Mondiali 1986: ARGENTINA

Il Pibe De Oro a capo di una squadra di onesti comprimari batte in finale la solita Germania Ovest. Delusioni in fila per Francia, Brasile e Italia. Bearzot prigioniero del sogno di Spagna 82 non riesce a rinnovare la squadra.

Si apre con una immane tragedia collettiva, la nuova avventura del Messico organizzatore del Mondiale. Il 19 settembre 1985 un terribile terremoto provoca incalcolabili danni a Città del Messico: migliaia di morti e di edifici distrutti, 300 mila senzatetto, un milione di persone senza lavoro. Eppure gli stadi, i gioielli di questo Paese dall’economia paurosamente declinante, restano in piedi ed è subito ferma la volontà di continuare. Nella capitale, nuovi quartieri sorgeranno come per incanto a coprire le macerie e la grande festa, con contorno di popolo affamato dalla crisi economica, si farà comunque.

Proprio per dare una mano alla traballante economia del Paese, d’altronde, è stata lanciata la ciambella di salvataggio dell’organizzazione del Mondiale, al termine di un’aspra contesa. Toccando al continente americano, la scelta della Fifa era caduta sulla Colombia, costretta tuttavia a rinunciare nel 1983 per problemi finanziari. A quel punto, occorreva un altro Paese disponibile a fare le cose in fretta. Per la prima volta, gli Stati Uniti, digiuni o quasi di calcio “vero” (se si eccettua il fallimentare lancio di Pelé and friends a metà degli anni Settanta), puntavano all’ambito traguardo, sospinti dalla propria forza economica e dalla diplomazia dell’ex segretario di Stato Henry Kissinger. Ad opporsi allo zio Sam, con l’argomentazione di una maggiore esperienza e credibilità specifica, interveniva il vicino Messico, con l’appoggio decisivo dello sponsor tradizionale della Fifa e dell’ente televisivo locale, la potente Televisa. Pur soffocato da condizioni economiche precarie, dopo la breve parentesi petrolifera, il Messico offre in effetti la garanzia di stadi comodi e funzionali, che non tradiranno le attese, anche perché solo sfiorati dal terremoto.

Ben 120 sono i Paesi iscritti. Oltre a Messico e Italia, qualificati d’ufficio, superano la fase delle eliminatorie: Polonia, Belgio, Ungheria (su Albania, Austria, Cipro, Grecia e Olanda), Germania Ovest, Portogallo (su Cecoslovacchia, Malta e Svezia), Inghilterra, Irlanda del Nord (su Finlandia, Romania e Turchia), Bulgaria, Francia (su Germania Est, Jugoslavia e Lussemburgo), Danimarca, Urss (su Eire, Norvegia e Svizzera), Spagna, Scozia (su Galles, Islanda, Australia, Israele, Nuova Zelanda e Taiwan), Argentina (su Colombia, Perù e Venezuela), Uruguay (su Cile e Ecuador), Brasile e Paraguay (sulla Bolivia), Algeria, Marocco (su Angola, Benin, Camerun, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Gambia, Ghana, Guinea, Kenya, Lesotho (per forfait), Liberia, Libia, Madagascar, Malawi, Mauritius, Niger (per forfait), Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Sudan, Tanzania, Togo – per forfait-, Tunisia, Uganda, Zambia e Zimbabwe), Iraq, Corea del Nord (su Arabia Saudita, Bahrein, Bangladesh, Brunei, Cina, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Giappone, Giordania, Hong Kong, India, Indonesia, Kuwait, Libano, Macao, Malaysia, Nepal, Oman-per forfait- , Qatar, Singapore, Siria, Thailandia, Yemen del Nord e Yemen del Sud), Canada (su Antigua, Antille Olandesi, Barbados – per forfait-, Costa Rica, El Salvador, Giamaica – per espulsione-, Grenada – per forfait-, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Panama, Portorico, Stati Uniti, Suriname e Trinidad & Tobago).
Rimarchevole soprattutto il secondo forfait consecutivo dell’Olanda, dopo i due secondi posti consecutivi ’74 e ’78. Di supremazia del “calcio totale” nessuno parla più.

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