Gli eredi di Pelè
Il 18 luglio 1971 il «tri-campeao» Edson Arantes do Nascimiento, simbolo del calcio con l’apelido Pelé, inizia la serie degli addii. Dopo 110 incontri che hanno fruttato 95 gol, promedio 0,86 certamente un primato tenendo conto dell’arco di tempo notevolmente lungo, nel corso dell’incontro amichevole con la Jugoslavia si inginocchia a terra e rivolge un saluto al pubblico dell’immenso Maracanà. Si alza compie un giro attorno al campo emozionato come un ragazzino, si toglie la maglia «auriverde» che ha onorato con grandissime prestazioni, la dona ad un raccattapalle, che poi la venderà, ed infila il sottopassaggio in lacrime, lo sostituisce Claudiomiro. Per il Brasile si è chiuso un ciclo prestigioso contrassegnato dai trionfi su tutti i campi del mondo. Pelé è ancora giovane, ha appena 31 anni ma resiste a tutte le pressioni per ritornare nella «selecao».
Bisognerà trovare altre strade per riportare il Brasile ai vertici del calcio mondiale. Zagalo ha capito che l’organizzazione del gioco all’europea dove il collettivo ha soppiantato l’individualismo è l’unica strada per rifare grande il Brasile senza «O Rey». Ma è difficile cambiare la mentalità in un ambiente da sempre abituato ad idolatrare l’individualismo anche quand’è di nocumento al buon funzionamento della squadra. Le difficoltà che Zagalo incontra sono rilevantissime. Pochi difendono i suoi concetti, dimenticando i trionfi come tecnico del Botafogo e la vittoria di Messico 70. Ma «Lobo» segue la strada intrapresa con decisione non deflette dai suoi convincimenti e a difesa del proprio operato accampa il responso delle cifre.
Nel giugno-luglio 1972 la CBD ha organizzato il «Torneo dell’Indipendenza» per festeggiare i 150 anni della proclamazione dell’indipendenza da parte dell’Imperatore Costituzionale PedroE’ un mondiale in piena regola al quale partecipano 20 rappresentative; 18 Nazionali, 1 selezione della CONCA-CAF e 1 selezione Africana. La «selecao» affronta l’impegno con una formazione rinnovata in più ruoli, ma la forza è ancora nei reduci dell’avventura messicana: Brito, Marco Antonio (che giocò una partita a Guadalajara), Clodoaldo, Gerson, Jairzinho, Tostao, Rivelino, Paulo Cesar, le novità si riferiscono al portiere Leao, e ai due terzini esterni Zé Maria e Rodrigues Neto. Accedono alla finale per il primo posto Brasile e Portogallo, gli «auriverdi» vincono con una rete di Jairzinho all’89: Zagalo può permettersi un periodo di relativa calma. In vista del mondiale, nel 1973 si organizza una tournee europea, il Brasile gioca 9 incontri ne vince 6, pareggia con l’Austria (1-1), perde con Italia (0-2) e Svezia (0-1), non c’è più Tostao, un incidente ad un occhio lo ha costretto al ritiro e anche Gerson, ormai avanti con gli anni non entra più nel giro della «selecao».
Ai Campioni del Mondo in carica è imposto l’onore di aprire il «Weltmeistershaft» con la Jugoslavia il 13 giugno, davanti ai 61.500 spettatori del «Waldstadion» di Francoforte, ed è ancora 0-0 come succede ormai da Londra 1966. Ma chi può recriminare sulla sorte è la Jugoslavia di Dzaijc e Oblack, Acimovic e Suriak, il palo si incarica di respingere una gran botta di Oblack e Acimovic e Petkovic falliscono due occasioni piuttosto facili, gli auriverdi si rendono pericolosi solamente con una punizione violentissima di Rivelino che Maric neutralizza con difficoltà. Delude ancora con la Scozia, il Brasile e solamente con lo Zaire riesce a trovare i gol (3-0).