Uno dei drammi meno conosciuti e più sconvolgenti è legato al Pakhtakor Tashkent, squadra uzbeka che nel 1979 perì in un’incredibile tragedia aerea.
La società di cui parliamo aveva la propria sede nella capitale uzbeka di Tashkent, all’epoca parte dell’Unione Sovietica, e si chiamava Pakhtakor (che letteralmente significa “coltivatore di cotone”), in riferimento al ruolo dell’Uzbekistan come importante esportatore di questa materia prima.
Il 11 agosto 1979, la squadra salì a bordo di un Tupolev Tu-134, un aereo di linea commerciale, insieme ad altri quasi 100 passeggeri per volare da Tashkent alla capitale bielorussa Minsk, dove avrebbero dovuto affrontare la Dinamo locale. Quello stesso giorno, però, i cieli dell’Ucraina erano molto affollati perché il leader sovietico Leonid Breznev stava volando verso la Crimea con il suo aereo privato, causando problemi allo spazio aereo.
Durante il volo, l’aereo del Pakhtakor fece uno scalo all’aeroporto di Donetsk in Ucraina. Dopo essere ripartito, mentre sorvolava la città di Dniprodzerzhynsk, si verificò la tragedia.
Per un errore dei controllori di volo, l’aereo del Pakhtakor si ritrovò sulla stessa rotta di un altro aereo diretto in Moldavia con circa 100 passeggeri a bordo. Dopo essersi accorti dell’errore, i controllori ordinarono all’altro aereo di salire sopra quello del Pakhtakor. Una voce alla radio rispose “Capito“, ma proveniva da un terzo aereo di passaggio.
Seguendo le istruzioni sbagliate, i due aerei si avvicinarono pericolosamente fino a scontrarsi frontalmente a quasi 10.000 piedi di altitudine. L’impatto devastante non lasciò scampo: morirono tutti i 178 passeggeri dei due voli, compresi 14 giocatori e 3 membri dello staff del Pakhtakor.

Tra quelle vittime innocenti c’erano 17 tra calciatori e membri dello staff tecnico del Pakhtakor, una formazione che non solo era l’unica a rappresentare l’Uzbekistan nella massima serie, ma incarnava l’orgoglio di un’intera regione di oltre 15 milioni di anime. In un sol colpo, la repubblica sovietica aveva perso la sua squadra del cuore, la sua bandiera sportiva più gloriosa.
La portata di quella sciagura avrebbe potuto segnare la fine del Pakhtakor per sempre. Perdere un’intera rosa di giocatori, insieme a parte dello staff tecnico, è un colpo praticamente insanabile per qualsiasi società calcistica. Eppure le radici di quel club affondavano talmente in profondità nel cuore degli uzbeki che l’idea di arrendersi non fu mai presa in considerazione.
Nonostante la devastante perdita di 14 giocatori e 3 membri dello staff tecnico, il club non crollò. Anzi, riuscì a ricomporre una nuova squadra in tempi rapidissimi, grazie alla solidarietà delle autorità calcistiche sovietiche. Solo 12 giorni dopo l’incidente, il Pakhtakor tornò in campo con una formazione completamente rinnovata, composta da giocatori prestati da altre squadre su ordine della lega.
L’allenatore Oleh Bazylevych, che non era sull’aereo quel tragico giorno, ebbe l’arduo compito di ricostruire la squadra da zero. Per agevolare il processo di ricostruzione, la lega concesse al club anche un’immunità dalla retrocessione per le successive tre stagioni. Un aiuto che alla fine non servì, perché il nuovo Pakhtakor si dimostrò competitivo fin da subito.

Nella stagione 1979, appena terminata la ricostruzione, la squadra riuscì a classificarsi all’ottavo posto finale. Un risultato insperato, considerando il dramma appena vissuto.
Nei due anni successivi, il Pakhtakor continuò a lottare ai vertici della classifica, a dimostrazione di una rapidissima e straordinaria ripresa. Il culmine fu raggiunto nel 1982 con un sesto posto, eguagliando il miglior piazzamento nella storia del club risalente a 20 anni prima.
Il culmine di quella risalita avvenne nel 1992, quando l’Uzbekistan divenne una nazione indipendente e il Pakhtakor poté finalmente erigersi a simbolo di un intero stato, vincendo il primo campionato nazionale. Da quel momento in poi, la squadra di Tashkent ha conquistato altri 15 titoli (dato del 2023), diventando la forza calcistica dominante del Paese.
Le tragedie che hanno segnato la storia di altre big come il Grande Torino e il Manchester United dimostrano come il pallone talvolta sfiori il sacro, diventando un vero e proprio culto per milioni di fedeli sparsi nel mondo. Il Pakhtakor, forse, rappresenta l’esempio più estremo di questa devozione quasi mistica, avendo rischiato di scomparire e invece risorgendo più forte di prima, come una fenice uzbeka vegliata amorevolmente dai suoi tifosi.
Certo, non si può negare che dietro questa epica di riscossa calcistica ci fosse anche la riluttanza del regime sovietico a perdere una delle sue “bandiere sportive” più prestigiose. L’ordine di prestare giocatori alle file del Pakhtakor nascondeva forse un mero calcolo di immagine da parte di un potere centrale che non voleva mostrare debolezze e cedimenti.

Eppure sarebbe riduttivo ricondurre tutto a mere strategie di propaganda. Il vero motore della rinascita del Pakhtakor, infatti, fu la straordinaria passione dei suoi sostenitori, disposti ad accoglierlo tra le proprie braccia ben prima che la politica si accorgesse di quell’abbraccio salvifico.
In fondo, nel mondo del calcio più che altrove si è visto quanto i tifosi siano pronti a sfidare ogni avversità pur di non abbandonare la loro fede sportiva. Il Pakhtakor ne è l’esempio più eclatante ma anche il meno conosciuto a livello globale, essendo relegato all’ombra del defunto regime sovietico.
Forse è giunto il momento di rispolverare questa incredibile epopea dagli angoli nascosti della storia, per mostrare a tutti come il potere del calcio di unire le masse vada ben oltre la semplice passione di tifo. Il Pakhtakor, con il suo drammatico disastro aereo e la successiva, stoica rinascita, incarna l’essenza più profonda di questo sport: qualcosa che sopravvive a tutto, persino alla morte stessa.