Mondiali 1962: BRASILE

L'esplosione dei Garrincha

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Nel quarto di finale contro l’Inghilterra, il Brasile sbaraglia i Maestri per 3-1. Nella foto Garrincha e Ray Wilson

Gli accoppiamenti per i «quarti» prevedevano incontri dagli esiti incerti e il «clou» si giocava a Vina del Mar fra il Brasile che aveva sollevato più di un interrogativo nell’incontro con la Spagna e l’Inghilterra che con Bobby Charlton, Moore, Haynes e Greaves rappresentava uno spauracchio sempre temibile, specialmente per le squadre ad ispirazione latina. Ancora orfana di Pelè, la formazione «auriverde» si avvalse in quell’occasione di un fenomenale Garrincha che oltre a mandare completamente in bambola il difensore diretto Wilson si arrogò il titolo di giustiziere, con un paio di esecuzioni che lasciarono di sasso il portiere Springett.
Hitchens aveva pareggiato il primo vantaggio del Brasile, ma l’idolo di Pao Grande, che nel pieno della carriera, non disdegnava gli interminabili incontri con gli amici sulla «pelada», una sorta di campo da gioco senza un filo d’erba, in quella partita contro gli antichi maestri, attinse le vette che solo Pelé aveva raggiunto, assumendo di persona la guida in campo della «selecao», come realizzatore e anche come costruttore di gioco: suo fu il passaggio millimetrico che permise a Vavà il gol del 2-1.

E ancora con il Cile, che a sorpresa aveva battuto ad Arica l’URSS complice l’incolpevole Jaschin, il passero brasiliano segnò ancora una doppietta e fu di stimolo e d’esempio ai compagni. Ma quel mondiale era nato sotto cattiva stella, troppe volte la cronaca fu costretta a vicende non confacenti l’etica sportiva. Esasperato da un fallo brutale Garrincha reagì violentemente e fu espulso dal peruviano Yamasaki, e quando stava incamminandosi verso gli spogliatoi, fu colpito alla testa da un sasso scagliato dalle tribune, che gli procurò un taglio profondo che richiese tre punti di sutura. Con la vittoria per 4-2 sugli infuriati padroni di casa, che di ogni partita facevano un combattimento senza esclusione di colpi, il Brasile ebbe accesso alla finale.

Se Garrincha fu l’artefice maggiore del successo degli «auriverdi», un altro atleta che aveva debuttato nella nazionale boema nel ’55, contribuì in maniera decisiva al ritorno del calcio cecoslovacco sul grande palcoscenico della Coppa del Mondo. Willy Schroiff, numero uno dello Slovan di Bratislava, di fama piuttosto modesta fino a quel mondiale, ma autentico protagonista di eccezionali prodezze nel corso della manifestazione. La Cecoslovacchia affidata a Vytlacil, nazionale degli Anni Trenta, contemporaneo di Puc e Neyedly che ne limitarono l’attività internazionale, s’era presentata al mondiale con scarse credenziali anche se Masopust, Pluskal e Novak del Dukla, Popluhar dello Slovan e Kvasnak dello Spartak erano calciatori di buona levatura. Semifinalista nella Coppa Europa delle Nazioni 1960 e classificatasi al terzo posto dopo aver sconfitto la Francia a Marsiglia 2-0, la Cecoslovacchia che giocava un 4-2-4 piuttosto contratto, aveva inflitto una serie di buoni risultati, fra i quali un 4-0 alla Scozia ed un 7-1 all’Eire, proprio nella qualificazione per il mondiale.

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La rete di Radakovic nel quarto di finale Jugoslavia-Germania Ovest 1-0

Inserita nel girone di ferro di Vina del Mar, dove Brasile e Spagna avevano raccolto l’unanimità dei pronostici, la Cecoslovacchia s’era guadagnata il passaggio ai «quarti» con soli 3 punti raccolti battendo la Spagna (l-0), pareggiando con il Brasile (0-0) e facendosi inaspettatamente battere dal Messico (1-3). Proprio il contraddittorio comportamento nella fase iniziale e una certa predisposizione al gioco duro, la rendevano poco appariscente agli occhi dei critici e quindi non inserita nel lotto delle favorite. In sede di «quarti» il cartellone proponeva un Cecoslovacchia-Ungheria carico di fascinosi ricordi, con i magiari nettamente favoriti per la manovra brillante e spettacolare incentrata sulla genialità di Albert, l’efficacia di Tichy, l’abnegazione di Solymosi. Ma non ci fu nulla da fare per gli eredi di Puskas & C, Schroiff si elevò quale ultimo baluardo al vertice di una difesa rocciosa e impenetrabile, vanificò tre palle-gol clamorose di Albert e Tichy ed in virtù della rete messa a segno dallo stoccatore Scherer, difesa con sagacia e lucidità, i boemi guadagnarono l’accesso alla semifinale.

La quarta aspirante al titolo uscì dal confronto Jugoslavia-Germania che si chiuse per 1-0 in vantaggio degli slavi per la rete del centrocampista Radakovic, dopo una partita tiratissima con il portiere Soskic che impedì ad Uwe Seeler la rete del pareggio. Sconfitta di misura a Parigi dall’URSS (1-2) nella finale di Coppa Europa, medaglia d’oro alle Olimpiadi dì Roma la Jugoslavia ottenne in Cile il miglior risultato del dopoguerra nella Coppa del Mondo anche se nella finale per il terzo posto fu sconfitta dal Cile per le solite ragioni… geografiche. Ancora Schroiff fu l’artefice dell’eliminazione della Jugoslavia dalla corsa alla finale. Il portiere boemo tenne bloccata sul pareggio (1-1) una partita vibrante, combattuta e negli ultimi 10′ la maggior prestanza atletica degli uomini di Vytlacil, ottenne la resa degli slavi: 3-1.