Per un solo gol

Un alone di scetticismo circondava l’ambiente della comitiva azzurra alla partenza da Fiumicino. L’Italia che aveva vinto la Coppa Europa nel ’68, guadagnata la qualificazione per Città del Messico, lasciandosi alle spalle Germania Est e Galles, grazie soprattutto alle prodezze di Gigi Riva (7 gol in 4 partite) aveva sostenuto un paio di collaudi con la Spagna (Madrid 21-2-70, 2-2) e il Portogallo (Lisbona 10-5-70, 2-1), ma il gioco appariva scarno nonostante la puntualità in zona-gol del suo miglior realizzatore. Alla vigilia della partenza una colica addominale privava la comitiva azzurra del centravanti della Juventus Pietro Anastasi sostituito in gran fretta da «Bobo» Boninsegna dell’Inter, un elemento che a detta dei critici, mal si adattava all’intesa con Riva. Scetticismo e pessimismo accompagnati dalle stucchevoli ironie sul conto del Commissario Valcareggi, la cui saggezza veniva spesso contrabbandata per smaccata fortuna.
È d’obbligo comunque un passo indietro per ricomporre le fila di un discorso che iniziato all’indomani della sconvolgente esperienza inglese avrebbe portato la nostra massima rappresentativa calcistica dalle ultime posizioni nella scala dei valori internazionali a contendere al fantastico Brasile di Pelé la conquista definitiva della Coppa Rimet. Sopite le polemiche con una squalifica ad Edmondo Fabbri che aveva trascinato nel gioco dello scaricabarile tutto l’ambiente azzurro, giocatori compresi, la nazionale fu affidata al « duo » Ferruccio Valcareggi-Helenio Herrera. La cogestione durò pochi mesi, poiché H.H., non era tipo da dividere responsabilità e successi con altri. Le quattro partite disputate dagli azzurri in tale periodo s’erano concluse con tre vittorie (URSS in amichevole, Romania e Cipro per la Coppa Europa) ed un pareggio (1-1) con il Portogallo terzo classificato al mondiale inglese. L’epurazione nei quadri della nazionale spazzò via principalmente i calciatori bolognesi, che sparirono travolti dal vento del rinnovamento e lo zelo riformatore, non risparmiò neppure un elemento come Giacomo Bulgarelli, senz’altro fra i migliori interni del campionato, che fu impiegato ancora un paio di volte e quindi relegato nel dimenticatoio.
Rimasto solo, Valcareggi continuò sulla linea intrapresa in compagnia di H.H.: difesa bloccata – Guarnieri e Picchi a chiudere davanti ad Albertosi – centrocampo unicamente rivolto al contropiede per servire Riva, che Fabbri aveva portato in Inghilterra come turista e che si era pronta-mente ristabilito dalla frattura causatagli dal portiere Americo nell’incontro con il Portogallo del marzo ’67, ultima partita della cogestione. E Riva da quel grande realizzatore che è, riscatta buona parte delle magagne della squadra, che non sa esprimere altro che quella manovra essenziale: rapido contrattacco, servizio preciso, al resto pensa il «bomber» con una precisione di tiro entusiasmante. Gli avversari giocavano a tutto campo, premevano, agli azzurri bastavano un paio di servizi ben fatti per il grande Gigi, e il risultato era cosa fatta. L’essenzialità della manovra, il ripetersi metodico dello schema di base, aveva prodotto una schiera di elementi specializzati alla bisogna.
Guadagnata la qualificazione alla fase finale della Coppa Europa, Valcareggi nella prima partita che opponeva i nostri all’URSS aveva allestito la seguente formazione: Zoff; Burgnich Facchetti; Bercellino Castano Ferrini; Domenghini Juliano Mazzola Rivera Prati. Si vinse per sorteggio, dopo 120′ di gioco in cui gli « azzurri » avevano corso molti pericoli, ma s’erano resi interpreti di buone combinazioni fallite per scarsa incisività. Valcareggi insisteva sul « duo » del Milan Rivera-Prati, poiché Pierino aveva appena vinto la classifica marcatori sfruttando i geniali servizi del «golden boy». Ma la scarsa penetrazione dell’attacco non riguardava unicamente Prati, anche Mazzola non gradiva più le battaglie in area, aveva già dato inizio alla evoluzione che lo trasformava da punta autentica in uomo da ultimo passaggio.

Per la partita di finale con la Jugoslavia di Dzaijc, che aveva eliminato l’Inghilterra, Valcareggi ricorse ad alcuni ricambi: dentro Guarneri, fuori Bercellino, Anastasi e Lodetti rilevavano Mazzola e l’infortunato Rivera. Finì 1-1 dopo 120′, il vantaggio di Dzaijc al 39′, venne pareggiato da una gran botta su punizione di Domenghini all’80’, e i tempi supplementari non cambiarono la sostanza delle cose. Si rigiocò la finale due giorni dopo e l’Italia schierò la formazione che salvò alcuni ritocchi nella difesa avrebbe così ben figurato in Messico: Zoff; Burgnich Facchetti; Rosato Guarneri Salvadore; Domenghini Mazzola Anastasi De Sisti Riva. Mazzola in veste di mezza punta giocò una grande partita, gli azzurri guadagnarono il risultato con un bellissimo gol di Riva al 12′, doppiato da una prodezza di Anastasi al 31′. Dopo anni e anni di mediocrità finalmente un titolo onorava la partecipazione italiana.
Alla partenza per il Messico, Valcareggi si portava appresso un problema irrisolto: la coesistenza fra Mazzola e Rivera. L’evoluzione naturale dell’interista l’aveva portato a divenire un doppione del «bambino d’oro», dal lancio meno geniale e limpido, ma dalla continuità e dal nerbo atletico nettamente superiori. Il problema andava risolto sulla scorta del principio che in una rappresentativa nazionale devono saper coesistere i migliori elementi.che il campionato produce. Valcareggi non l’aveva affrontato con la dovuta decisione e i due milanesi rifiutavano la posizione d’ala per non essere emarginati dalla manovra, come se non fosse la personalità di un calciatore a determinare la sua integrazione nel collettivo. La polemica fra le due correnti immediatamente formatesi, avvelenò l’atmosfera azzurra nella spedizione messicana fino ad innescare i discutibili effetti che vedremo.
Per il debutto di Toluca, Valcareggi aveva concepito questa inquadratura: Albertosi; Burgnich Facchetti; Bertini Niccolai Cera; Domenghini Mazzola Boninsegna De Sisti Riva. L’Italia era chiamata al primo impegno con la Svezia. La coppia centrale difensiva del Cagliari (Niccolai-Cera) era una invenzione delle ultime ore suggerita dal decadimento fisico del libero juventino Salvadore; quando poi al 37′ Niccolai si infortunò si venne a comporre una coppia inedita Rosato-Cera nella quale il cagliaritano svolgeva le funzioni di libero senza averlo fatto abitualmente in precedenza. Nella squadra sarda che aveva vinto lo scudetto, operava come laterale di attacco e il libero era Tomasini. La forzata soluzione si rivelò fondamentale. Cera fu uno dei cardini dei successi italiani in Messico, la sua interpretazione ruolo si avvicinava ai canoni moderni: non più asserragliato oltre la linea dei terzini come ultimo baluardo, all’occasione usciva del bunker palla al piede a dare l’avvio alla manovra di rilancio.

L’Italia vinse per 1-0 con un tiraccio di Domenghini, poi la partita fu controllata senza eccessivi patemi. Rosato neutralizzò a dovere lo spauracchio di turno Kindvall, con la vittoria sulla Svezia l’Italia aveva messo una serie ipoteca sul passaggio ai quarti. Il successivo incontro con l’Uruguay finì 0-0, le due squadre non affondarono i colpi quasi per un reciproco patto di non belligeranza, ma intanto nell’ambiente azzurro il fuoco covava sotto la cenere. Fu Rivera ad aprire le ostilità dicendo che se lo si era portato in Messico per lasciarlo in panchina tanto valeva rimandarlo in Italia. Il responsabile della comitiva italiana era Mandelli, che si dichiarò favorevole ad una soluzione drastica, ma poi i mediatori soliti riuscirono a far rientrare i propositi di sanzioni verso il ribelle.
L’ambiente comunque rimase scosso e nella successiva partita con Israele non si riuscì a vincere anche per gli interventi di un guardalinee che annullò due reti di Riva, Rivera entrò al 46′ a rilevare Domenghini, ma la squadra non ebbe benefici rilevabili anzi affiorò un nervosismo deleterio che sembrava comprovare nell’interno della formazione, una divisione in «clan» che certa stampa dava per certa. Tuttavia con il pareggio l’Italia saliva a 4 punti e guadagnava l’accesso ai quarti pur avendo segnato una sola rete nei tre incontri disputati. Con gli azzurri, passavano gli uruguagi pur sconfitti (0-1) dalla Svezia, grazie alla migliore differenza reti. Ma gli scandinavi avevano già perduto la qualificazione quando s’erano fermati sul pareggio (1-1) con Israele.
