Marco Cacciatori, il coraggio e la speranza

“A ventitré anni, che strano: in pochi giorni, anzi, in poche ore, passare dal verde del campo di gioco a un letto bianco d’ospedale. E poi, eccomi qui: all’istituto tumori di Milano, ho sentito che mi devono operare d’urgenza allo stomaco, anzi, forse dietro allo stomaco. Ma come? Mi hanno già tolto un testicolo, sembrava tutto finito… E poi perché mia moglie è cosi preoccupata? Mi dice che devo essere forte, che ce la farò. Ah, ecco, tocca a me, sì, Marco Cacciatori, nato a Carrara, calciatore del Vicenza. Si, sono io… Ora l’anestesia, ma al risveglio sarò guarito, per mio figlio Emanuele. Lo voglio vedere crescere. E per la mia Daniela. Eppure, sembra solo un incubo. Che strano, pensare che neppure due settimane fa… Dove ero?… Giusto, avevamo appena finito l’allenamento, io e Marangon…”.

– Marco, com’è?, sei già stanco. Ma di cosa sei fatto? Di pasta frolla. Anzi, hai le gambe dure come il marmo… D’altra parte, sei carrarino…

-Ma parli te. Dai, scommettiamo. Una corsa di trecento metri. Chi perde paga da bere.

-Ok, Caccia. Pronti, via.

Agosto 1979. È caldo a Barga, in Garfagnana. Il Vicenza è in ritiro, prepara la stagione della riscossa. La retrocessione ha lasciato il segno, e il suo calciatore più rappresentativo, Paolo Rossi, è andato a Perugia. Dall’Umbria è arrivato un giovane centravanti pieno di speranze e di voglia di sfondare. Ha già esordito in serie A, l’anno prima, ha anche segnato all’Inter al debutto alla Scala del calcio, poi sempre a S. Siro ha di nuovo sfiorato il gol, lui che salta di testa più in alto di Bet, traversa piena, palla ai piedi di Albertosi, irrompe Vannini e segna.

Acqua passata. Marco Cacciatori, a 23 anni, ha una moglie e un figlio di due anni: il pallone è la sua vita. L’avevano chiamato un paio di mesi prima, in sede, lui e Giorgio Redeghieri: crediamo in voi, gli avevano detto, vi cediamo in comproprietà al Vicenza, che vuole tornare subito su. Va bene. L’allenatore è Renzo Ulivieri, c’è entusiasmo. L’attacco è affidato – sulla carta – a lui, Marco detto Caccia o anche Cacetta, e a Nick Zanone, le alternative sono Ravot e Sabatini.

Luciano Marangon, a fine allenamento, sfida Cacciatori. Pronti, via. A perdifiato. Una corsa con il cuore in gola, l’occhio a spiare il compagno. Sono appaiati fino a metà, poi il Caccia accelera. Dà fondo all’orgoglio. È primo. Che gioia. Si, sono forte, posso sfondare, ripete fra sé e sé. E il mio anno, tornerò in A.

Ma nella notte succede qualcosa. Il testicolo destro si gonfia. Sempre di più. Un palloncino. Marco si sveglia. Che strano, avrò preso una botta, pensa. Prova a dormirci su, ma non gli riesce. Chiama il direttore sportivo, Tito Corsi.

-Corsi, presto. Venga. Non mi sembrava di essere stato colpito, cos’è questo improvviso rigonfiamento? Mi fa male, non sono tranquillo.

-Senti Marco, facciamo cosi. Il nostro dottore rientra dopodomani, ma il Napoli è in ritiro qui vicino, andiamo a farti controllare domattina dal loro medico sociale, decideremo insieme il da farsi. Cerca di riposare.

Non può essere nulla di importante, vero? È giovane, si sente bene. Solo un po’ di fatica, ma è normale. La preparazione è dura, durissima, c’è un campionato da vincere, “Dobbiamo farcela, la società crede in me”.

Ospedale S. Bartolo, Vicenza. Tre giorni dopo. Già in una prima visita in Urologia, a Massa, erano emersi i problemi. Ora nuove analisi, controlli, consulto. Non capisce nulla di quello che gli sta accadendo. Al quarto giorno si sveglia, non ha più un testicolo. Asportato d’urgenza. E lì che la “bestia”, il cancro, ha messo radici. Bisogna estirparla, strapparla. Anche le visite mediche costanti a cui è sottoposto un calciatore professionista sono state ingannate, per fortuna la diagnosi è precoce. Ma potrebbe non bastare la celerità. I dottori scrivono: Carcinoma embrionale con microaree di teratoma maturo. Tumore. Un brutto male, come dicono a Carrara. Ma Marco è più forte di tutto. Sarà una battaglia lunga, una guerra: e il nemico, subdolo, sembra rinascere dalle sue ceneri.

-Signor Cacciatori, deve tornare qui al San Bartolo, gli ultimi controlli, sa…

Va bene, confida alla moglie Daniela, ci siamo. Senz’altro mi diranno che posso riprendere la preparazione. Perderò le prime tre-quattro partite, pazienza, la B è lunghissima, una maratona. Ulivieri crede in me.

-E’ lei, vero, il signor Marco Cacciatori? Ho visto le sue foto sul giornale, è stato acquistato quest’anno dal Vicenza.

-Dica, dottore.

-Ascolti, lei deve andare al Centro tumori di Milano. Subito. Non c’è un momento da perdere.

È il 4 settembre. Cacciatori e la moglie, accompagnati dal medico sociale del Vicenza, entrano all’istituto Nazionale per lo studio c la cura dei tumori di Milano, via Venezian, numero 1. La signora Daniela ha appena ventuno anni – il bambino è dai suoi genitori, a Carrara -, prende una camera d’albergo, e per tre settimane si piazza vicino a Marco. È il suo sostegno, la sua forza.

-Cosa mi succede, cosa mi fanno? Ma sono sicuro, supererò tutto. Anche questo. Vero, Daniela?

-Si, Marco, ce la farai, ce la faremo. Per noi e per il nostro Emanuele.

Lo operano. La bestia sta provando a salire. Si è avvinghiata dietro il peritoneo, punta dritta allo stomaco e al polmone, al bersaglio grosso. La fermano. Ma è ancora una vittoria di Pirro. Perchè dopo cinque mesi torna: la metastasi sarà al polmone destro, la chemioterapia dovrà essere incisiva, costante.

Daniela Cacciatori è in corridoio all’istituto tumori. Cerea di farsi coraggio. Ma le ore passano e Marco è sempre sotto i ferri. Otto ore passano. Il male è tamponato: la frase sulla cartella clinica è lunghissima, chissà cosa vorrà dire, Linfadenectomia lomboaortica bilaterale e iliaca comune, iliaca esterna-ipogastrica-otturatoria destra più funicolectomia destra. Il 19 settembre può andare. Sembra la fine di un incubo. Si può riprendere la vita di tutti i giorni.

Il Vicenza però lo molla subito. Nell’estate dell’80, il Genoa gli dà fiducia. Cacciatori torna in campo contro il Cesena ma qualcosa non va. Sente che ha il fiato corto. Nuova diagnosi spietata: il polmone destro è entrato in metastasi. Tre anni di chemioterapia, vissuti con il terrore di non farcela. I medici gelano la moglie Daniela: «A suo marito restano tre mesi di vita». Marco, però, è ancora qui perché non si è mai arreso: ha una moglie giovane e un figlio piccolo, non può morire.

San Siro è lontana. «Se ci ripenso, mi viene da piangere» racconta di quei giorni in cui gli è accanto la famiglia. La paura è ancestrale: restare senza un lavoro, non poter più vivere di calcio. Tre anni sembrano un secolo ma un po’ di luce s’intravvede. Nell’81, Marco torna in campo in Seconda categoria, nella Fratelli Segnani, 29 gol in 21 partite. Poi il Romagnano, in Promozione, 24 gol in 26 partite. Finalmente, nel 1983, il tunnel è finito: idoneo all’attività sportiva professionistica.

Marco Cacciatori torna a essere Cacetta: di nuovo nella sua città, Carrara, con la sua squadra, la Carrarese. D’accordo, non si va più a Milano a Torino o a Roma, è serie C1, ma basta per sentirsi ancora un calciatore e, soprattutto, per portare a casa uno stipendio.

Sarà quella la molla, il motore. Due anni a Carrara, con la prima stagione incorniciata da 14 reti in 29 partite, poi Reggiana, Montevarchi, Sarzanese e Pistoiese fino all’ultima fermata, stagione ’91-92 nei dilettanti col Pietrasanta. Una carriera da professionista onorevole, con 121 gol tra i professionisti e 10 reti in 19 partite nei dilettanti.

Il 1992 non è solo l’anno di Tangentopoli, l’inchiesta giudiziaria che sconvolge l’Italia e frantuma la Prima Repubblica, ma anche l’anno zero per la vita di Marco Cacciatori. Non più calciatore ma uomo in cerca di un’altra identità. Soprattutto, in cerca di un lavoro.

Riparte da zero, Marco. Inizia a lavorare nella segheria di marmi del suocero. Lavori anche pesanti, sconsigliati dalle sue condizioni fìsiche. Poi il camionista, infine il disoccupato. Una battaglia per ottenere la pensione da calciatore: mancano i contributi dei quattro anni di malattia, circa trenta milioni di lire. La famiglia e gli amici, però, ci sono. Nel frattempo Cacciatori scrive anche un libro, “Un bomber nella rete”, per raccontare la sua storia. Lo spedisce in omaggio a tutti i club di A e B, sperando in qualcosa. Gli risponde solo il Bologna.

Disoccupato e con problemi di salute: la vita di Marco rischia di trasformarsi in un incubo. Nel 2001 qualcosa si muove: la Figc interviene garantendo che il sussidio arriverà. La sera dell’l marzo dello stesso anno, al Franchi di Firenze, una rappresentativa dei giornalisti di RaiSport, rinforzata dagli opinionisti Vincenzo D’Amico, Eraldo Pecci e Davide Cassani, e la squadra degli arbitri del campionato allenata da Roberto Clagluna, si affrontano per dare una mano a Cacciatori. Gli organizzatori si sono rivolti alle società di A e B chiedendo di aiutare con un assegno di un milione. Alla fine, se ne raccoglieranno circa 25. Un gol per Marco, sebbene diverso da quello segnato in quella domenica d’ottobre del 1978, a San Siro.

Oggi, Marco Cacciatori gioca ancora a calcio per divertimento. Tornei over 50, roba amatoriale ma di un certo livello e persino combattuta. È l’unico legame che ancora lo unisce alla sua prima vita, quella da calciatore di serie A.

«Mi piacerebbe restare in questo ambiente, ma non mi chiama nessuno, neppure da Carrara» sospira lui. Restano i ricordi, quelli sì immutabili nel tempo. Quelli che, quando passa da Perugia, lo portano a risentire l’urlo del Curi.

Fonti:
Massimo Braglia “Un Bomber nella rete – Marco Cacciatori” Roberto Meiattini editore
Marcello Altamura “L’anno del grifo” Absolutely Free editore