MEAZZA Giuseppe: La favola di Peppin il folbèr

Il più grande calciatore italiano di tutti i tempi. Uno dei più grandi in assoluto, secondo neppure al divino Pelè, o all’immenso Alfredo Di Stefano, certo superiore a Johan Cruijff. Chi non ha mai visto giocare Giuseppe Meazza non ha mai visto toccare vette sublimi. Era nato soltanto per giocare al calcio, non fece mai altro nella sua vita, toccò tutti i traguardi più prestigiosi cui un calciatore possa aspirare, entusiasmò le folle di tutto il mondo, umiliò tutti i difensori più celebri di un’epoca d’oro del calcio, beffò tutti i più grandi portieri, tranne uno. La sua bestia nera, il suo incubo, il fantasma delle sue rare notti insonni: Ricardo Zamora, il mitico campione spagnolo. Al quale Peppino Meazza segnò soltanto un gol, in un incontro amichevole, mai in partite ufficiali. Ma gli altri, gli altri li mandò tutti nella polvere, beffati dai suoi pallonetti liftati e perfidi, inchiodati dai suoi bolidi sganciati in corsa, stroncati dai suoi colpi di testa micidiali. Un campione irripetibile, non ce n’era mai stato uno grande come lui, non potrà mai essercene un altro come lui. Il Pepp, il “Balilla”, Giuseppe Meazza…

Ha cercato, una volta smesso di giocare, di insegnare il calcio ai giovani senza fortuna. Il talento non si insegna, l’arte non si trasmette, è dote naturale e basta. Fu allenatore mediocre, tecnico senza rilievo, cercò di restare nel giro della Nazionale, finì all’Inter, la società alla quale aveva fatto dono, per anni e anni, del suo incommensurabile talento. E’ morto nel 1979 ormai dimenticato dai più, pianto soltanto da quelli che lo avevano visto giocare e che non potevano averlo dimenticato. Era triste, solitario, viveva di ricordi, buono ed indulgente con ragazzi che, rispetto a lui, non erano che squallide controfigure senza avvenire. Diceva, se gli chiedevano un giudizio su qualcuno dei suoi pupilli: “E’ bravo, ma lento…”. Una frase bonaria, per non dire che era un brocco, anche se non lo avrebbe mai detto apertamente. Peppino Meazza non sapeva parlare male di nessuno.

La sua storia è semplice ed emblematica. Scoperto per caso da un osservatore dell’Inter mentre prendeva a calci una palla di stracci in una strada della periferia milanese, dove era nato nel 1910, Meazza debutta in serie A che non ha ancora compiuto diciannove anni. A venti è già in Nazionale; gioca a Roma, contro la Svizzera; segna i primi due gol azzurri (ne segnerà trentatré in cinquantatrè partite, sarà due volte campione del mondo, nel ’34 e nel ’38) centravanti o interno per far posto prima ad Angiolino Schiavio poi a Silvio Piola, ma Peppino Meazza poteva giocare dappertutto, la sua classe gli consentiva tutto, anche di segnare una rete su rigore mentre gli stavano cadendo a terra i calzoncini perché si era rotto l’elastico di sostegno…

Fu Meazza ad espugnare con tre gol su cinque, per la prima volta, il campo dell’Ungheria a Budapest. Fu Meazza a far tremare la superba Inghilterra nella leggendaria battaglia di Highbury, quando i bianchi vincevano per tre a zero sui campioni del mondo, e allora Meazza si lisciò la testa come sempre impeccabilmente tirata alla brillantina, e per ben due volte umiliò l’alterigia degli inglesi, segnando due reti che restano nella storia del calcio.
Fu Meazza, nel ’34, a reggere i fili della stupenda manovra dell’Italia vittoriosa nel secondo campionato del mondo, fu Meazza a segnare la rete decisiva nella partita-bis contro i terribili spagnoli, dopo che il primo scontro si era chiuso sull’uno a uno per le incredibili parate di Ricardo Zamora. Che non giocò la seconda partita per una gomitata di Schiavio che lo costrinse a lasciare il posto alla riserva Nogues, puntualmente battuto da un colpo di testa di Peppino Meazza su traversone di Guaita.

Fu Meazza dopo un bolide di Schiavio a piombare addosso al grandissimo Platzer, il portiere del famoso Wunderteam di Hugo Meisl, la più forte Nazionale che l’Austria abbia mai avuto, nella semifinale di Milano: e Guaita potè così toccare in rete il gol dell’uno a zero, che dischiuse agli azzurri la porta della finalissima contro la Cecoslovacchia. Fu Meazza l’anima della nazionale nella drammatica finalissima di Roma, vinta nei supplementari con un gol, da allora consegnato alla storia del calcio, di uno stremato Angiolino Schiavio, che trovò nella classe la forza disperata per scagliare nella rete di Planicka il pallone dosatogli da Peppino Meazza.

Fuori dal campo, Meazza era un bon-vivant, gran giocatore dazzardo, gran tombeur-de-femmes, perfetto ballerino di tango, testa sempre lucida di brillantina, gardenia bianca all’occhiello di impeccabili completi blu gessati, idolo della Milano bene, capace di coricarsi all’alba della domenica, di dormire un paio d’ore e di segnare poi due o tre gol, beffando le più arcigne difese avversarie. Vittorio Pozzo, implacabile custode della vita privata dei suoi azzurri, rigido moralista vecchio-Piemonte, gli perdonava molto. Perché sapeva che giocatori come Meazza ne nasce uno ogni dieci generazioni e lui aveva la fortuna di farlo giocare nella sua Nazionale. Che molto per i meriti di Peppino Meazza, fu due volte campione del mondo!

Testo di Vladimiro Caminiti

«Grandi giocatori esistevano al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario»
Gianni Brera