Mondiali 1930: URUGUAY

Uruguay Campeon

Ripetizione quindi della finale di Amsterdam, prodotto eviden­te della supremazia del calcio rioplatense e del magistero di quella scuola orientata sulla per­fezione tecnica e il rispetto del­la geometria nella manovra. «Portenhi» e «orientales» si ri­trovavano di fronte per la con­quista del trono del pallone do­po tante battaglie dall’esito in­certo in Coppa America, nelle Tacas Lipton e Newton, alle Olimpiadi per evidenziare una su­premazia alla quale le opposte tifoserie ambivano tenacemen­te. L’incontro fu preparato mi­nuziosamente dalle autorità di polizia di Montevideo. Da Bue­nos Aires furono richiesti 30.000 biglietti e gli organizzatori ne concessero 20.000.

Agli ingressi dell’Estadio Centenario militi della policia civil passarono a sommaria perquisizione migliaia di spettatori. Fu trovato di tut­to, petardi, coltelli, revolver e la solerzia giunse a tal punto, che la terna arbitrale fu ammessa all’ingresso solamente dopo una accurata ispezione alle valiget­te. 20.000 tifosi argentini attra­versarono il Rio della Plata su un centinaio di piroscafi che ave­vano attraccato al porto di Mon­tevideo nelle 48 ore precedenti il match. L’attesa era enorme, la tensione causava incidenti si­gnificativi in ogni parte delle scalee ancora prima dell’avvio dell’incontro.

Langenus che era stato prescel­to per dirigere la finale aveva accettato la designazione un paio d’ore prima dell’avvio dell’incontro. E accettò quando gli fu stipulata una congrua polizza sulla vita e assicurata l’assisten­za garantita di almeno un centi­naio di poliziotti. Al Prado la vi­gilia dell’incontro fu incrinata dalla rinuncia di Peregrino An­selmo, centravanti della «cele­ste» e grande rivelazione di quei campionati. Chiese di non esse­re schierato senza precisare i motivi che lo spingevano ad una tale richiesta e ci fu chi ma­lignamente insinuò il sospetto di un irresistibile timore del «terrible» Monti. Con Petrone fuori forma, il compito di sosti­tuire Anselmo fu affidato al «monco» Hector Castro, un gio­catore carente sul piano tecni­co ma dotato di una carica agonistica inesauribile. Uruguay dunque schierato dal prof. Supicci con: Ballestrero; Nasazzi Mascheroni; Andrade Fernandez Gestido; Dorado Scaron Castro Cea Iriarte. L’ambiente della «celeste» era teso, ma sostan­zialmente conscio della propria forza e fiducioso nella vittoria.

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I capitani Nasazzi e Ferreira con l’arbitro belga Langenus

In casa argentina al contrario regnava il caos più comple­to. Luisito Monti non voleva gio­care, il pubblico gli aveva indi­rizzato ogni genere di contu­melie, era stato oggetto di sar­castici e pesanti commenti sulla stampa locale e come non bastasse aveva ricevuto minacce telefoniche. Con Zumelzù infor­tunato e Chividini poco indica­to per un incontro tanto impor­tante, il responsabile Francisco Olazar fece venire da Buenos Aires due dirigenti del San Lo­renzo per convincere Luisito ad accettare la designazione al ruolo. Varallo era infortunato e lo si mandò in campo ugualmen­te sperando in un miracolo, gli argentini nervosi e preoccupati per la loro incolumità fisica en­trarono nel grande scenario alle 14,10 e al fischio di Langenus adottarono il seguente schiera­mento: Notasso; Della Torre, Paternoster; J. Evaristo, Monti, Suarez; Peucelle, Varallo, Sta­bile, Ferreyra, M. Evaristo.

Subito all’inizio gli argentini si spinsero in avanti evidenziando quello squilibrio fra reparto avanzato e difesa che è da sem­pre il tallone d’Achille dei «blanquicelestes». Gli uruguagi sten­tavano un poco, Andrade sem­brava in trance e Nasazzi era costretto ad affannosi recuperi, ma al 12′ Scarone incrocia in velocità Paternoster e Suarez e smista la palla a Castro che la fa proseguire in direzione di Dorado in profondità sulla de­stra. Due passi in corsa dell’ala e botta secca radente che gon­fia la rete dell’incolpevole Bo­tasso. Fra le esplosioni di gioia degli uruguagi monta la furia argentina. Nasazzi e Maschero­ni compiono autentici miracoli ma il pareggio è nell’aria. Al 20′ Monti manovra una palla per Stabile che serve Ferreyra, e il mezzo sinistra trattiene la palla richiamando su di sé l’attenzione dei difensori, poi con un «pase corto» serve l’accorrente Peu­celle che con tiro incrociato a mezza altezza batte il «mal colocado» Ballestrero. Il gol d’ apertura ha come sgonfiato gli uruguagi; non riescono ad argi­nare le offensive arrembanti, le invenzioni geniali di Stabile e il controgioco d’attacco non rie­sce a superare la tre quarti av­versaria.

Intanto Stabile fa im­pazzire i difensori e al 37′ Na­sazzi si fa sorprendere da un lungo lancio di Monti scoccato da quasi metà campo, «el filtrador» è ben piazzato ad aggira il capitano della «celeste» e non appena Ballestrero accenna l’u­scita lo anticipa con un tocco beffardo che termina in rete. Il vantaggio eccita i portenhi, so­spinti dal caldo incitamento dei 20.000 supporters gli argentini insistono in avanti alla ricerca del gol della sicurezza, ma Na­sazzi, Mascheroni e Ballestrero fan diga molti-plicando le ener­gie e al 57′ su un lungo lancio di Fernandez, Scarone fa da tor­re per Cea e il tiro del «peon» è imprendibile per Botasso. Il pareggio è come una medicina salutare, Andrade ritrova l’agi­lità di sempre, Fernandez specia­lista del controgioco può arma­re i suoi lanci precisi in avanti Scarone riprende le redini del gioco e per la difesa argentina aperta ed invitante cominciano i dolori.

La prima rete del match arriva al 12′ ad opera di Dorado

Le incursioni offensive di Sca­rone e Iriarte mettono in avaria la difesa avversaria e al 68′ Mascheroni scende veloce e indi­sturbato sul centro e appoggia a Iriarte. L’ala finta il passaggio su Scarone e invece lascia parti­re un gran fendente che si spe­gne nell’angolo alto alla destra di Botasso. Pur vulnerabile nei reparti arretrati l’Argentina si getta in avanti portando tram­busto e panico nella tifoseria uruguagia, specialmente quando Nasazzi è costretto a strattona­re vistosamente Evaristo e Andrade sulla linea di porta con Ballestrero battuto, riesce a cac­ciar via una palla indirizzata a rete da Varallo. Ma il pareggio non arriva e gli ampi spazi con­cessi alle incursioni di Dorado e Iriarte portano la quarta segna­tura ad opera di Castro, che in­terviene con la testa su una cen­trata di Dorado. E’ notte per le ambizioni argentine, la Coppa del Mondo finisce nelle mani di Nasazzi a concludere un decen­nio di dominio sul football mon­diale. Agli uomini di «Nolo» Ferreyra, alla tifoseria e alla stampa argentina non rimane che l’inutile arma della polemi­ca.

La Federazione argentina perde addirittura la testa e rom­pe ogni e qualsiasi rapporto con la consorella uruguayana. Luisi­to Monti fu oltraggiato lunga­mente; dopo averlo accusato per lungo tempo di «brutalidad», gli appiopparono ora l’appella­tivo «conejo» imputandogli un comportamento pauroso nel cor­so della finale. Giocatori che pur nei limiti tattici del calcio «portenho» offrirono grandi spettacoli di gioco sul terreno del «centenario» vennero defi­niti «codardes».Le cause che portarono alla scon­fitta non erano imputabili alla valutazione dei singoli, che sul piano della classe pura le due squadre si equivalevano, il diva­rio dei valori scaturiva dalla di­versa concezione tattica delle due scuole. Sebbene Carlo Peucelle abbia recentemente scritto nei suoi ricordi che «non si par­lava di tattica, ognuno saliva a giocare e sapeva cosa doveva fa­re» e Carlos Martinez Moreno, giornalista uruguayano confermò scrivendo «la verità è che non si usavano giocate diagrammate sulla lavagna», è pur vero che il gioco argentino era tutto orientato all’offensiva senza particolari attenzioni alla difesa e per contro gli uruguagi di Nasazzi, manovravano più raccolti sulla loro trequarti per colpire in con­trogioco con incursioni veloci in profondità.

La gioia dell’Uruguay campione del mondo

Questa caratteristica gli derivava fino dal 1924 dalle peculiarità di Pedro Petrone che aveva sostituito José Piendibene al comando defila prima linea «celeste» e rivoluzionato la figura del centravanti, dotato come era di potenza e capacità di tiro surrogate da una notevole ve­locità. Per questa caratteristica «Perucho» Petrone che verrà poi in Italia alla Fiorentina, gra­diva i lanci negli spazi aperti in cui avventarsi in velocità ed usare al meglio l’arma del tiro. E con il centravanti in con­dizioni di forma piuttosto pre­carie il prof. Supicci scelse Hector Castro affidandogli i com­piti che nel passato «Perucho» aveva così bene espletato. E il risultato gli diede ampiamente ragione.