Mondiali 1966: INGHILTERRA

Per gli Azzurri è Corea

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La costante negativa degli azzur­ri alla Coppa del Mondo nel dopoguerra registra in Inghil­terra il suo punto più basso. Dopo il mondiale cileno la Fe­derazione decise di affidarsi ad un tecnico professionista che aveva dimostrato sul campo le proprie qualità portando una piccola società di provincia co­me il Mantova fino agli onori della serie A. La scelta di Ed­mondo Fabbri era giusta in li­nea di principio, ma divenne un inatteso «boomerang» quando il tecnico dimostrò di non tenere nel dovuto conto le indicazioni del campionato e rivelò diffi­coltà insormontabili nel collo­quio con la stampa. Fabbri da buon romagnolo decise che il calcio azzurro andava rivoluzio­nato. In campionato dominava l’Inter di Herrera che otteneva successi su tutti i campi del mondo con una manovra impo­stata sull’utilitarismo, sul cal­colo esasperato. Difesa chiusa attorno ad Armando Picchi e Luisito Suarez, un grandissimo, ad orchestrare i contrattacchi di Jair e Mazzola. Una macchi­na perfetta, omogenea, sulla qua­le si poteva discettare all’infi­nito, ma che vantava indubbia­mente gli uomini migliori per quel tipo di gioco. L’avversario più agguerrito dell’Inter in cam­po nazionale era il Bologna di «Fuffo» Bernardini, che gio­cava un calcio più aperto e pia­cevole, spettacolare, poggiato su una manovra più ampia orche­strata da Fogli, Bulgarelli ed Haller, il fuoriclasse tedesco.

La gestione Fabbri era iniziata con la disputa della Coppa Europa in cui gli «azzurri» eliminarono la Turchia (6-0 a Bologna; 1-0 ad Istanbul) e furono estromessi al turno successivo dall’URSS (0-2 a Mosca; 1-1 a Roma) e la preparazione al mondiale ingle­se proseguì con la disputa del­la qualificazione guadagnata a spese di Finlandia, Polonia (nel­la quale figurava già Lubanski) e la Scozia di Bremner. I ri­sultati delle vittorie casalinghe su Scozia (3-0), Polonia (6-1) e Finlandia (6-1), alimentavano un entusiasmo incontrollato, la squadra imperniata su una ma­novra diretta dal «genio» di Rivera e dall’altruismo di Bulgarelli sembrava poter travol­gere ogni ostacolo. L’ultimo me­se di preparazione fu contras­segnato da risultati roboanti: 6-1 alla Bulgaria, 3-0 all’Argenti­na, 5-0 al Messico. Il CU. Fab­bri aveva fatto le sue scelte, partiva con l’aureola del vinci­tore, nella sua polemica contro Herrera ed il gioco dell’ Inter aveva trovato alleati interessati in alcuni giocatori, Rivera in te­sta. Ma al fuoco della battaglia la formazione azzurra mostrò carenza di nerbo atletico, risul­tò fragile e troppo portata al nervosismo.

Si vinse con il Cile (2-0) giocando male e dopo la vittoria, negli spogliatoi, Fabbri si lasciò andare a pesanti con­siderazioni sul comportamento dei giocatori, palesando una in­sicurezza imprevista in chi ave­va difeso tanto tenacemente le proprie scelte. E per l’incontro successivo con l’URSS cambiò totalmente i propri orientamen­ti, affidandosi ad una difesa chiusa, composta però da uo­mini che non valevano certa­mente i Picchi ed i Guarnieri dell’Inter tanto odiata. Si perse dall’URSS per un gol di Cislenko, la squadra denunciò i soli­ti difetti, non sapeva reagire, cadeva preda di comportamenti non ortodossi, ma non tutto era perduto: bastava vincere con la Corea del Nord ed il passaggio ai «quarti» era assicurato.

Ma ormai l’ambiente era nel caos più assoluto, i giocatori erano isolati, come prigionieri, nervo­si, con la Corea Fabbri mandò in campo elementi dalla quota­zione internazionale quasi nul­la, con Bulgarelli in condizioni menomate per un ginocchio in disordine. Morale: nel primo quarto d’ora l’Italia fallì cinque palle gol piuttosto facili e quan­do Bulgarelli, al solito genero­sissimo, uscì dal campo con il ginocchio definitivamente fuori uso e il tristemente famoso, per noi, odontotecnico Pak Doo Ik indovinò un tiro che batté Albertosi, la squadra naufragò mi­seramente senza nessuna possi­bilità di recupero. Quello fu il giorno più nero del nostro cal­cio che superò certamente l’al­tra infausta giornata di Belfast, con il solito corollario di pole­miche indegne che avevano l’uni­co scopo di scaricare su altri le proprie responsabilità.

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