Maratona all’ombra del fascismo: Le cinque sfide Bologna-Genoa

1925, finale della Lega del Nord «risolta» solo dopo 2 mesi e mezzo L’ultima gara fu giocata con le camice nere a bordocampo

Il primo tricolore del Bologna è arrivato dopo una semifinale lunga cinque gare. Quattrocentocinquanta minuti (chissà se allora c’era il recupero?) per stabilire la vincente della Lega Nord, tra le prime dei due gironi. Chi avesse prevalso avrebbe poi affrontato la vincente della Lega Sud per l’assegnazione dello scudetto, giacché solo dal ’29-’30 la Serie A si giocherà a girone unico. I rossoblù emiliani avevano già perso due volte in semifinale. Una a Livorno contro la Pro Vercelli (’20-’21), ma con un gol contestato; l’altra proprio col Genoa (’23-’24), 0-2 a tavolino dopo gli incidenti dello “Sterlino”, uno stadio vero e proprio (con tanto di tribuna e recinzione, inaugurato dieci anni prima).

Nel ’24-’25 il Bologna si ripresenta alla finale di Lega dopo aver dominato il girone B e, ancora una volta di fronte c’è il Genoa, vincitore del gruppo A. Una sfida fra due grandissime squadre. Il Bologna era una macchina da calcio perfetta, grazie al lavoro di Felsner e ai componenti la rosa, giocatori di grande classe e di grande carattere. Tra gli avversari: il “figlio di Dio” De Vecchi, Barbieri, Burlando, Leale e il grande portiere De Pra. Allenatore di quel Genoa era William Garbutt, inglese. Si deve a lui se oggi i tecnici sono comunemente chiamati “mister”, poiché tutti si rivolgevano a lui così, date le sue origini anglosassoni.

In quel momento Bologna e Genoa rappresentavano il meglio del calcio italiano e come già era successo in Inghilterra, il divario tra le squadre del Nord e quelle del Sud era incolmabile, ergo chi vinceva la Lega Nord era praticamente campione d’Italia. Nessuno però avrebbe mai pensato che quella sfida sarebbe passata alla storia più per fatti extracalcistici che per le prodezze dei giocatori.

Bologna, 24 maggio 1925,1 finale della Lega Nord. Si affrontano allo “Sterlino” Bologna e Genoa. Nella foto, l’ingresso in campo degli “idoli” di casa, che indossavano per l’occasione la seconda maglia bianca con fascia orizzontale rossoblù. Da sinistra a destra: Gianni, Genovesi, Borgato, Giordani e “Pippo” Innocenti.

La prima gara il Bologna la gioca in casa. È il 24 maggio del 1925, il giorno successivo il capo del Governo, Benito Mussolini, si recherà a Gardone (Brescia) a incontrare Gabriele D’Annunzio, per ricomporre il dissidio che ave-va allontanato il poeta dal fascismo. I tifosi bolognesi sentono la vittoria vicina e allo Sterlino il loro calore potrebbe rivelarsi determinante. Ma nel calcio le sorprese sono dietro l’angolo. A confezionarla in questo caso è Cesare Alberti, ex centravanti del Bologna, ceduto cinque anni prima dalla società emiliana perché considerato rotto. Un chirurgo genovese gli aveva rimesso in sesto il menisco e lui ricambia la sua ex squadra portando in vantaggio il Genoa al 12′, tra le accuse di tradimento del pubblico. Il Bologna fa la partita, attacca e prende anche il secondo gol, autore Catto. Schiavio nel finale salva l’onore.

A quel punto sono in tanti a pensare che sia finita. A Genova (31 maggio) sarà durissima, Marassi è più che uno stadio, è un vero e proprio incubo. Ma i ragazzi di Felsner sono corsari. Muzzioli al ’36 porta il Bologna in vantaggio. Pareggia Santamaria, ma a 3′ dalla fine Genovesi serve “Geppe” Della Valle, colpo di testa fortissimo, De Pra intercetta ma non trattiene. Si va alla bella.

Milano, 7 giugno 1925; terza gara di finale per il girone della Lega Nord. Gianni in uscita rinvia di pugno mentre Baldi, Giordani e Pozzi osservano preoccupati.

Si gioca a Milano il 7 giugno. Lo stadio è quello del Milan che contiene ventimila persone. Molte arrivate da Bologna con treni speciali (45 lire a biglietto). I tifosi sono così tanti che si accalcano intorno al campo. L’arbitro, l’avvocato Mauro, decide comunque di iniziare. Alla fine del primo tempo gli emiliani, in maglia verde, sono sotto di due gol, Moruzzi e il solito Alberti gli autori. Ma nella ripresa gli uomini di Felsner si trasformano. “Teresina” Muzzioli mette in crisi la difesa genovese e tira in porta, dentro!

No, fuori. Non si capisce bene. L’arbitro è intenzionato ad assegnare l’angolo, ma la folla inferocita gli «suggerisce» di consultare il guardalinee: gol accordato. A sei minuti dalla fine Schiavio pareggia in un’area che sembra un campo di battaglia, con Pozzi che trattiene De Pra. Il Genoa infuriato non gioca i supplementari per protesta. «Il Genoa non si ripresentò in campo – ricordava a fine anni Settanta Gisto Gasperi, terzino di quel Bologna – chiaramente ritirandosi. Ed allora perché non gli hanno dato partita persa secondo regolamento?». Forse perché a molti restò il dubbio del gol di Muzzioli e poi perché il bolognese Arpinati, allora presidente della Federcalcio, non voleva passare da partigiano, come quando due anni dopo revocherà lo scudetto al Torino senza assegnarlo al “suo” Bologna secondo in classifica, cosa che alcuni giocatori dell’epoca non gli perdonarono mai.

La polemica tra rossoblù liguri ed emiliani si fa aspra, interviene anche la Federazione e alla fine si decide di rigiocare il 5 (secondo altre fonti il 4) luglio a Torino. Nel capoluogo piemontese le misure di sicurezza sono imponenti e la partita finisce 1-1 con reti di Schiavio e Catto. Si deve giocare ancora. Ma alla stazione di Porta Nuova le due tifoserie si scontrano, tafferugli, spari e un genovese ferito. Ad Asti il treno del Bologna è fermato e perquisito ma non si trovano armi. Sempre secondo la testimonianza di Gasperi a sparare furono i ferrovieri, per evitare che le due tifoserie entrassero in contatto, nel momento in cui i due treni erano allineati. Alcuni esagitati continuano a picchiarsi, ma il treno del Bologna riparte, distogliendo dalla tenzone anche i più facinorosi. C’è anche un’interpellanza alla Camera, mentre il prefetto di Torino si rifiuta di ospitare l’ennesima bella.

Il 9 agosto, finalmente, si gioca a Milano sul campo della “Forza e Coraggio” a porte chiuse. Giornalisti accreditati, qualche tifoso locale, addetti ai lavori e basta. Tutto sotto il controllo dei carabinieri a cavallo. Il Bologna appare subito più fresco. Segna Pozzi al 28′, raddoppia Perin, Giordani e Borgato vengono espulsi, ma i rosso-blù sono più forti anche in nove. È fatta.

Secondo Giovanni De Pra, portiere di quel Genoa, in una vecchia testimonianza, la verità è un’altra. Arpinati avrebbe cercato di proteggere di nascosto il Bologna fino all’ultimo e la partita decisiva si tinge ulteriormente di giallo: «Andammo in un paesino fuori Milano e ancora oggi non so dove abbiamo giocato. Intorno al campo erano schierate alcune migliaia di squadristi in camicia nera: ci dissero per l’ordine pubblico, parlavano chiaramente romagnolo. Il risultato fu di 2-0, ma si trattò di uno scherzo colossale: noi facemmo finta di giocare, eravamo fuori allenamento, ma soprattutto volevamo tornare a casa tutti interi».

Il resto è storia. La finale con l’Alba Roma, vincitrice della Lega Sud, è una formalità: 4-0 allo Sterlino, 2-0 a Roma. Il Bologna si laurea per la prima volta campione d’Italia. Dimostrando che calcio e polemiche vanno, purtroppo, a braccetto da tempo immemore.

Testo di Francesco Caremani