Mondiali 1950: URUGUAY

Una sola nazione era destinata a vincere il mondiale: il Brasile che organizzava l’edizione. Ma la sorte non ha rispettato i pronostici. Duecentomila persone, al Maracanà di Rio, hanno pianto vedendo la loro nazionale subire la più bruciante umiliazione della storia calcistica

Avevano avanzato la propria candidatura per il mondiale del ’42, Germania, Brasile, Argentina, e dopo due edizioni consecutive sul vecchio continente, la scelta di un paese sudamericano era obbligatoria per non rinfocolare le antiche polemiche. Al congresso della FIFA del 1946, in Lussemburgo, dopo il conflitto mondiale, l’Argentina ritirò la propria candidatura in favore del Brasile e all’unanimità, i delegati assegnarono al CBD l’onore e l’onere dell’organizzazione della VI Coppa del Mondo.

Cominciò allora la disputa sulla formula, che la FIFA in ossequio alla tradizione voleva inalterata rispetto a Roma 1934 e Parigi 1938, mentre gli organizzatori per ragioni di equità sportiva e più pedestramente di cassetta desideravano in forma di campionato. Mancavano all’appello il Belgio e i paesi dell’Est Europeo, l’Austria e la Germania ancora condizionate dagli eserciti di occupazione, alla competizione aderirono 33 federazioni, ma la novità più gradita era rappresentata dall’adesione britannica, che finalmente interveniva per la prima volta alla massima prova internazionale. Italia e Brasile, partecipavano di diritto come detentore del titolo e paese organizzatore, le rimanenti si affrontarono nei dieci gruppi eliminatori, che partorirono le rimanenti quattordici finaliste.

Non si registrarono grosse sorprese a parte l’eliminazione della Francia al limite dello spareggio, con la Jugoslavia, che la battè a Firenze, ma poi alcuni «forfaits» (Turchia, Scozia, India) limitarono il numero a tredici entità. Alla Francia fu offerto un insperato ripescaggio, ma quella federazione anche in rapporto alle due sconfitte consecutive imposte ai «galletti» da Belgio e Scozia, declinò la possibilità di rientrare dalla finestra dopo essere uscita dalla porta.

Con l’adesione alla Carta Atlantica del febbraio 1943, la Repubblica degli Stati Uniti del Brasile aveva partecipato con gli alleati al conflitto mondiale. Il generale E. G. Dutra, eletto Presidente nel ’45, aveva varato il piano quinquennale SALTE (salute, alimentazione, trasporti, energia), ma già nel periodo del mondiale la borghesia progressista preparava l’avvento di Getulio Vargas, che già aveva detenuto il potere dittatoriale dal ’30 al ’45, leader del partito liberale. Le condizioni di vita erano caratterizzate dalla ricchezza più sfrontata delle lussuose dimore in riva all’oceano, in contrasto con l’indigenza più assoluta delle «favelas» dei suburbi. Il Brasile era paese ricco di impianti sportivi, ma la municipalità di Rio volle celebrare adeguatamente l’avvenimento, erigendo il più grande stadio del mondo che prese nome di Maracanà, previsto per 180.000 persone ne poteva accogliere fino a 220.000.
Un vero e proprio tempio del «futebol».

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L’enorme catino del Maracanà, ancora in costruzione ma già utilizzato per i Mondiali del 1950