Massimo Storgato: un milanista alla Juve

«Al provino Juve con la maglia di Rivera» «A Udine comprai casa. Volevo fermarmi, ma i Pozzo dopo 4 anni mi mollarono senza contratto»


Madonna di Campagna si chiamava così perché c’era la campagna. Adesso la campagna non c’ è più, così Massimo Storgato è andato a cercare quella della sua giovinezza ad Avigliana. «Una volta i torinesi ci venivano a passeggiare sul lago, con il gelato. A Udine la svolta: acquistai una villetta con giardino e capii l’importanza del verde».
Sessant’anni fa il Veneto è ancora una regione d’ emigranti e non di piccoli-grandi industriali. Di «sghei» ce ne sono pochi e le famiglie del padre (10 fratelli) e della madre (5) di Storgato si stabiliscono a Casale Monferrato. Poi, quando arriva il «posto» alla Fiat, Mariano Storgato va a Torino con la moglie Apollonia e il figlio. Sono gli anni del boom, la Fiat mette il Paese su quattro ruote e papà Mariano mette i blocchi di acciaio negli altoforni, dopo averli sollevati con la sua gru.
«Tornava a casa che sembrava reduce da una sauna». Massimo va in bici con suo padre per i campi. Poi si fermano e via con i palleggi. «Per non giocare sempre da solo, mio padre mi portò all’ oratorio di Don Orione alle Vallette». L’ oratorio, anche per Storgato, non è solo un campo da calcio, ma anche un luogo di incontro. Massimo incrocia sua moglie Manuela.
«Si facevano gli incontri e, d’ estate, si andava in vacanza in montagna, a Salice d’Ulzio».
Il primo amore. Anzi i primi amori. Perché la signora Manuela si abitua subito a dividere Massimo col calcio. «Mi sono sposato lo stesso giorno di Prandelli. L’indomani cominciava una tournée negli Stati Uniti. Dovevano venire anche le mogli e invece le lasciarono giù. Mia moglie me lo rinfaccia ancora».

Storgato parte centravanti. «Segnavo 8, 10 gol a partita. Andai a fare un provino da Pedrale». Pedrale è una specie di istituzione. Riceve gli aspiranti bianconeri tutti i sabati al «Combi». «Io ci andai con la maglia di Rivera. Ero milanista». Pedrale lo esamina e pronuncia il suo verdetto: “Torna il prossimo sabato“.
«Tornai per un mese e mezzo e alla fine mi presero. I miei genitori fecero tanti sacrifici. Ricordo ancora quando mio padre mi comprò le prime scarpe da calcio “Magrini” in una bottega di Corso Regina. C’erano ancora i tacchetti che si infilavano nel blocco di legno».
È un’ Italia che si può permettere qualcosa in più di quella precedente, però, intuisce sempre nel calcio la stessa possibilità di riscatto sociale. «Prendevo il 10 con mia madre e un panino per andare al campo. Stavamo ore e ore davanti a un muro a fare tecnica con “Martello” Pedrale».
Arrivano le prime soddisfazioni:
«Vincemmo un torneo internazionale: Boniperti ci ricevette in sede e ci consegnò una medaglia: eravamo quelli del “mitico 61”».

Sacrifici, privazioni, soprattutto degli svaghi dei ragazzi («ma non sono mai stato un tipo da discoteca»), il diploma arenato al quarto anno dell’istituto per geometri. Storgato avanza in carriera, arretrando nel ruolo: da attaccante a terzino. Dopo un soggiorno a Bergamo, torna per esordire («con la maglia blu») in serie A: Ascoli-Juve 0-0, 19 ottobre 1980. Alla fine colleziona uno scudetto e tante lezioni di calcio: «Trap era pieno di vitalità. Stava tanto tempo con Brady a spiegargli come fare ginnastica e poi, nella partitella, gli si incollava addosso per prepararlo alle marcature».

Un anno via, a Cesena, poi il ritorno alla Casa Madre, nella stagione 1982-83, quella della Coppa Italia e della Coppa Campioni perduta ad Atene con l’Amburgo. «Brio aveva la pubalgia e io ero in pre-allarme. Trap mi fece allenare tutta la settimana per bloccare Hrubesch: avrò fatto 10 mila colpi di testa. Poi mise Brio. Perse anche il derby per far giocare Brio. Ma allora un allenatore aveva molte remore a schierare un giovane».

Sei anni di prestiti e una fregatura nel 1984. «Avevo fatto un anno straordinario a Verona da centrocampista avanzato. Bagnoli era speciale: non ho mai sentito un giocatore escluso parlare male di lui». Bagnoli lo vuole, ma le società litigano. Si va alle buste: per mille lire Storgato perde il secondo scudetto della sua vita. Comincia a peregrinare: Lazio, Avellino («esperienza traumatizzante: facemmo sei mesi di ritiro»), Cosenza, ed in mezzo tanta Udinese.
«A Udine comprai casa. Volevo fermarmi, ma i Pozzo dopo 4 anni mi mollarono senza contratto. Capii che il calcio stava cambiando e, io che avevo sempre fatto da solo, mi cercai un procuratore. Penso questo: se sei bravo non hai problemi, ma se sei così così un procuratore giusto aiuta».

Gli ultimi anni sono piemontesi. Prima all’Alessandria: «Andai a prostituirmi offrendo una specie di contratto a rendimento in anticipo sui tempi: se ci salviamo mi pagate. Feci 18 partite e ci salvammo, ma per i soldi dovetti avviare una vertenza».
Colpo di coda alla Pro Vercelli: «Conquistammo la promozione in C2, quattro anni bellissimi». Finale di partita a Ivrea, alla San Giustese. «Un calciatore, quando smette muore due volte: come calciatore e come uomo. Devi reinventare tutto, ricominciare daccapo. Quando guadagnavo bene spendevo il giusto. Così ora posso permettermi qualche anno senza lavorare. Rimpianti? Di aver giocato poco nella Juve e di non aver timbrato almeno una presenza in nazionale».

Ora allena ai bordi del grande calcio, lavora al computer e va a vedere suo figlio giocare difensore. Dopo, come faceva suo padre con lui, lo porta a fare lunghe passeggiate in bicicletta. Così, in questo riannodarsi di passato e presente, l’uomo vive, anche se il calciatore non c’è più.

Testo di Roberto Perrone

Massimo Storgato (Casale Monferrato, 3 giugno 1961)

StagioneClubPres (Reti)
1979-1980 Atalanta18 (0)
1980-1981 Juventus1 (0)
1981-1982 Cesena15 (0)
1982-1983 Juventus6 (0)
1983-1984 Verona26 (3)
1984-1985 Lazio25 (0)
1985-1987 Udinese55 (3)
1987-1988 Avellino12 (0)
1988-1989 Udinese43 (1)
1989-1991 Cosenza42 (1)
1991-1992 Alessandria18 (0)
1992-1993 Cosenza0 (0)
1993-1996 Pro Vercelli90 (8)