Mondiali 1950: URUGUAY

Delusioni Anglo-Italiane

L’Inghilterra partì alla volta di Rio de Janeiro convinta di fare man bassa. Alla resa dei conri, fallì clamorosamente, complice la sfida persa contro i”cugini” degli USA. Decisiva la rete di Gaetjens

Al primo congresso della FIFA del dopoguerra, la Football Association fece cadere tutte le remore e le incomprensioni che per lungo tempo l’avevano costretta in volontario esilio, dal massimo consesso dei calcio mondiale. Inghilterra, Scozia, Irlanda e Galles, rientravano nell’ambito internazionale e tutte le riserve circa la validità contestuale del titolo di «Campione del Mondo» venivano a cadere d’acchito. Stimolata dalla netta egemonia espressa nell’annuale «Home Championship» (tre vittorie nel dopoguerra: 46-47; 47-48; 49-50) e dai lusinghieri risultati sui campi continentali, 10-0 al Portogallo a Lisbona, 4-0 all’Italia a Torino, 5-2 al Belgio a Bruxelles, 3-1 alla Francia a Parigi, Mister Winterbottom, trainer dei «bianchi» partì per il Sudamerica convinto di poter interpretare un ruolo di primo piano.

La formazione era collaudata dalle vibranti battaglie con le consorelle isolane, il suo gioco moderno poggiava sulla vigoria fisica, la velocità, la determinazione e sul talento di autentici campioni come Alf Ramsey, difensore del Tottenham, Billy Wright, biondo laterale del Wolverhampton, una delle figure più rappresentative del «football» britannico, poi Dickinson del Portsmouth, recordman delle partite di lega inglese con 764 presenze, tutte con la maglia della società d’origine, Mortensen del Blackpool, che a Torino aveva segnato un gol da posizione impossibile, il dribblatore Mannion, interno del Middlesbrough, il leggendario Tom Finney del Preston, entrato nel mito dei «bianchi maestri» come uno degli attaccanti più dotati, mai apparsi sui campi britannici. Una squadra fortissima, volitiva, accreditata di grandi possibilità che al fuoco delia battaglia pagò lo scotto di un troppo lungo isolamento, di un clima caldo e umido che tagliò letteralmente le gambe ad atleti dotatissimi, ma incapaci di dosare lo sforzo, e anche un certo «superiority complex» che ben presto svanì come neve al sole di fronte alle malizie di spagnoli e americani.

L’Inghilterra aveva debuttato battendo il Cile 2-0 con reti di Mortensen e Mannion, ma gli andini avevano colpito due volte i pali. Con i dilettanti USA, si attendeva un largo «score» per i maestri, ma quando le emittenti radiofoniche annunciarono al mondo la sconfitta per 0-1, molti pensarono ad un errore dello «speaker». Ma non c’era stato errore, un carneade haitiano, John Gaetyens, che verrà in seguito al Racing di Parigi, soppresso poi misteriosamente nel ’64 dai «tonton macoute» di Doc Duvalier per sospetta «attività sovversiva», aveva segnato la rete della celebrità al portiere Williams.

L’Italia schierata contro la Svezia. Troppo molli gli Azzurri, ancora traumatizzati dalla tragedia di Superga.

Alle Olimpiadi del 1948 una formazione sperimentale azzurra era stata eliminata dalla Danimarca di John e Karl Hansen, di Praest e di Ploeger che verranno poi in Italia ingaggiati dai nostri «clubs». La vetrina di Londra, mise in risalto una Svezia formata da elementi di notevole livello internazionale con un trio attaccante formidabile: Gren -Nordhal – Carlsson e dove Liedholm per ragioni di abbondanza figurava come ala sinistra. Dopo il Torneo di Londra, Carlsson era emigrato in Spagna, all’Atletico di Madrid, Gren, Nordhal e Liedholm erano venuti al Milan, si pensava che una simile sottrazione di talenti avesse impoverito la formazione gialloblù fino a declassarla ai livelli della nostra rappresentativa, che senza gli uomini del Torino, periti nel rogo di Superga, il 4 maggio del ’49, si avventurava a tentare la conquista definitiva della Coppa Rimet.

Purtroppo la partita con la Svezia mise in evidenza limiti di classe e di carattere insuperabili e pur godendo dei favori del pubblico, pur battendo nettamente il Paraguay per 2-0, la squadra azzurra fu condannata al rientro anticipato ed ai soliti processi che da allora deliziarono ogni quattro anni l’ambiente calcistico italiano. In quel momento, pur tenendo conto degli errori che potevano essere stati commessi dalla conduzione federale, la nostra rappresentativa era relegata al ruolo di comparsa nell’arengo mondiale, per ragioni che investivano sia il tipo di gioco (sistema a WM) cui evidentemente i nostri giocatori non erano tagliati, sia i vuoti che la scomparsa degli elementi del Torino aveva lasciato.