Foe: non è giusto che un Leone muoia così

26 giugno 2003, allo Stade de France di Saint Denis si giocata la semifinale della Confederations Cup tra Colombia-Camerun. Al settantaduesimo minuto il calciatore africano Marc Vivien Foe, ventotto anni, si accascia sul prato, nel cerchio di centrocampo…


Marc Vivien Foe era nato a Yaounde, capitale del Camerun, il 1 maggio del 1975. Dal 1993 giocava in Europa, tanta Francia e un po’ d’Inghilterra: il lancio a Lens, la crisi al West Ham, la rinascita al Lione, la conferma al Manchester City, la sua ultima stagione 2002/03, chiusa con 35 partite e 9 reti importanti (tra cui l’ultimo gol dei Citizens nel vecchio Maine Road prima della sua demolizione). Tanti per un centrocampista difensivo. Cresciuto nel glorioso Canon di Yaounde, la carriera di Foe avrebbe potuto prendere una strada differente. Nel 1993 alle Isole Mauritius si gioca la Coppa d’ Africa Under 20. Il Camerun arriva in finale e perde con il Ghana di Kuffour e Gargo. Va poi ai mondiali di categoria in Australia, ma senza brillare. Foe è il migliore dei suoi, e viene notato da un procuratore italiano che lo propone alla Fiorentina. I dirigenti di viola però non sono convinti, giudicano Foe, 190 centimetri, lento e un po’ legnoso.

L’anno dopo il centrocampista va ai mondiali veri con il Camerun e dopo le tre partite di Usa 1994 il Canon lo cede al Lens. Con i giallorossi Foe resterà quattro anni e mezzo, vincendo il titolo del 1998, il suo anno migliore. Vinto il campionato, e siglato il contratto con il Manchester United (mancavano solo le visite mediche), Sir Alex Ferguson si era accordato con il Lens per 15 miliardi di vecchie lire, il camerunese raggiunge i compagni in ritiro a Norcia, in Umbria, per preparare il mondiale francese. Il torneo di Foe però non comincia neanche: in una partitella si scontra con un compagno e si rompe la gamba destra. Un colpo durissimo per il ragazzo di Yaounde. Insieme alla gamba si spezza anche la sua carriera.

Il Lens lo cede al West Ham, ma la stagione se ne va alla ricerca del recupero fisico e della forma di un tempo. Foe sembra aver perso smalto, brillantezza, i tempi della gara. Anche l’anno successivo non porta nulla di buono, così Foe torna in Francia, al Lione. Guidato da Jaques Santini il primo anno vince la Coppa di Lega, il secondo il campionato, il primo nella storia del club. Intanto il Camerun ha cominciato a dominare in Africa. Foe aveva partecipato alle sfortunate coppe d’Africa del 1996 e del 1998, ed è uno dei pilastri dei successi continentali del 2000 e del 2002. Nel 2003, dopo il suo secondo mondiale, il nuovo viaggio oltre la Manica, in prestito al Manchester City.

26 giugno 2003, Stadio Gerland di Lione, si gioca Camerun-Colombia, semifinale della Confederations Cup. Minuto 17′ del secondo tempo, la squadra africana sta vincendo grazie a un gol di Ndiefi. I Leoni stanno raddoppiando le forze perché da quattro minuti, si trovano con un uomo in meno: è stato espulso Tchato. C’è un caldo torrido, Foe, maglia numero 17, contrasta una palla all’interista Cordoba. E’ l’ultima cosa che fa nella sua vita. Il gioco si sposta altrove, Marc-Vivien resta a centrocampo, barcolla, stramazza a terra. I giocatori colombiani sono i primi a rendersi conto della tragedia. Lo circondano, si sbracciano verso le panchine. Cordoba s’inginocchia e gli solleva la nuca. Marc-Vivien ha le braccia larghe e i piedi accavallati come un cristo crocifisso.

Crocifisso sull’erba del suo stadio, nello stadio dove è diventato campione di Francia, dove gioca il suo Lione, che proprio nella stagione 2002/03 lo ha lasciato in prestito al Manchester City. Parlando di Lione, Marc-Vivien Foe ha scritto nel suo sito: «All’inizio dovevo andare a Parigi, al Paris Saint Germain, ma poi ho pensato che Lione per me fosse meglio, sia a livello sportivo sia per la mia vita, perché la mia donna non voleva andare a Parigi». Per la mia vita… Ora a Lione, Marco sta morendo. Così lo chiamavano, come un italiano. Marco ha gli occhi riversi e la mascella serrata. I medici del Camerun e della Colombia si affannano per aprirgli la bocca e impedirgli di soffocare. Marco resta immobile, privo di conoscenza.

Non darà mai una speranza di risveglio. Viene trasportato fuori dal campo in barella con una macchina per la respirazione artificiale attaccata alla bocca. Non è nelle condizioni per essere trasportato in un ospedale. Viene portato con la fretta della disperazione al presidio medico dello stadio. Spiegherà il dottor Alfred Muller, medico della Fifa: «Per quarantacinque minuti abbiamo tentato la rianimazione cardiaca. Purtroppo non è stato sufficiente, il giocatore è deceduto. È ancora troppo presto per individuare le cause esatte del decesso, ara necessario procedere ad un’autopsia».

Quarantacinque minuti, il tempo di una partita di calcio. L’ultima disperata partita giocata da Marc-Vivien Foe, mentre i suoi compagni lottano in campo in dieci contro undici, si confermano Leoni Indomabili ed escono dal campo felici. Sperano di trovare in finale la Francia, cioè tanti compagni di squadra, perché molti camerunesi abitano nel campionato francese. Marco raccontava che aveva cominciato a conosce la Francia in vacanza e poi ai vari tornei giovanili, come la Coppe del Mondo Junior a Cadet, quando sognava di conquistare l’Europa. Una volta, da ragazzo, aveva fatto perfino uno stage a Clairefontaine, nella Coverciano francese. Dal 1994 la Francia era diventata il suo paese, prima Lens, poi Lione. Anche a lui sarebbe piaciuto giocarsi la Coppa delle Confederazioni in finale contro la Francia.

Ma quando rientrano in spogliatoio i Leoni del Camerun dimenticano la finale. Scoprono che Marc-Vivien è morto. Chi era dalle parti degli spogliatoi dello stadio Gerland non dimenticherà le urla di dolore, i pianti strazianti dei giocatori africani. Da quelle finestre dovevano uscire canti e musica. Chi ha scritto quella schermata gialla, definitiva, sul sito internet di Foe ci ha messo anche questo pensiero: «Marc-Vivien ci lascerà il ricordo di un ragazzo elegante, che era la gioia di vivere. Ricorderemo le sue battute e la musica che faceva uscire dagli spogliatoi». Un dirigente del Camerun informa: «Non so se giocheremo la finale, decideremo dopo una riunione. E’ un giorno troppo triste per il nostro Paese». Anche se il presidente della Fifa, Joseph Blatter, si affretta ad affermare che la finale si giocherà. E’ un giorno triste anche per Gregory Coupet, giocatore della nazionale francese e compagno di Foe nel Lione. Durante il minuto di silenzio osservato prima dell’altra semifinale Francia-Turchia piange.

Anche per i giocatori della Colombia, spettatori della tragedia, sono stravolti. Soprattutto Cordoba, il primo che soccorre Marc-Vivien. Dice parole commosse: «Ci siamo accorti subito che non reagiva, ma non pensavamo a una tragedia del genere. Poi, a fine partita, durante la seduta defatigante, abbiamo saputo ed è stato uno choc. Di fronte a fatti del genere tutto perde importanza. Sono sconvolto. Non riesco ancora a crederci. Non capisco come possa essere successo». Non lo capisce neppure Arsène Wenger, allenatore dell’ Arsenal, che ha incrociato il Manchester City di Foe in Premier League: «Come possono succedere cose del genere a giocatori di alto livello che sono seguiti da vicino da grandi specialisti?».

Si susseguono ipotesi reali, congetture e fantasie. Per qualche esperto sarebbe bastato un defibrillatore in campo (macchina che salvò Manfredonia quando il giocatore della Roma crollò privo di sensi sul campo del Bologna nel 1989), per alcuni medici il centrocampista non avrebbe proprio dovuto giocare. Era stato male in settimana, anche il giorno prima della partita aveva rimandato un’intervista perché era troppo stanco, ma lo staff del Camerun è compatto nel negare qualsiasi negligenza. Il presidente della commissione antidoping e il medico della Francia tirano in ballo i ritmi infernali, il calendario impossibile e adombrano l’uso del doping. Ma in attesa degh esami tossicologici sono solo parole, rumore che riempie il dopo shock e che non spiega niente.

Anche la moglie di Foe, Marie Louise, non vuole stare zitta. Era allo stadio il giorno della tragedia, ha visto il marito crollare e ha pensato «sta solo male» poi lo ha saputo morto e, in un’intervista al «Sun», cerca un colpevole: «Non poteva scendere in campo, non era fisicamente in grado di farlo, ha anche provato a chiedere una sostituzione poco prima di cedere». Per l’allenatore del Camerun Winfried Schàfer è andata un po’ diversamente: «Lo abbiamo visto provato, gli abbiamo chiesto se voleva uscire e lui ci ha assicurato di poter continuare». Una dichiarazione dopo l’altra, un ronzio insopportabile.

Alla fine l’autopsia stabilirà la verità: Marc Vivien Foe è morto per un attacco cardiaco. Un’autopsia che ha anche cercato sostanze stimolanti, ma le analisi tossicologiche hanno dato risposta negativa. La causa del decesso è da ricercarsi in una particolare situazione del cuore dell’ atleta. «Il giocatore soffriva di una cardio-miopatia ipertrofica del ventricolo sinistro probabilmente congenita, quasi impossibile da individuare senza un esame approfondito», ha precisato il procuratore della repubblica di Lione, Xavier Richard. «L’incidente cardiaco può essere attribuito ad uno sforzo violento e la malformazione «ad una somma di sforzi ripetuti nel tempo», ha aggiunto. «C’è stata una degenerazione che ha provocato uno sviluppo estremamente importante del cuore».

Nella finale allo stadio Saint-Denis, Francia e Camerun si abbracciano con gli occhi lucidi, il nome di Foe sta dappertutto. Sulle maglie dei compagni, nella testa dei giocatori, negli striscioni srotolati da ragazzi piangenti e orgogliosi. «Un leone non muore mai, dorme», sta su un cartellone che un tifoso brandisce cercando di spazzar via le emozioni che invece si moltiplicano durante il minuto di silenzio. Vero silenzio, nessun applauso, nessun coro solo un grazie muto e immobile a un calciatore che ha lasciato splendidi ricordi ovunque. Un gigante buono, uno che arrivava agli allenamenti mezz’ora prima e sorrideva sempre. Ora sta su un maxiposter che il suo amico Rigobert Song, capitano del Camerun, accompagna in campo. Un enorme primo piano per amplificare la sua presenza che pure è già così palpabile.

Gli inni arrivano con i giocatori alternati, una linea unica schierata a centrocampo per salutare un amico. Non ognuno dalla sua parte, ma ognuno con i suoi pensieri. I francesi tirano fuori il petto, in un addio molto rigoroso, i leoni abbassano la testa. Tutti sono lì per Foe, si sono chiesti se era giusto continuare e hanno deciso di farlo perché lui avrebbe voluto così. Anche il pubbhco che riempie lo stadio sembra arrivato per rendere omaggio. A volte la vita gioca questi scherzi bastardi. Non è giusto che un Leone muoia così, a centrocampo, lontano dal pallone.