970Spagna – Italia 2 – 2Amichevole
10/05/1970Portogallo – Italia 1 – 2Amichevole
03/06/1970Italia – Svezia 1 – 0Mondiali 1970 – 1º turno
06/06/1970Italia – Uruguay 0 – 0Mondiali 1970 – 1º turno
11/06/1970Italia – Israele 0 – 0Mondiali 1970 – 1º turno
14/06/1970Italia – Messico 4 – 1Mondiali 1970 – Quarti di finale
17/06/1970Italia – Germania Ovest 4 – 3 dtsMondiali 1970 – Semifinale
21/06/1970Brasile – Italia 4 – 1Mondiali 1970 – Finale
17/10/1970Svizzera – Italia 1 – 1Amichevole
31/10/1970Austria – Italia 1 – 2Qual. Euro 1972
08/12/1970Italia – Irlanda 3 – 0Qual. Euro 1972
20/02/1971Italia – Spagna 1 – 2Amichevole
10/05/1971Irlanda – Italia 1 – 2Qual. Euro 1972
09/06/1971Svezia – Italia 0 – 0Qual. Euro 1972
25/09/1971Italia – Messico 2 – 0Amichevole
09/10/1971Italia – Svezia 3 – 0Qual. Euro 1972
20/11/1971Italia – Austria 2 – 2Qual. Euro 1972
04/03/1972Grecia – Italia 2 – 1Amichevole
29/04/1972Italia – Belgio 0 – 0Qual. Euro 1972
13/05/1972Belgio – Italia 2 – 1Qual. Euro 1972
17/06/1972Romania – Italia 3 – 3Amichevole
21/06/1972Bulgaria – Italia 1 – 1Amichevole
20/09/1972Italia – Jugoslavia 3 – 1Amichevole
07/10/1972Lussemburgo – Italia 0 – 4Qual. Mondiali 1974
21/10/1972Svizzera – Italia 0 – 0Qual. Mondiali 1974
13/01/1973Italia – Turchia 0 – 0Qual. Mondiali 1974
25/02/1973Turchia – Italia 0 – 1Qual. Mondiali 1974
31/03/1973Italia – Lussemburgo 5 – 0Qual. Mondiali 1974
09/06/1973Italia – Brasile 2 – 0Amichevole
14/06/1973Italia – Inghilterra 2 – 0Amichevole
29/09/1973Italia – Svezia 2 – 0Amichevole
20/10/1973Italia – Svizzera 2 – 0Qual. Mondiali 1974
14/11/1973Inghilterra – Italia 0 – 1Amichevole
26/02/1974Italia – Germania Ovest 0 – 0Amichevole
08/06/1974Austria – Italia 0 – 0Amichevole
15/06/1974Italia – Haiti 3 – 1Mondiali 1974 – 1º turno
19/06/1974Italia – Argentina 1 – 1Mondiali 1974 – 1º turno
23/06/1974Polonia – Italia 2 – 1Mondiali 1974 – 1º turno