Miraggi Azzurri: 11 campioni senza Nazionale

Storia di campioni che non hanno mai avuto l’onore di indossare la maglia della Nazionale.

Meglio Dino Zoff o Gigi Buffon? Chi fu più grande tra Giacinto Facchetti e Antonio Cabrini? E poi ancora: Gaetano Scirea o Franco Baresi? Giuseppe Meazza o Gianni Rivera? Gigi Riva o Pablito Rossi? Proprio vero: schierare la migliore formazione italiana di tutti i tempi è da sempre compito arduo, grazie alla grande quantità di campioni espressa dalla nostra scuola calcistica in oltre un secolo di storia. Altrettanto difficile è ipotizzare una “Nazionale” ideale composta da quei grandi giocatori che, per una ragione o per l’altra, la maglia azzurra non l’hanno in realtà mai indossata. Chi perché inviso al commissario tecnico di turno, chi perché chiuso da campioni che hanno fatto epoca, chi ancora perché strappato alla vita troppo presto. Noi ci abbiamo provato. Ci sono capitani silenziosi, operai specializzati del pallone, recordman bizzosi e marcatori da cui è meglio stare alla larga. E dalla panchina, già si odono le direttive in dialetto triestino del c.t….

I MINISTRI DELLA DIFESA

E allora partiamo. Come portiere, spazio a SEBASTIANO ROSSI (Cesena, 1964), il gigantesco estremo difensore del Milan degli Invincibili. Formidabile nelle uscite alte grazie al metro e 97 di altezza, ma abile anche tra i pali per via dello spiccato senso del piazzamento, a lungo ha detenuto il record di imbattibilità nel nostro campionato (929 minuti consecutivi senza subire gol). Romagnolo focoso, spesso al centro di clamorose polemiche, fu, nonostante tutto, uno dei migliori portieri degli anni ’90, epoca in cui vinse 5 Scudetti e una Champions League. Durante la gestione Sacchi, venne convocato due volte in Nazionale, ma non ebbe mai modo di esordire perché chiuso dai vari Gianluca Pagliuca, Angelo Peruzzi e Luca Marchegiani.

Maglia da terzino destro a GIUSEPPE BRUSCOLOTTI (Sassano, 1951). Storica bandiera del Napoli e detentore del record di presenze in Serie A con il club partenopeo (387, distribuite in 16 stagioni), vinse il primo Scudetto al fianco di Maradona, oltre a 2 edizioni della Coppa Italia. Uomo-spogliatoio, era il classico marcatore senza macchia e senza paura che s’incollava ai garretti dell’ala sinistra avversaria per tutti i 90 minuti. Soprannominato “palo ‘e fierro” per via del fisico possente, deciso negli interventi ma mai sleale, non rientrò mai nelle gerarchie di Enzo Bearzot, che gli preferì prima Claudio Gentile e poi Beppe Bergomi.

Come primo difensore centrale, chi meglio di FILIPPO GALLI (Monza, 1963)? Abile sia nella marcatura a uomo che in quella a zona, fece parte, con Mauro Tassotti, Franco Baresi, Billy Costacurta e Paolo Maldini, della difesa più forte della storia del Milan. Nonostante una carriera funestata dagli infortuni, riuscì a conquistare 3 Coppe dei Campioni. Memorabile, in particolare, il successo sul Barcellona del 1994, quando, ormai veterano, mise la museruola al temibilissimo Romário. Non giocò mai in Nazionale maggiore, ma con l’Olimpica partecipò ai Giochi di Los Angeles ’84, finendo quarto.

Come secondo difensore centrale, un autentico asso: SERGIO BRIO (Lecce, 1956). Formidabile marcatore dalla stazza imponente, veloce ed imbattibile nel gioco aereo, vinse tutte le competizioni possibili con la maglia della Juventus. Applicazione negli allenamenti, studio dell’avversario e grande umiltà: ecco le armi segrete di un giocatore che avrebbe sicuramente meritato una chance in Nazionale. La contemporanea presenza di tanti bravi stopper, da Fulvio Collovati a Riccardo Ferri, senza dimenticare Pietro Vierchowod, gli chiuse però ogni porta.

Uno tra i difensori più temuti nella storia del calcio italiano: provocatore, rissoso, ma anche irriducibile marcatore. Non passava di certo inosservato PASQUALE BRUNO (San Donato di Lecce, 1962). Ricoprì tutti i ruoli difensivi, ma fu come terzino sinistro che contribuì a fare del Como, nel 1986/87, la seconda miglior difesa del campionato. Con la Juventus vinse poi una Coppa Italia e una Coppa UEFA, ma il meglio della carriera lo visse al Torino, dove divenne l’idolo della Curva Maratona. Persona gradevole fuori dal campo, nel rettangolo verde era un autentico mastino. Memorabili alcuni duelli al calor bianco con Marco van Basten, Roberto Baggio e Gianluca Vialli. A testimoniare la sua caparbietà, anche una positiva militanza in Scozia, terra di Highlanders per eccellenza…

CUORE, CERVELLO E POLMONI

E passiamo ora al centrocampo, dove una maglia da titolare va sicuramente a CARLO TAGNIN (Alessandria, 1932 – Alessandria, 2000). Ennesimo prodotto del fertile vivaio alessandrino, una terra che ha sfornato campioni del mondo del calibro di Pietro Rava, Giovanni Ferrari ed Eraldo Monzeglio, oltre al sommo Gianni Rivera, Tagnin era un implacabile mediano marcatore che compensava le lacune a livello tecnico con corsa e spirito di sacrificio. Esordì in Serie A con il Torino, la squadra per cui tifava da bambino, ma visse gli anni d’oro nella Grande Inter. Pupillo di Helenio Herrera, annullò il celebre Alfredo Di Stéfano nella finale di Coppa dei Campioni del 1964, primo trionfo internazionale per i nerazzurri.

In posizione centrale, a dettare i tempi della manovra, trova spazio AGOSTINO DI BARTOLOMEI (Roma, 1955 – Castellabate, 1994), grande leader della Roma scudettata nel 1983. Capitano di poche parole ma dalla personalità svettante, non velocissimo ma in possesso di un tiro potente e preciso, era il centrocampista in grado di dare equilibrio alla squadra e di farla ripartire con la sapiente visione di gioco. Non furono sufficienti le 350 presenze e i 63 gol in Serie A con Roma, Milan e Cesena. La maglia azzurra, per lui, restò inspiegabilmente una chimera.

Come terzo centrocampista, ecco ANGELO COLOMBO (Mezzago, 1961), “la littorina della Brianza”, il biondo e infaticabile mediano del Milan di Arrigo Sacchi. Famosa la frase del tecnico di Fusignano, che una volta lo definì “prezioso come Maradona”. Ammettiamo pure un pizzico di esagerazione, ma resta il fatto che Colombo fu un perno indispensabile nell’economia del gioco di quella squadra. Pur non essendo un goleador, segnò una rete pesantissima al Napoli nella 13ª di andata del campionato 1987/88, dando il via alla clamorosa rimonta poi culminata nello Scudetto. Nelle due Coppe dei Campioni consecutive vinte dai rossoneri non saltò mai una partita. Per lui anche l’esperienza con l’Olimpica ai Giochi di Seoul ’88, chiusi al quarto posto.

ABILI E MAI ARRUOLATI

Abili, anzi abilissimi, ma mai arruolati, i tre attaccanti della nostra Top-11. A destra PAOLO DI CANIO (Roma, 1968), a inventare giocate di qualità dall’alto di una fantasia quasi sudamericana. Romano del Quarticciolo e tifoso della Lazio, è tuttora un simbolo dell’orgoglio biancoceleste. Fantasista dai raffinati mezzi tecnici, anche se discontinuo, si rivelò proprio con la maglia della sua squadra del cuore, da cui però fu ceduto ancora giovanissimo. Non convinse appieno alla Juventus e al Milan, dopodiché visse una lunga e a tratti esaltante avventura in Premier League. Tornò alla Lazio a 36 anni, giusto per segnare alla Roma in un incandescente derby capitolino. Per lui 9 presenze con l’Under-21, ma nessun gettone con la Nazionale maggiore. Il carattere spigoloso e l’indole ribelle non furono evidentemente fattori estranei alle mancate convocazioni…

Nel ruolo di centravanti, applausi per PIETRO PAOLO VIRDIS (Sassari, 1957). Attaccante altruista, scaltro, abile di testa e in possesso di fondamentali tecnici di prim’ordine. Nonostante i 2 Scudetti, non brillò nel suo periodo juventino, ma esplose definitivamente con il Milan. Capocannoniere del campionato nel 1986/87, realizzò la celebre doppietta al San Paolo di Napoli la stagione successiva, decidendo in pratica il discorso Scudetto. Galantuomo e professionista esemplare, contribuì al successo nella Coppa dei Campioni 1988/89 con 3 reti, di cui una pesantissima nel pareggio casalingo contro la Stella Rossa. 101 gol in totale per lui in Serie A, ma mai nessuna presenza in Nazionale. Si accontentò dell’avventura olimpica a Seoul ’88.

Altro campione fu FRANCO OSSOLA (Varese, 1921 – Superga, 1949), jolly d’attacco del Grande Torino, con cui vinse tutti e 5 gli Scudetti. Partì come centravanti, ma nel corso della carriera si spostò prima sulla fascia destra e infine su quella sinistra. Micidiale goleador, nella stagione 1947/48 andò in rete in 8 giornate consecutive (dalla 25ª alla 32ª). Segnò pure una doppietta nella vittoriosa finale di Coppa Italia 1942/43 contro il Venezia. La Seconda Guerra Mondiale e la limitata attività internazionale di quel periodo gli impedirono di vestire la maglia dell’Italia. Morì a 28 anni non ancora compiuti nel tragico schianto di Superga.

A LEZIONE DAL PARÒN

E come c.t.? Lunga ed importante è la lista dei maghi della panchina italiani che non hanno avuto la chance di rappresentare la Nazionale. Noi scegliamo un nome che metterà d’accordo tutti: NEREO ROCCO (Trieste, 1912, Trieste, 1979). Spesso ritenuto, a torto, portabandiera di un calcio ostruzionistico e catenacciaro, fu tecnico abile ad adattarsi a qualsiasi situazione di gioco. Impareggiabile nel creare uno spirito di gruppo, lanciando giovani talenti e rigenerando vecchi campioni ritenuti erroneamente al capolinea, fu consegnato alla storia dai tanti successi sulla panchina del Milan: una Coppa Intercontinentale, 2 Coppe Campioni, 2 Coppe delle Coppe, 2 Scudetti e 3 Coppe Italia. “Il paròn” vantò anche un’esperienza alla guida della rappresentativa olimpica, al fianco di Gipo Viani, ai Giochi di Roma ’60, dove assaporò per la prima volta la classe squisita di un diciassettenne alessandrino destinato a divenire il suo più illustre discepolo: Gianni Rivera.