Kaiser Franz e la Perla Nera
La Germania Ovest concluse l’incontro dei «quarti» con un rotondo 4-0 e per poco non ripetè il medesimo «score» con il quale aveva battuto la Svizzera nella partita d’apertura del secondo gruppo. Fu proprio nel corso di quell’incontro che esplose in tutta evidenza una nuova «stella» del firmamento internazionale. Fino ad allora Franz Beckenbauer era sconosciuto alle grandi folle europee anche se aveva debuttato a Stoccolma il 26 settembre 1965 quando la Germania aveva regolato la Svezia per 2-1 (reti di Seeler e Kramer), nell’incontro valido per la qualificazione alla Coppa del Mondo. Giocava laterale d’attacco nel Bayern di Monaco e Schoen lo inserì in nazionale intuendo le grandi capacità tecniche del futuro «Kaiser», dotato di tutte le qualità naturali di un autentico «crack» del calcio mondiale. Nell’incontro con la Svizzera balzò alla notorietà segnando una doppietta perentoria, ma completò la sua esibizione con tutta una serie di interventi che lo segnalarono senz’altro come il migliore laterale della manifestazione. Helmut Schoen aveva allestito una grossa squadra per il mondiale inglese. Stava cominciando il decennio d’oro del calcio tedesco. Schnellinger, Beckenbauer, Haller, Overath e soprattutto Seeler, al quale il pubblico tedesco era legato a doppio filo, erano le «stelle» del «Nationalmannshaft» che sconfitta la «celeste» si apprestava ad incontrare l’URSS in semifinale. Il buon momento del calcio sovietico venne confermato anche nella «World Cup».
L’URSS di Voronin e Jascin, ben protetta nei reparti arretrati, denunciava netti miglioramenti nel gioco d’attacco, grazie alla vivacità del laterale Sabo, di Cislenko, Malafeev e Banichevski, ma contro i tedeschi non ci fu niente da fare, Haller al 44′ e Beckenbauer con un tiro spettacoloso scagliato da una ventina di metri, ebbero ragione della tenace opposizione di Jascin e solamente nel finale Porkujan riuscì a dimezzare le distanze. La Germania entrava quindi in finale dodici anni dopo il trionfo di Berna con tutte le carte in regola per rendere possibile un altro miracolo.
Il Portogallo non aveva mai partecipato alla fase finale della Coppa del Mondo, ma all’inizio degli anni sessanta il Benfica di Lisbona s’era rivelato fra le più forti squadre di «club» ricco com’era di autentici talenti africani come i mozambicani: Eusebio Ferreira da Silva, «Ballon d’or» 1965, fantastico «goleador» con le movenze di una pantera, e poi ancora Mario Coluna, avanti con gli anni, ma interno di regia dalla rara lucidità, Costa Pereira, un portiere affidabile, coraggioso, eccellente nelle palle alte con calciatori indigeni di buona classe come José Augusto, estrema dalle geniali intuizioni e il lungo centravanti Torres, la spalla ideale per le virtù realizzatrici di Eusebio. La formazione lusitana che era stata affidata al navigato Otto Gloria costituì la novità più eclatante della «World Cup». Nel gruppo eliminatorio instaurò la «legge del tre» per le tre reti imposte equamente ad Ungheria, Brasile e Bulgaria con una facilità di gioco spettacolare e una manovra elegante.
Le difficoltà maggiori furono imposte ai lusitani dall’imprevedibile Corea del Nord che nei 25′ iniziali, imponendo un ritmo infernale, batté tre volte Costa Pereira, sospinta da un pubblico impazzito, conscio di assistere ad un avvenimento unico nella storia del calcio. Una formazione composta da autentici talenti valutati in milioni di dollari, stava per soccombere di fronte ad undici dilettanti che già avevano estromesso i «divi» italiani. Alla terza rete dei coreani, salì in cattedra Eusebio e cominciò una rincorsa entusiasmante che si concluse solamente quando il punteggio (5-3) non poteva più essere rovesciato. Eusebio aveva realizzato 4 reti come Willimowski e Leonidas nel ’38, Ademir nel ’50, Kocsis nel ’54 e Fontaine nel ’58.