Mondiali 1958: BRASILE

Svezia all'altezza

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All’inizio della competizione mondiale gli ambienti calcistici svedesi non alimentavano eccessive illusioni sui risultati dei «gialloblù» nella Rimet. L’inglese Raynor, incaricato della conduzione della selezione, si era avvalso dell’apporto dei professionisti Liedholm, Gren, Hamrin, Gustavsson, Skoglund, Selmosson e Mellberg che giocavano abitualmente in Italia, ma l’etichetta di squadra non omogenea, incideva sul tasso elevato di classe e quindi sui pronostici. Inserita nel girone più facile alla Svezia bastò battere il modesto Messico (3-0), superare lo scoglio della rinnovata Ungheria (nella quale faceva i primi passi di una grande carriera Lajos Tichy, mentre Bozsik e Hidegkuti sparavano le ultime cartucce) con una doppietta di Hamrin ed inchiodare sul pari (0-0) il Galles per conquistare la prima piazza del girone. A questo punto il passaggio ai «quarti» sembrava aver saziato le modeste aspettative degli svedesi. L’accoppiamento con l’URSS sembrava concedere scarse possibilità ai «gialloblù» e questa valutazione era condivisa da quasi tutti i tecnici, poiché le scarse notizie che filtravano sul calcio sovietico, ne avevano mitizzato la possanza al di là delle effettive capacità. L’URSS poteva intimorire per la compattezza, per la robusta e solida manovra, ma già fin d’allora, appariva chiaro che le possibilità di arrivare al gol, erano affidate unicamente alla forza, risultando quasi del tutto assenti ispirazione, estro, fantasia.

E fu la Svezia che stupì il mondo battendo i russi con il classico punteggio di 2-0: grazie ad una rete dello scaltro Hamrin che aveva fatto impazzire il suo guardiano ed in chiusura da una stoccata del biondo centravanti Simonsson. Lo spettacolo di gioco fornito dai padroni di casa fece sperare qualcosa di più di un onorevole piazzamento. In difesa giganteggiava l’atalantino Gustavsson e Bergmark si segnalava fra i migliori difensori del torneo; a centrocampo il «professor» Gren e Liedholm mettevano in vetrina la grande classe di una squadra che aveva dominato le Olimpiadi del 1948. In avanti Simonsson si rivelò come buon realizzatore, ma i mattatori della formazione erano sulle estreme: Hamrin a destra, l’indimenticabile «uccellino» dai passi rapidi e svelti, dalle rincorse zigzaganti, ma anche di un efficacia sottorete difficilmente riscontrabile nei ruoli d’ala; e a sinistra Nacka Skoglund, fantastico giocoliere, il più latino dei calciatori svedesi, un vero artista della palla con tutte le contraddizioni del termine che si riflettevano nella vita privata.

Superata l’URSS nulla sembrava impossibile, la Svezia era cresciuta nel corso del torneo e riuscì a prevalere anche sulla Germania, che era arrivata in semifinale battendo la Jugoslavia 1-0 in sede di «quarti». I tedeschi con la tradizionale manovra poggiata sulla forza e l’efficacia erano passati in vantaggio con Schaffer. Fritz Walter, vecchio drago, ed Helmut Rahn, il giovane Seeler e Szymaniak spingevano la squadra a folate offensive minacciose, ma Skoglund riuscì a pareggiare verso la mezz’ora e sulla fascia destra Hamrin cominciò a minare il bunker difensivo tedesco. Nella ripresa, dopo una irresistibile turlupinatura di «uccellino», Juskowiak perse la tramontana e reagì violentemente guadagnandosi il viaggio anticipato agli spogliatoi, e sul finale Gren e Hamrin segnarono le reti della vittoria.

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Agne Simonsson sigla le rete del 2-0 nel quarto di finale tra Svezia e URSS