Maldini: in viaggio con papà

E’ proibitivo per un figlio d’arte emulare le gesta del padre? Certamente è difficile, ma non impossibile. Basti pensare alla storia all’ex capitano del Milan e della Nazionale azzurra, Paolo Maldini.

Il padre Cesare, triestino di nascita (classe 1932, ci ha lasciato nel 2016), visse un’infanzia difficile dovuta agli stenti della guerra, ma trovò nel calcio la promessa di una vita migliore. Fu durante una delle sue partite nella Casa Balilla che venne notato da Mario Vecchiet, osservatore della Triestina, squadra in cui esordì il 24 maggio 1953 contro il Palermo. Passò successivamente al Milan; con la maglia rossonera conquistò quattro scudetti e la prima storica Coppa dei Campioni (’62-63) contro il Benfica.

Forte difensore dalla tecnica sopraffina, terzino, centromediano e infine libero, aveva una gran fiducia nei propri mezzi, che talvolta lo portava a eccedere in preziosismi, che sfociavano in svarioni definiti simpaticamente “maldinate”. Cesare seguì Nereo Rocco al Torino nell’estate del 1966, per chiudere con quella stagione (33 presenze in granata) la sua carriera. Era stato anche capitano della Nazionale proprio come poi sarebbe capitato a Paolo (classe 1968), uno dei suoi sei figli, per anni recordman di presenze in maglia azzurra (126) e diventato uno dei pochi a superare il padre per talento e numero di trionfi.

Mentre Maldini senior si dedicava alla carriera di allenatore, Paolino si affacciava al calcio che conta, sempre amorevolmente accompagnato da papà, che da intenditore ne aveva prima di ogni altro intuito le doti. Come amava raccontare, tutto era nato da alcune foto scattate da Donatella, sorella di Paolo, in una partita tra due classi di quinta elementare:

«Guardai quelle foto portatemi da Donatella. Uno che ha giocato capisce anche da una foto. E io che nel calcio qualcosa avevo fatto sono rimasto a bocca aperta. Capisci da come va incontro alla palla, dalla posizione della gamba, delle braccia, del corpo. Capisci e basta. E Paolo aveva qualcosa. Alzai gli occhi e dissi a mia moglie: “Però, ha lo stile del calciatore. Oddio, queste sono soltanto fotografie, però qualcosa c’è. Ha il portamento giusto. Chissà, magari potrà giocare al calcio».

Qualche tempo dopo, quando Paolo gli chiese se poteva fare sul serio, gli fece scegliere tra Inter e Milan. La scelta cadde (ovviamente?) sui colori rossoneri e papà Cesare… Beh, non ebbe bisogno di raccomandarlo, e non si fa fatica a crederlo:

«Seguii la procedura normale, come tutti. Non volevo imbarazzare quelli del Milan, nè creare antipatici problemi a Paolo. Faccio l’iter burocratico, vado in sede e parlo con quelli del settore giovanile e loro mi spiegano che proprio in quei giorni si stava facendo una selezione. “Portalo a Linate e lo vediamo”, dicono. Lo porto al campo dei ragazzi, quello vicino all aeroporto, dove il Milan si è allenalo un sacco di volte prima di partire per una trasferta. Lo faccio scendere dalla macchina e lo affido a Fausto Braga, allora era lui il responsabile. “Pensaci tu, io vado”. Mi guarda sbalordito: “Come, te ne vai? Non resti nemmeno a guardare?” “No, vado a farmi un giro. Quanto dura?”, “Un’oretta” dice Braga.“ “E io fra un ‘ora torno a prenderlo”, “Dimmi almeno in che modo gioca”, dice Braga. E io: ”Vedi tu..”- “Va bene, lo metto alla destra”. Quando tornai Braga mi disse solo: “Benissimo”. Andai a casa con Paolo. Era contento, anche del ruolo, lui era tifoso di Bettega. Attenzione, non della Juve: di Bettega».

Un bel ritratto di Paolo Maldini ai tempi del debutto in Serie A

Così Paolino entrò nei pulcini rossoneri. Aveva classe da vendere, eppure, in quei primi tempi e poi anche qualche anno dopo, gli toccò di sentirsi sibilare intorno la parola “raccomandato”. Quando però a sedici anni debutto in Serie A, perché Liedholm lo riteneva pronto al grande passo, le voci cessarono. Quello non era un raccomandato. Era un campione. Che a papà regalò un’emozione indimenticabile proprio il giorno dell’esordio:

«Faceva molto freddo, era la fine del gennaio 1985, io ero a San Siro per Bearzot. C’era Inter-Atalanta, credo, ero seduto in tribuna e nell’aria avvertivo qualcosa di strano. Vedevo la gente che si girava e mi guardava. Ma perché? Sì, ero Cesare Maldini, secondo di Bearzot, la Nazionale campione del mondo, il Milan. Però c ‘era un che di impalpabile. Esco un pò prima per evitare il traffico. Salgo in macchina, accendo la radio, cerco “Tutto il calcio minuto per minuto”, subito collegamento con Udine. Il Milan perde uno a zero. Che peccato. Poi dicono: “Avanza Paolo Maldini, al suo esordio in Serie A”. Paolo Maldini, ma allora… Fu un’emozione fortissima, da pelle d’oca. Rallento, mi fermo, manca ancora un bel pò alla fine. Segna Hateley, l’inglese: uno a uno e fanno ancora il nome di Paolo. Il cuore mi batte forte. Nemmeno al mio esordio in Serie A, nella Triestina, e poi nel Milan, poi in Coppa dei Campioni e in Nazionale ho provato quell’emozione».

Un anno dopo, a chi gli chiedeva quanto contasse per suo figlio portare il suo cognome, Cesarone poteva rispondere con serenità:

«Quando entro in un bar e c’è ancora qualcuno che tenta di fare il furbetto, guardandomi con sospetto, io non reagisco. Stimo abbastanza me stesso e Paolo per non cadere nel tranello. La gente è invidiosa, ma non sono problemi miei. In campo adesso scende Paolo e credo dimostri di sapersela sbrigare da solo. D’altronde io ho avvertito subito mio figlio, gli ho detto soltanto di seguire la sua strada, perché solo col comportamento avrebbe potuto impedire alla gente di pensare cose cattive. E lui… sta andando come una freccia».

Poi, come Ct delI’Under 21, lo aveva avuto alle proprie dirette dipendenze. In questo caso, le due carriere si erano incrociate in un magico cin cin, visto che avevano debuttato insieme: Cesare come tecnico, Paolo come “azzurrino”, il 12 novembre 1986 a Fontanafredda, nell’amichevole contro l’Austria. Pur giocando terzino (a proposito, destro naturale, Paolino si esercitò a tal punto con l’altro piede da stabilizzarsi sulla fascia mancina), Maldini junior segnò 5 reti nelle 12 partite giocate sotto la guida di papà, così da sgombrare il campo da ogni malignità; prima di venire “rapito” precocemente da Azeglio Vicini nella Nazionale maggiore. In cui avrebbe ritrovato papà Cesare anni dopo, giocando alle sue dipendenze il Mondiale 1998.

Il bello è che Cesare a un certo punto cercò di aiutare Paolo facendogli da… manager, ovviamente in via molto ufficiosa e famigliare. Insomma, Paolino doveva firmare il primo contratto “importante” per il Milan e Cesare, come avrebbe poi raccontato sorridendo, decise di dargli una mano: lo avrebbe accompagnato in sede e avrebbe “sparato” una cifra enorme, tanto per avviare una trattativa. Beh, prima che Cesare potesse parlare, il suo interlocutore rossonero gli aveva già proposto il… doppio. E a Cesare non restò che ringraziare e approvare l’autografo che suo figlio si affrettò a vergare sul contratto.

Soldi ben spesi. Paolo è stato protagonista dei cicli vincenti del Milan. Terzino dei cosiddetti “Invincibili”, sotto la guida di Sacchi prima e Capello poi, ha conquistato praticamente tutto, tra cui sette scudetti e cinque Champions League, diventando così il più titolato della dinastia Maldini.

Affermare con certezza che Paolo (arrivato alla stratosferica cifra di 647 presenze in A, tutte con il Milan ovviamente) sia migliore di Cesare non è possibile, anche se gli… indizi sono forti, soprattutto per la indiscutibile qualifica di grandissimo di ogni epoca che Maldini junior ha conquistato.

I risultati e le cifre (a partire da quelle, impressionanti, della Nazionale, non incrementate solo per volontà personale) parlano a favore di Paolino e il bello è che il compianto Cesare, lungi dallo sfiorare la gelosia, ne era sempre stato profondamente orgoglioso.