Mondiali 1958: BRASILE

Delusione Argentina, sorpresa Francia

La Francia, rivelazione ai mondiali svedesi. Da sinistra: Kaelbel, Lerond, Lafont, Marcel, Douis, Vincent, Fontaine, Wisnieski, Kopa, Abbes e Penverne

Le sedici finaliste erano state così suddivise: Germania Ovest, Cecoslovacchia, Irlanda e Argentina nel primo gruppo, Francia, Jugoslavia, Scozia e Paraguay nel secondo, Svezia, Messico, Ungheria e Galles nel terzo ed infine Inghilterra, URSS, Brasile e Austria nel quarto. Le partite dei turni eliminatori fecero registrare diverse sorprese. La Cecoslovacchia era accreditata di buone possibilità; nel ’56 aveva battuto il Brasile a Rio (1-0) e nella stagione preparatoria al mondiale aveva battuto ripetutamente la Germania Orientale, la Jugoslavia e la Germania Ovest. S’erano affermati Masopust, Novak, Pluskal che rinverdivano i fasti dei grandi boemi degli anni trenta, ma inaspettatamente, l’Irlanda che tanta amarezza ci aveva dato, e che era composta in gran parte da calciatori abituati ai ritmi del campionato inglese, batté ripetutamente la Cecoslovacchia, guadagnando la qualificazione ai «quarti».

Passavano al turno successivo due rappresentative per girone e una grande delusione venne dall’Argentina che aveva vinto alla grande i campionati continentali del ’55 e del ’57. A Santiago del Cile (1955) una formazione caratterizzata dal «quinteto de la muerte» dell’Indipendiente, Micheli – Cecconato – Bonelli – Grillo – Cruz, poi integrato nel prosieguo del torneo da Borrello, Labruno e Cucchiaroni che sostituirono centravanti, interno e ala sinistra, per un repentino scadimento di forma, vinse il torneo battendo nella finale il Cile 1-0 con gol di Micheli e nell’incontro con gli uruguagi lo squadrone «blanquiceleste» sottolineò la sua vocazione infliggendo ai tradizionali e acerrimi rivali un umiliante 6-1 che ancora oggi è una macchia indelebile per la «celeste» ed è lo «score» più largo conquistato dagli argentini sugli uruguagi. Nel ’57 poi rinnovarono l’imperio della loro grande scuola gettando nella contesa tre giovani che tanta parte avranno nel nostro calcio e i giornalisti brasiliani, che avevano ironizzato sul trionfo di Santiago, affermando «che gli argentini vincevano il “Sudamericano” quando il Brasile era assente» furono tacitati da una grande prestazione del «quinteto diabolico»: Corbatta – Maschio – Angelillo – Sivori – Cruz; 3-0 il risultato di quella vibrante battaglia e a nulla valsero i virtuosismi del grande Zizinho, di Dino Sani, Didi, Dyalma Santos e Pepe. Quell’Argentina nonostante la perdita delle «caras sucias», che erano arrivate in Italia, assieme a Grillo, era attesa con grande interesse in Svezia, ma tenne fede alla sua fama solamente per mezz’ora.

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Due momenti di Germania Ovest-Argentina 3-1

Partiti di slancio con illuminanti manovre i portenhi erano passati già al 2′ con Corbatta, ma poi la forza e la possanza dei tedeschi, aveva frantumato l’incosistente ragnatela biancoceleste e a nulla valse l’illusoria vittoria sull’Irlanda per 3-1; nell’incontro decisivo con la Cecoslovacchia, l’Argentina naufragò con sconcertante fragilità atletica, risultando sconfitta per 1-6. «Somos los mejores do mundo» era stato lo slogan della partenza, uno slogan che era servito anche per rifiutare l’apporto degli emigrati sparsi per il mondo, ma ben diverso fu il ritorno in patria: una pioggia di monetine accolse gli atleti all’aeroporto di Ezeiza. Passarono Germania e Irlanda, Jugoslavia e Francia e la sorpresa venne dai «galli» che riuscirono ad eliminare l’accreditata Scozia, la Svezia dei professionisti che eravamo abituati ad ammirare sui nostri campi ed il Galles di John Charles, mentre l’Ungheria vedova dei grandi del ’54, riparati all’estero dopo i moti del ’56, usciva dalla tangente battuta nello spareggio dai gallesi.

Nel quarto gruppo la lotta fu durissima fra Brasile, Inghilterra ed URSS e l’Austria schiacciata da simili avversari conquistò un solo punto. L’URSS di Jascin e Voinov, Simonian e Iljin, cominciò alla grande inchiodando sul pareggio gli inglesi e battendoli poi nello spareggio resosi necessario poiché le due squadre s’erano piazzate con tre punti alle spalle del Brasile. L’Inghilterra deludeva nuovamente ma è doveroso ricordare che l’incidente aereo di Monaco, nel quale era incorso il Manchester United nel ritorno da un incontro di Coppa Campioni, l’aveva privata di autentici «cracks» come il centravanti Tommy Taylor, il difensore Roger Byrne ed il mediano Duncan Edwards, che costituivano tre certezze della rinnovata rappresentativa inglese.

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Simonian apre le marcature nel match tra URSS e Unghilterra

Germania e Irlanda, Jugoslavia e Francia, Svezia e Galles, URSS e Brasile, dettavano qualche opportuna considerazione. Stava affacciandosi alla ribalta un nuovo calcio, meno romantico, più ancorato alla realtà. L’URSS giocava un «football» senza estri, duro, coriaceo, così come la Germania, l’Irlanda e il Galles esaltato dalle prestazioni di Charles; la Jugoslavia e la Svezia brillavano degli splendori tecnici dei grandi, da Sekularac a Boskov, da Liedholm a Gren, mentre la vocazione offensiva veniva valorizzata dal Brasile di cui parleremo più avanti, e, inaspettatamente, dalla Francia di Paul Nicolas. La rappresentativa tricolore non era accreditata di grandi possibilità alla vigilia del mondiale. Una serie di risultati negativi, 0-4 dall’Inghilterra a Wembley e tre pareggi consecutivi al Parc de Princes con Spagna (2-2), Bulgaria (2-2) e Svizzera (0-0) aveva confermato i limiti tecnici di una scuola da sempre relegata fra le potenze calcistiche di seconda schiera.

Dopo le violentissime polemiche successive alla eliminazione nel mondiale del ’54, quando già il franco-polacco Kopacewski aveva mostrato qualche scampolo della sua immensa classe, la «selection» con il piccolo centravanti che cresceva nella considerazione dei tecnici europei, aveva battuto l’Inghilterra (1-0), la Germania Campione del Mondo (3-1), la Svezia (2-0) ed era andata a pareggiare a Mosca (2-2). Ma bastava poco per metterla in crisi, bastava appunto che Kopà fosse assente, preso da uno dei suoi impegni con il Real Madrid, e la formazione ricadeva in una impotente mediocrità. Ma ormai in quel 1958, Kopà era nel pieno della maturità, dal Reims era passato al Real Madrid e quando Saporta, «general manager» dei madrileni, tornò dalla Svezia dove era stato inviato da Bernabeu con l’incarico di acquistare il miglior giocatore del mondiale, nella relazione scrisse: «Non possiamo acquistare il miglior calciatore del mondiale poiché l’abbiamo già. E’ Raymond Kopà». Inserita nel complesso la sua personalità tecnica, ne moltiplicava la caratura potenziale.

La difesa accresceva le proprie capacità pur rimanendo nell’ambito del normale, ma l’attacco diveniva una autentica macchina da gol e la regia di «Napoleon» Kopà permetteva all’agile Fontaine di segnare grappoli di gol e Wisnieski, Piantoni, Vincent divenivano elementi in grado di minacciare qualsiasi difesa. La Francia s’era guadagnata l’accesso ai quarti battendo il Paraguay per 7-3 e già Fontaine, con una tripletta s’avviava alla conquista della classifica dei marcatori. Era stata battuta di misura dalla Jugoslavia (2-3), ma nell’incontro decisivo con la Scozia, temuta per le batoste subite nel passato, Kopà e Fontaine trovarono assai presto la via della rete ed il serrate scozzese servi solamente a dimezzare le distanze e con il risultato di 2-1 la Francia passava il turno facendo impazzire i suoi tifosi.

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Raymond Kopa assieme al selezionatore francese Batteux