In quella notte del 2001, il Derby di Milano scrisse una delle sue pagine più clamorose: Comandini bomber inatteso, Shevchenko implacabile e un Serginho stellare guidarono il Milan verso un incredibile 6-0.
Era una stagione complicata per le squadre milanesi quella del 2000-2001. Il Milan aveva iniziato l’annata con Alberto Zaccheroni in panchina, ma i risultati deludenti, specialmente in Europa dove non era riuscito a superare il girone (fatale l’1-1 contro il Deportivo La Coruña), avevano portato all’avvicendamento tecnico. Silvio Berlusconi aveva deciso di affidare la squadra a Cesare Maldini come direttore tecnico, affiancato da Mauro Tassotti in veste di allenatore, anche se di fatto era Maldini senior a guidare la squadra.
Dall’altra parte del Naviglio, la situazione dell’Inter non era migliore. Marco Tardelli, passato dall’urlo liberatorio del Mundial ’82 alla panchina nerazzurra, si trovava a gestire una squadra in crisi di risultati e di identità. L’eliminazione in Coppa UEFA per mano dell’Alavés aveva esacerbato gli animi dei tifosi, culminando nell’episodio del motorino lanciato in campo dalla Curva Nord durante una partita contro l’Atalanta – un gesto che aveva fatto il giro del mondo e simboleggiava perfettamente il momento nero dei nerazzurri.
In questo clima teso e carico di pressione si arrivò al Derby di ritorno, anticipo della trentesima giornata. Era il Derby numero 181 della storia, ma nessuno poteva immaginare che sarebbe diventato uno dei più memorabili di sempre, per ragioni diametralmente opposte tra le due tifoserie.
La mossa del maestro

Cesare Maldini quella sera dimostrò tutta la sua esperienza e la lezione appresa dal suo maestro Nereo Rocco. Si presentò al Derby con una formazione che spiazzò completamente l’Inter e i suoi tifosi. La mossa più audace fu quella di posizionare Serginho, specialista delle cavalcate offensive sulla fascia sinistra, nel ruolo di terzino. Una scelta che sulla carta sembrava difensiva ma che si rivelò essere un’arma letale in fase offensiva.
La creatività tattica di Maldini non si fermò qui. Avanzò il georgiano Kaladze sulla linea dei centrocampisti, dandogli libertà di movimento e inserimento. Ma la vera sorpresa fu la titolarità di Gianni Comandini dal primo minuto. L’attaccante, arrivato dal Vicenza dove aveva segnato 20 gol nella stagione precedente, non era tra i titolari fissi del Milan. Maldini gli diede fiducia, assegnandogli la maglia numero 9, un numero che al Milan ha sempre avuto un peso specifico importante.
Queste scelte, che potevano sembrare azzardate, nascevano dalla profonda conoscenza del Derby che Maldini aveva maturato prima da giocatore e poi da allenatore. Sapeva che in queste partite la tattica tradizionale spesso lascia spazio all’imprevedibilità e al coraggio. E quella sera dimostrò che l’esperienza e l’intuito possono fare la differenza anche più dei moduli e degli schemi prestabiliti.
L’uragano rossonero
Il Milan impiegò appena 180 secondi per dimostrare che quella sarebbe stata una serata speciale. L’azione del primo gol nacque proprio da Serginho, che invece di rimanere bloccato nel suo ruolo teorico di terzino, si proiettò sulla fascia sinistra come sapeva fare meglio. Il brasiliano, con la sua caratteristica falcata, raggiunse il fondo e mise in mezzo un cross perfetto. Gianni Comandini si avventò sul pallone con la fame del bomber vero: sinistro quasi in spaccata e Sébastien Frey battuto per la prima volta.
L’Inter non fece nemmeno in tempo a riorganizzarsi che al 19′ il copione si ripeté in maniera quasi identica. Ancora una volta protagonista Serginho sulla fascia sinistra, ancora una volta un cross preciso, ma questa volta Comandini si elevò in cielo e con un colpo di testa implacabile mandò il pallone in rete. In meno di venti minuti, l’attaccante aveva già realizzato una doppietta nel suo primo Derby da titolare.
Il 2-0 lasciò l’Inter completamente frastornata. La squadra di Tardelli sembrava incapace di reagire, mentre il Milan acquisiva sempre più sicurezza e convinzione nei propri mezzi. Il pubblico rossonero era in delirio, mentre quello nerazzurro assisteva incredulo a quello che stava succedendo in campo. E il peggio, per l’Inter, doveva ancora venire.
La valanga si ingigantisce
Il secondo tempo si aprì con un’Inter che sembrava voler provare a riaprire la partita, ma al 54′ arrivò il colpo che spense definitivamente ogni speranza nerazzurra. Federico “Chicco” Giunti si incaricò di battere una punizione da posizione defilata, quasi dalla linea di centrocampo. Quello che sembrava un innocuo cross si trasformò in un tiro beffardo che, complice un rimbalzo irregolare, sorprese Frey per il 3-0.
Fu in quel momento che il “fattore S” prese il sopravvento della partita: Shevchenko e Serginho iniziarono a giocare come se fossero al parco sotto casa. L’ucraino, indossando la maglia numero 7, dimostrò tutto il suo talento in una doppietta da antologia. Il primo gol nacque da un’ennesima discesa di Serginho: cross perfetto per Sheva che, dopo aver fatto sedere Laurent Blanc con una finta, insaccò di testa per il 4-0.
Il quinto gol arrivò poco dopo, questa volta con Kaladze protagonista: il georgiano, confermando la bontà della scelta tattica di Maldini, scese sulla sinistra e servì Shevchenko che, con un tocco rapido, anticipò l’uscita di Frey. A questo punto il Milan sembrava in trance agonistica, capace di segnare ad ogni affondo, mentre l’Inter appariva completamente alla mercé degli attaccanti rossoneri.

Il sigillo finale
Quando il tabellone luminoso di San Siro segnava già un incredibile 5-0, Serginho decise che la serata non poteva concludersi senza il suo sigillo personale. Il brasiliano, che aveva già fornito assist decisivi e terrorizzato la difesa interista per tutta la partita, si rese protagonista di un’ultima, memorabile azione personale.
Come se non avesse corso per quasi novanta minuti, il numero 27 rossonero si involò sulla sua fascia sinistra in una cavalcata solitaria. Era come se il prato di San Siro fosse diventato il cortile di casa sua, come se il sudore e la stanchezza non esistessero. La sua corsa appariva leggera, quasi danzante, mentre superava gli avversari ormai rassegnati.
Arrivato al limite dell’area, invece di cercare l’ennesimo assist per i compagni, questa volta Serginho decise di concludere personalmente l’azione. Il suo sinistro fu perfido e implacabile, non lasciando scampo a Frey: era il 6-0 definitivo, un risultato che entrò nella storia come la più larga vittoria mai registrata in un Derby della Madonnina.
Dalla tribuna stampa, la voce di Carlo Pellegatti si fece quasi mistica nel commentare: “Sei a zero, sei a zero, sei a zero, ma dove siamo…“. Una domanda retorica che esprimeva perfettamente lo stupore di tutti i presenti di fronte a un risultato che sembrava appartenere più alla fantasia che alla realtà.
Una notte m(tra)agica

Quel 6-0 è rimasto scolpito nella memoria collettiva dei tifosi milanesi come uno dei Derby più straordinari di sempre. Non solo per il risultato clamoroso, ma per come la partita si sviluppò: fu una dimostrazione di calcio totale da parte del Milan, con protagonisti inaspettati e momenti di pura magia calcistica.
La doppietta di Comandini divenne leggendaria proprio perché realizzata da un giocatore che non si sarebbe poi rivelato decisivo nella storia rossonera. Quella sera però il numero 9 milanista sembrò posseduto dallo spirito dei grandi bomber del passato, realizzando due gol che diedero il via alla goleada.
La prestazione di Serginho rimane negli annali come una delle più complete mai viste in un Derby: il brasiliano fu contemporaneamente assistman e finalizzatore, terrorizzando la fascia sinistra per novanta minuti. Shevchenko confermò il suo status di fuoriclasse con una doppietta da antologia, mentre la tattica di Maldini si rivelò un capolavoro di intuizione calcistica.
L’ironia dell’avvocato Prisco, storico dirigente interista, rimane emblematica di come i tifosi nerazzurri cercarono di metabolizzare quella sconfitta: “Sei a zero? Non lo so, io sono uscito sul tre a zero. Poi, si sa, i giornalisti ingigantiscono sempre le cose…” Una battuta che, nel suo tentativo di sdrammatizzare, ha finito per cristallizzare ancora di più nella memoria collettiva l’unicità di quella serata straordinaria.