1954 – Biagi: “Arbitri e congiure, poi tutti a casa”

Gli inediti retroscena della nazionale di Lajos Czeizler e l’interessata ospitalità che una Svizzera calcolatrice offrì all’arbitro Viana durante il ritiro premondiale


L’Italia era capitata nel girone dei rossocrociati, iattura che avrebbe perseguitato gli azzurri anche ai mondiali successivi. Perché battersi contro la nazionale del Paese organizzatore vuol dire, novanta volte su cento, avere già partita persa. Gli azzurri, dopo tormentatissime vicende culminate nella sciagurata eliminazione dal mondiale precedente (Brasile, 1950) erano stati affidati, per la prima volta nella storia del nostro calcio, ad un tecnico straniero. Lajos Czeizler, un ungherese espatriato in Scandinavia per ragioni politiche è naturalizzato svedese, approdato in Italia al seguito del famoso trio Gre-No-Li, che fece le fortune del Milan e tanto contribuì alla propaganda e al boom del calcio italiano negli anni cinquanta. Czeizler era uomo espertissimo, un tecnico di valore, un uomo piacevolissimo.

Celebri le sue battute fulminanti, con le quali si districava diplomaticamente nelle secche dei tumultuosi incontri con la stampa che, da Vittorio Pozzo in poi, hanno sempre costituito uno degli ostacoli più ardui per i Commissari azzurri (Pozzo era un vecchio alpino tutto d’un pezzo, guai a fargli salire la mosca al naso. Ricordo che in un avventurosa trasferta a Vienna fece… piombare il vagone dove avevano preso posto i giornalisti al seguito della Nazionale, e per poco non fummo deportati in Siberia. Si era ai tempi della Vienna del «terzo uomo» e i soldati russi addetti al controllo del passo di Semmering, di dove si entrava nella «zona» sovietica, stentarono non poco a intendere le ragioni di noi malcapitati, mentre il resto del treno, con Pozzo e gli azzurri, se la filava in direzione di Vienna…).

Dunque, siamo in Svizzera con una nazionale ibrida, frutto dei ripensamenti di Czeizler il quale, dopo un fortunato ciclo di partite vittoriose, dava i primi segni di cedimento dei nervi respirando l’aria rarefatta del mondiale. Erano scoppiate le solite furibonde polemiche fra i giornali che parteggiavano per il blocco dell’Inter e quelli che parteggiavano per i giocatori della Fiorentina, per le solite ragioni di tiratura, e zio Lajos, come eravamo soliti chiamare Czeizler, cercava (ahilui) di accontentare un po’ tutti. Scontentando gli uni e gli altri, s’intende.

La prima partita vedeva d’Italia opposta alla Svizzera a Losanna: ed era un incontro chiave, perdendo il quale l’eliminazione dalla fase preliminare era pressoché scontata. La sera della vigilia, fu tempestosa. Czeizler si era rifiutato di dare la formazione e ciò aveva provocato furibonde proteste generali, che avevano ancor più frastornato il sempre meno serafico ungherese. La federazione, nell’intento di sollevarlo dai compiti più ingrati (in concreto complicandogli maledettamente le cose) gli aveva messo al fianco una ibrida Commissione tecnica formata da tre vecchie glorie del nostro calcio: Silvio Piola, Alfredo Pitto, Angelo Schiavio. Ma il vero deus ex machina della spedizione era l’onnipotente Segretario generale della F.I.G.C., Alberto Valentini, detto anche cardinal Richelieu per fa sua diabolica abilità negli intrighi.

Io ero molto amico di Valentini il quale, per garantirsi l’appoggio del mio giornale, il quotidiano «Stadio», mi passava sotto mano informazioni riservatissime. E fui fra i due unici giornalisti (l’altro era un collega di Milano, potentissimo a quei tempi), a conoscere la formazione con qualche ora di anticipo su tutti. Trasecolai: erano stati fatti fuori, senza una ragione apparente, tutti quelli della Fiorentina (e si chiamavano Magnini, Cervato, Costagliola, Gratton), accordando le preferenze… di Valentini, al blocco interista (Valentini, anni dopo, sarebbe diventato Direttore Sportivo della Società nerazzurra…), con una spruzzata di Juventus (Muccinelli e Boniperti), Roma (Galli e Pandolfini), Milan (Tognon). Una squadra-mosaico che andò subito a picco.

Uscita del portiere svizzero Parlier su Pandolfini

Per la verità ad aprire una falla colossale nello scafo della nostra Nazionale fu, più che altro, l’arbitro di Losanna, il cialtrone brasiliano Viana, un mercenario che, incredibilmente (ma in modo ampiamente documentato) aveva trascorso un lungo periodo a Macolin, presso la famosa Scuola dello sport elvetica, dove erano in ritiro i nazionali svizzeri! Ovviamente spesato di tutto, trattato come un rubicondo Pascià, colmato di gentilezze (e di quattrini). Dunque questo Viana «doveva» far vincere la Svizzera: e ci riuscì, ovviamente. Segnarono prima loro, con Fatton, pareggiammo con Boniperti, credemmo di essere andati in vantaggio con Lorenzi. Credemmo: perché «Veleno», scattando da posizione regolarissima, ripreso al volo un pallone rimbalzato sulla traversa dei portiere elvetico Parlier su cannonata di Galli, aveva insaccato in acrobazia. Baci, abbracci stupore, sgomento, disperazione, rabbia: Viana, serafico, indicò col dito il punto dal quale Lorenzi aveva tirato e annullò per fuorigioco. Il bailamme durò diversi minuti, Viana fu sballottato, insultato, strattonato in ogni modo e maniera, ma tenne duro.

E la Svizzera, superato il quel modo il punto cruciale dell’incontro, riuscì a segnare il gol dell’insperato successo con il velocissimo Hugi, che fulminò Ghezzi con una saetta dopo una rapida azione in contropiede. Al fischio finale, mi precipitai verso il terreno di gioco, cercando di evitare le randellate che la severissima Polizia svizzera distribuiva senza tante cerimonie ai soliti emigrati italiani che sciamavano all’interno del campo, come di consuetonon recintato, e riuscii ad accodarmi alla disperata pattuglia degli azzurri che rientravano accalcandosi alle spalle di Viana che se la batteva con notevole velocità.

Potei vedere, così, una scena incredibile: tre azzurri presero violentemente a calci nel sedere il cialtrone brasiliano, facendogli fare buffi balzi in avanti ad ogni vigorosa pedata. I tre giocatori (che per carità di Patria nessuno nominò nei resoconti di allora) erano Lorenzi, Giacomazzi e Tognon, che… bruciarono sull’anticipo i compagni di squadra che cercavano di imitarli. Viana vide benissimo chi era stato a colpirlo, ma aveva la coscienza talmente sporca che si guardò bene dal nominarli nel referto arbitrale, evitando loro una pesante squalifica, se non addirittura la radiazione dai ruoli federali. Pochi mesi più tardi, si seppe che Viana era stato radiato lui dai ranghi arbitrali in Brasile per «condotta gravemente scorretta». Corruzione: lo avevano pescato con le mani nel sacco…

Vi lascio immaginare l’atmosfera del clan italiano dopo quelle immeritata sconfitta. Da Vevey, dove gli azzurri avevano vissuto il lungo periodo di ritiro precampionato, ci si doveva trasferire a Lugano, per giocare la seconda partita contro il Belgio. I nervi erano talmente tesi che la sera Alfredo Pitto, un bollente livornese che andava molto per le spicce, prese a pugni sui muso un poveraccio di vetturino pubblico, reo soltanto di… non parlare l’italiano. Pitto interpretò male una richiesta in francese del luogo dove avrebbe dovuto scarrozzarlo e Pitto, pensando di essere stato offeso, lo tempestò di pugni. Dovettero intervenire le autorità diplomatiche italiane per mettere a tacere la cosa, ma l’episodio si seppe in giro non contribuì certo ad aumentare le simpatie attorno alla nostra Nazionale.

A Lugano, il gruppo degli azzurri arrivò verso sera e prese alloggio in un civettuolo albergo nella parte alta della città, di dove si godeva un panorama incantevole. Dopo pochi minuti dalla sistemazione dei giocatori nelle camere, vidi Alberto Valentini piombare nella hall con gli occhi fuori dalla testa. «Cosa ti succede?» gli chiesi. E Valentini, furibondo: «Questi calciatori sono delle m… Pensa che c’è Muccinelli che sta facendo una caciara del diavolo perché dice che il suo letto è troppo corto!» Bisogna sapere che Muccinelli, un romagnolo che conobbe una grande celebrità nelle file della Juventus, radicando ancora di più l’antico amore bianconero nei suoi corregionali, era alto come un soldo di cacio, diciamo sul metro e cinquantacinque, uno dei giocatori più… corti in senso assoluto di tutta la storia del nostro calcio!

Comunque, la partita col modestissimo Belgio si risolse in una facile vittoria degli azzurri (4 a 1), largamente rinnovati rispetto a Losanna. Mentre Pitto prendeva a pugni i vetturali, Piola andava alla ricerca di pregiati vini del Reno, Schiavio si preoccupava della sistemazione del figliolo (giunto da Bologna per tenergli su il morale) e Valentini si era lavorato Czeizler, imponendogli, letteralmente, una formazione che comprendeva i ripescati Magnini, Cappello e Frignani.

Italia-Belgio: il secondo gol di Galli

Niente Boniperti, infortunato seriamente ad una caviglia (non avrebbe più giocato in quel mondiale), niente Muccinelli (ala destra giocò Lorenzi) sicuramente vittima dell’ira di Valentini per via del letto troppo corto (il romagnolo, bizzarrie del carattere a parte, era un autentico campione); fuori anche l’interista Vincenzi. Ma tutto filò alla perfezione, segnarono Pandolfini su rigore, Galli, Frignani e Lorenzi, l’Italia conquistò il diritto ad incontrare per la seconda volta la Svizzera in una specie di spareggio all’ultimo… calcione.

Si partì al tramonto, in treno, alla volta di Rheinfeiden, pochi chilometri da Basilea, dove si sarebbe giocato, in un clima di eccitata euforia. La cena, consumata in vagone ristorante, vide un grande spreco di champagne, brindisi e non finire, canti di gioia, fra il corrucciato stupore dei pochi silenziosi, sbalorditi passeggeri svizzeri. A notte, si arrivò a destinazione e la comitiva fu frettolosamente sistemata in uno stupendo albergo sepolto fra gli alberi secolari di un parco da mille e una notte. Che sarebbe diventato, di lì a poche ore, teatro di una delle più invereconde tragicommedie di tutte la storia del pur tormentato calcio azzurro.

Il 22 giugno, vigilia del match, il sole splendeva alto su Rheinfeiden, poche centinaia di metri dal confine con la Germania, che si intravvedeva al di là del lungo ponte sul Reno che chiudeva uno dei lati del maestoso parco dell’albergo degli azzurri. Avemmo subito, tutti, sentore che qualcosa di grosso bolliva in pentola. Zio Lajos, di solito bonario e accomodante con i giornalisti, quel giorno era intrattabile. Rifiutava il dialogo, di formazione nemmeno parlarne, sembrava quasi impazzito. Cosa stava succedendo?

Molto semplice: c’era conflitto, senza esclusione di colpi, fra il CU. la Commissione tecnica e Valentini (che era quello che contava più di tutti), sulla squadra da mandare in campo contro gli svizzeri. Valentini, nel pomeriggio, si assentò furtivamente da Rheinfeiden, partendo, in taxi, per destinazione ignota. Ho ragione di ritenere che si portasse a Basilea dove ebbe una lunga telefonata con Giuseppe Pasquale, il dinamico dirigente ferrarese che stava scalando, a quattro a quattro, i gradini del potere calcistico e che Valentini, insuperabile nel fiutare il vento, aveva preso sotto la sua protezione (dal quale aveva cominciato a farsi proteggere…). Sta di fatto che Valentini tornò a tarda sera all’albergo degli azzurri, mentre Czeizler, letteralmente frastornato e contestato vivacemente e pubblicamente da molti dei giocatori, non aveva ancora preso nessuna decisione.

Consumata la cena, i giocatori salirono rapidamente nelle loro camere e io… conobbi finalmente la formazione del giorno decisivo per la sorte dell’Italia. Come? Molto semplice. Fra i miei diciamo così «alleati» c’era anche Ubaldo Farabullini, il gigante buono, massaggiatore della Fiorentina e della Nazionale in coppia con il bolognese Bortolotti (col quale, per ragioni anche troppo evidenti, non potevo farmi vedere troppo a confabulare). Bene, non appena Ubaldo scese dalle camere per il solito giro di massaggi serali, mi soffiò i nomi dei primi undici che, secondo gli ordini di zio Lajos, aveva manifestato: gli undici titolari, ovviamente.

Restai di sasso! Era cambiato tutto, o quasi, in porta l’esordiente juventino Viola; confermati i terzini Magnini e Giacomazzi; giubilato l’interista Neri a vantaggio dello juventino Mari in mediana; attacco rimescolato di sana pianta con Muccinelli e Frignani alle estreme, Lorenzi centravanti, Segato (un mediano puro!) interno sinistro e lo spremuto, logoro, spento Pandolfini mezz’ala destra.

Era una squadra perdente e ricordo nitidamente lo stupore che pervase il clan azzurro quando, finalmente, Czeizler si decise, la mattina seguente, ad annunciarla in maniera ufficiale. Ci furono anche violente reazioni da parte di qualcuno dei giocatori esclusi, primo fra tutti Rinone Ferrario, l’atletico stopper della Juventus. Ero presente di persona quando gli azzurri salirono sul pullman che doveva trasportarli nella vicina Basilea. Czeizler stava, accanto allo sportello, controllando che i giocatori salissero ad uno ad uno. A un certo punto, spuntò dall’albergo Ferrario col viso paonazzo per la rabbia e rivolto a Czeizler, impassibile e muto, gli urlò quasi sul volto il primo stentoreo «vaffan…» della storia del calcio azzurro (il secondo lo indirizzò, molti anni dopo a Monaco, Chinagliene a Ferruccio Valcareggi). Czeizler non fece una piega. Rivolto a me, si limitò a borbottare: «Chissà perché, ma oggi non capisco bene l’italiano». Poi si infilò nel pullman e disse all’autista di partire. Ferrario lo rincorreva con i pugni alzati…

Ovviamente fu la prevista disfatta. Gli svizzeri ci strapazzavano come uova sbattute, fu un clamoroso 4 a 1, io riuscii a sgattaiolare in campo e assistetti agli ultimi minuti della partita seduto sulla panchina, a fianco di Czeizler e di Valentini. Zio Lajos piangeva, silenzio-samente, Valentini era bianco come un morto, anche il suo volto era rigato di lacrime, non ho ancora dimenticato l’angoscia di quei minuti interminabili, il calvario degli azzurri era qualcosa che stordiva, chiudeva il cuore in una morsa. Rientrai accodandomi a Czeizler e a Valentini, confusi fra gli azzurri, muti, disfatti, piangenti. Sulla porta delio spogliatoio vidi Boniperti. Il quale, chiacchierando tranquillamente con un funzionario svizzero, stava ridendo. Non potei trattenermi dall’urlargli in faccia: «Giampiero basta! Non hai giocato e sta bene. Ma almeno smettila di ridere». Ricordi, Giampiero? Eravamo tutti e due tanto giovani, allora…

Viaggiai con gli azzurri sul treno del mesto, frettoloso ritorno in Italia. Alla frontiera scene che, purtroppo, si sarebbero ripetute altre volte dopo un mondiale. Insulti, fischi, imprecazioni. Lorenzi, bollente toscano estroverso, fece per slanciarsi fuori dal vagone, trattenuto a stento dai compagni, che evitarono il peggio. A Milano la comitiva si sciolse in fretta, senza saluti, senza «arrivederci». Non si sarebbero più rivisti in molti. Primo fra tutto Lajos Czeizler. Il quale, naturalmente, dopo un «processo» sommario davanti al Consiglio Federale, fu cacciato, more solito, sui due piedi. Per dare il là ad un’altra grottesca girandola di Commissari azzurri…

Alfeo Biagi