OLIMPIADI Stoccolma 1912 – La prima volta di Pozzo

L’amore di Pozzo per il pallone è così grande che nel 1912, quando gli viene proposta la guida della nazionale inviata alle Olimpiadi di Stoccolma, abbandona il suo incarico da dirigente alla Pirelli. Unica pretesa per allenare: non ricevere alcun compenso.


Testo tratto da “I ricordi di Pozzo” – Il Calcio Illustrato, Milano 1949-50


La nostra partecipazione alle Olimpiadi di Stoccolma fu la cosa più laboriosa che si possa immaginare. Si era nel 1912 e di appoggi sostanziosi e sostanziali non se ne avevano da nessuno. Il Comitato Olimpico Italiano era ben lontano dall’avere la struttura, i poteri e l’autorità attuali. Era presieduto dal marchese Compons de Brichanteaux e aveva per segretario generale un certo Guerra: i rappresentanti italiani nel Comitato Internazionale Olimpico erano il Conte Brunetta d’Usseaux e l’On.Attilio Bruniatti.Malgrado la buona volontà di tutti, questo nostro Comitato viveva un po’ nelle nuvole, lontano dalla realtà delle cose. Astratto dallo sport vero e proprio e dalle necessità di chi lo praticava. La colpa non era dei dirigenti: mancavano i mezzi, gli appoggi dall’alto, la comprensione dell’ambiente, l’organizzazione.

Per recarsi a Stoccolma, ognuno dei partecipanti doveva portarsi fino a Verona a proprie spese – per i calciatori ci pensò la Federazione -: il Comitato pagava il viaggio andata e ritorno in II classe, corrispondeva una diaria di sei lire giornaliere, e, come conscio della situazione che creava, autorizzava – e ciò per iscritto, in circolare ufficiale che tengo ancora – i partecipanti a viaggiare in terza classe dal confine a Stoccolma, intascando ognuno la differenza fra la terza e la seconda. Nella capitale svedese, il vitto ed il soggiorno erano intesi gratuiti.

Col Comitato Olimpico funzionante in tal modo, con la Presidenza della Federazione dimissionaria, fra il disinteresse generale e difficoltà d’ogni sorta, il preparare la spedizione dei calciatori fu un’impresa improba.Eravamo autorizzati a portare quattordici giocatori, per tutto il torneo: nemmano una riserva per ogni linea della squadra. E ci si fece notare che quattordici persone erano tante, per la prima volta che partecipavamo, su un complesso di settantotto (che alla prova pratica finirono per essere poi sessantasei), che stessimo zitti, ché la nostra spedizione era una delle più numerose, venendo subito dopo quella ginnastica che, come forza, constava di diciannove uomini.

Se avessero potuto ci avrebbero fatto giuocare in dieci, dicendo di “arrangiarsi” per le partite. A Londra, la prima volta, nel 1908, i partecipanti italiani erano stati sessantotto: la differenza in più era proprio dovuta ai calciatori. (Nel ’36 , a Berlino, i calciatori ci andarono in ventidue). Erano pochi, quattordici giocatori, ma per trovarli ce ne volle.

I permessi militari costituirono l’ostacolo maggiore. Molti fra i giuocatori più in vista erano sotto le armi. Il Ministero della Guerra non ne voleva sapere di concedere licenze per espatrio.Ricordo la lunga corrispondenza per i tre vercellesi, Corna, Rampini e Milano II. Bisognò rinunciare a tutti e tre. Ho ancora la tessera del Comitato di Stoccolma, per la riduzione ferroviaria del 50 per cento relativa a Rampini.

Un giovanissimo Vittorio Pozzo (a destra) in una rara foto d’epoca assieme a due maestri: Burgess e Garbutt

L’aiuto maggiore, nella circostanza, lo ebbimo da alcuni giuocatori amici, che sbrigarono le loro pratiche da soli, rendendosi disponibili: Renzo De Vecchi, Milano I, Felice Berardo, fra altro, il quale ultimo sacrificò le sue ferie presso l’Istituto San Paolo di Torino.Guido Ara, laureando in medicina, non potè partecipare e nemmeno Virgilio Fossati dell’Internazionale.

A spinte e sponte, si riuscì a mettere assieme i seguenti quattordici giuocatori:Piero Campelli (Internazionale) come unico portiere; Modesto Valle (Pro Vercelli) e Renzo De Vecchi (Milan) come terzini; Carlo De Marchi, Giuseppe Milano I (Pro Vercelli) e Pietro Leone (Pro Vercelli), come mediani; Enea Zuffi, Franco Bontadini (Internazionale), Felice Berardo (Pro Vercelli), Enrico Sardi (Genoa), Edoardo Mariani (Genoa) come attaccanti; Angelo Binaschi (Pro Vercelli), Vittorio Morelli (Torino) e Luigi Barbesino (Casale) come uomini capaci di giuocare in parecchie posizioni.

Otto di questi giuocatori, e precisamente Campelli, Valle, De Marchi, Zuffi, Bontadini, Morelli, Sardi e Barbesino non avevano mai vestito la maglia azzurra, otto su quattordici. Giuocarono tutti nel corso del torneo.Attorno a me c’era il vuoto, in tutto, meno che in fatto di aspirazioni e di ambizioni. Di quelle dei dirigenti io non mi occupavo: tiravo diritto per la mia strada, secondo un principio che sempre ho seguìto in séguito; pensando e dicendo che, se non erano contenti, non avevano che da lasciarmi andare o farmi cenno di andare, ché io ci avevo tutto da guadagnare.Anche come compagnia, dal momento in cui certe cose risultavano provate.

Viceversa, quello che mi premeva l’accordo fra i giuocatori. Cominciava ad affiorare, allora, la famosa questione dei tre centromediani: Milano I, Fossati, Barbesino. Tre uomini di stile diverso, ma tre centromediani di grande valore. Sostenuti da tre città come Vercelli, Milano e Casale, ognuno doveva finire per posare la candidatura sua ogni volta che si doveva comporre la squadra nazionale. Già prima di Stoccolma, Milano aveva spodestato Virgilio Fossati, e questi in tre, occasioni aveva dovuto spostarsi a mediano sinistro.

Più tardi, due anni dopo, quando la questione si complicò, si giunse alla soluzione compromesso di farli giuocare tutti e tre, formando una mediana di tre centri, contro la Svizzera, a Berna. Intuita la situazione in sul nascere, e venuto a mancare Fossati, io dovevo risolvere la situazione ridotta, Milano-Barbesino. Prima di partire, a sostituire Fossati, s’era affacciata la candidatura Caimi. Era, Caimi, un pezzo di ragazzo grande e grosso, che giuocare sapeva, quando voleva. Compariva a lato di Fossati nell’Inter o ne prendeva il posto. Ma era irregolare in tutto quello che faceva. Era tutto istinto, scatti, impulso, improvvisazione, tratti di genio, anche, a cui succedevano periodi di rilassamento. Una domenica faceva grandi cose, e la seguente non arrivava nemmeno fino al campo perchè, per istrada, aveva trovato una bella ragazza. Ho ancora la sua tessera delle Olimpiadi, già pronta e firmata. A cose quasi già fatte, lo lasciai a casa. Eravamo amici. Mi scrisse una lettera di fuoco, gli risposi, ribadì. Stemmo senza vederci, offesi, qualche tempo.

Venne la guerra. Una sera, ad una mensa ufficiali alpini ci ritrovammo: la lunga penna nera fece da paciere, ci riconciliammo nel caos di una sbornia piramidale. Pochi mesi dopo Giuseppe Caimi doveva scomparire in un vortice di gloria. Era al 7° Battaglione Feltre, comandava il plotone esploratori, alternando ad atti di valore ed a ferite, scappatelle e scappatone di ogni tipo. Cantava, suonava, dipingeva, beveva, amava… ed andava a ricuperare l’attendente ferito, sotto il naso degli austriaci. Nel dicembre del ’17, a Cima Valderoa (Monte Grappa), ferito gravemente, scappò dal posto di medicazione, tornò in linea come una furia, colpito a morte si gettò nella mischia, e non fu più visto. La motivazione della sua medaglia d’oro: “Ufficiale di leggendario valore…” è un poema. Lui onorò il nostro sport. Alle Olimpiadi di Stoccolma io non posso pensare senza che la sua assenza mi torni presente.

Partimmo in sedici, quattordici giuocatori e due dirigenti, e con la diaria di sei lire al giorno, giungemmo a destinazione. Qui, grane su grane, perchè non c’era nulla che andasse. A dormire finirono per metterci in un educandato femminile, che era stato sgombrato per ferie. A mangiare, dopo una quantità di discussioni con l’economo, Cav. Ballerini, ci si sistemò nell’unico ristorante italiano di Stoccolma, nella Norrmalinstorg, dove ci servivano ragazze in tricolore e dove i giuocatori, sempre affamati, facevano auspice il povero Campelli, strage d’uova, che poi qualcuno avrebbe pagato. Avevamo con noi, a dividere gioie e dolori, i due corridori podisti Giongo e Lunghi.

Quest’ultimo, genovese, marinaio, bel ragazzo, professava delle teorie strane in fatto di allenamento. Giurava che l’uomo normale non poteva rendere in una competizione, se la sera prima non avesse reso un omaggio piuttosto sostenuto a… Venere. Lui non aveva dirigenti che lo controllassero o lo contraddicessero, ma nel campo nostro non aveva da insistere troppo per farsi proseliti, e quindi ci dava un mucchio di fastidi.

Erano iscritte tredici nazioni al torneo: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Olanda, Russia, Svezia ed Ungheria. Due sole si ritirarono all’ultimo momento: il Belgio e la Francia. Rimasero undici squadre. La Giuria era composta da Woolfall (Inghilterra), Kornerup (Svezia), il Barone de Saveleve (Belgio) e Hirschmann (Olanda), segretario della Fifa.Segretario del Comitato Organizzatore per il calcio era Anton Johansson, uno sportivo svedese con cui entrammo, in quell’occasione, in rapporti di viva amicizia che durano tuttora.

Il sorteggio ci destinò a giuocare contro la Finlandia. Una partita che pareva già tutta vinta prima di essere giuocata e che invece perdemmo. Fummo noi a perdere, non gli avversari a vincere, noi con la nostra mancanza d’intesa e di concordia. Si andò in campo con: Campelli; Binaschi, De Vecchi; De Marchi, Milano I (cap.), Leone; Zuffi, Bontadini, Berardo, Sardi, Mariani; c’erano, cioè, cinque esordienti. L’avversario segnò subito, di sorpresa, al 2′ con la sua mezz’ala destra, Wiberg. Noi si pareggiò con Bontadini e si andò in vantaggio con Sardi, lasciandoci poi riprendere dai finlandesi a mezzo del centro-mediano Soinio prima del riposo.

Una fase di Finlandia Italia 3-2. Curioso il fatto che arbitro di quel match era Hugo Meisl, futuro grande tecnico del Wunderteam autriaco degli anni 30

Ripresa in bianco malgrado noi cambiassimo un uomo in squadra. Alla fine del primo tempo supplementare l’avversario segnò con la sua ala sinistra Niska e non se ne parlò più. Meglio non parlarne nemmeno ora, salvo ricordare che 27 anni dopo a Helsinki potemmo rovesciare il 3-2 a nostro favore. La partita fu disputata sul vecchio campo di Träneberg, ed io feci in essa la conoscenza di Hugo Meisl, che la arbitrò.

Con lui, la sera stessa combinai la seconda partita fra Italia ed Austria, che si disputò poi il dicembre dell’anno stesso a Genova. Conservo tra i miei ricordi il biglietto d’entrata a pagamento, che mi acquistai agli sportelli, per non averne voluto richiedere uno gratuito alla Federazione.Tagliati fuori dal torneo, non ci rimase che prender parte, due giorni dopo, alla gara di “consolazione”.La consolazione la ebbimo subito in questa gara battendo la Svezia, in casa sua su quel terreno di Rasunda che, ampliato e modificato, serve ancora adesso da teatro alle grandi prove internazionali.

La rappresentativa svedese alle Olimpiadi 1912

La Svezia era stata eliminata nel torneo dall’Olanda. La squadra nostra si allineò in una formazione riveduta, poichè con la Finlandia c’erano stati molti uomini pesti: Binaschi, terzino, diventò mediano, Barbesino mezz’ala e De Vecchi si spostò a destra. Ecco: Campelli; De Vecchi e Valle; Binaschi, Milano I (cap.) e Leone; Bontadini, Berardo, Sardi, Barbesino e Mariani.
Segnò Bontadini, su una fuga al 30′ minuto del primo tempo. Dominati da quel momento fino al termine, non fummo ripresi più. Ricordo che il pubblico era furibondo. Alla sera fu a visitarmi un dirigente svedese, il capitano Schöyen, che promise mari e monti per una partita di rivincita. Rifiutai. Per la storia, la Svezia, nei due incontri successivi, non riuscimmo mai a batterla.

Si andò avanti nel torneo di consolazione. E si fu battuti ed eliminati dall’Austria per cinque a uno. Nostra formazione: Campelli; De Vecchi e Valle; Binaschi, Milano I (cap.) e Leone; Zuffi, Bontadini, Berardo, Barbesino e Mariani. Nulla da fare per noi. Avversario di levatura superiore, tuttavia favorito dalle precarie condizioni fisiche di più d’uno degli azzurri. Prima conoscenza di Hussak, con cui combinai il viaggio degli Amateure a Torino, con Braunsteiner, Brandstätter, Studnicka ed altri. Nostra rete segnata da Berardo a nove minuti dalla fine.

La nazionale austriaca

In finale del torneo di Stoccolma andarono l’Inghilterra e la Danimarca. Era forte la Danimarca di allora, precisamente come forte era l’Olanda, la cui squadra era composta fra l’altro anche di “coloniali”, olandesi cioè nati nelle isole di Giava e di Sumatra.Appunto, la Danimarca eliminò l’Olanda in semifinale. Folla di Hansen, di Nielsen e di Olsen nella Nazionale danese, con Middelboe, gigante nella statura e nel giuoco, come capitano. Il portiere era Sophus Hansen, che dovevamo poi trovare come arbitro a Budapest nel ’32, nell’Ungheria-Italia 1-1.

Vecchi amici nella Nazionale inglese dilettanti, con Vivian Woodward (foto a destra) come capitano, Ivan Sharpe come ala sinistra e Arthur Berry, ora avvocato a Liverpool, come ala destra. Fu, la finale, una delle partite più strenue e più accanitamente combattute a cui io abbia mai assistito. Walden, il centro-avanti, segnò due reti per l’Inghilterra e Olsen, pure centro-avanti, per la Danimarca. Poi Buchwald, il centro-mediano danese, si ferì gravemente e dovette lasciare il campo. Hoare, la mezz’ala sinistra e Berry segnarono ancora per gl’inglesi, che a metà di tempo vincevano così per 4-1. Combattendo con dieci uomini soli, i danesi riuscivano a diminuire ancora il distacco a mezzo di Olsen. Così l’alloro andava agli inglesi, vincitori per quattro a due.
Indimenticabili Olimpiadi di un tempo straordinariamente diverso dall’attuale!

Da “I ricordi di Pozzo” – Il Calcio Illustrato, Milano 1949-50


29 Giugno 1912 Sportplats, Traneberg
Finlandia 3 – Italia 2
Reti: 1:0 Öhman 2′, 1:1 Bontadini 10′, 1-2 Sardi 25′, 2-2 E.Soinio 40′, 3-2 Wiberg 105′
Finlandia: Syrjalainen – Holopainen, Lofgren – Lund, E.Soinio(cap), K.Soinio – Wickstrom, Wiberg, Nyyssonen, Ohman, Niska.
Italia: Campelli – Binaschi, De Vecchi – De Marchi (Morelli di Popolo), Milano(cap), Leone – Zuffi, Bontadini, Berardo, Sardi, Mariani
Arbitro: Hugo Meisl (Austria)

1 Luglio 1912 Idrottsplats, Rasunda
Italia 1 – Svezia 0
Reti: 1:0 Bontadini 15′
Italia: Campelli – De Vecchi, Valle – Binaschi, Milano (cap), Leone – Bontadini, Berardo, Sardi, Barbesino, Mariani.
Svezia: J.Borjesson – Bergstrom, Tornqvist – Wicksell, Frykman, Gustafsson – Myhrberg(cap), Swensson, E.Borjesson, Dahlstrom, Ansen.
Arbitro: Herbert James Willing (Olanda)

3 Luglio 1912 Djurgarden, Stockholm
Austria 5 -Italia 1
Reti: 1:0 A.Muller 30′, 2:0 Grundwald 40′, 3:0 Hussak 49′, 4:0 Studnicka 65′, 4:1 Berardo 81′, 5-1 Grundwald 89′
Austria: Kaltenbrunner – Braunsteiner, Graubart – F.Weber, Brandstatter, Cimera – Hussak(cap), A.Muller, Studnicka, Neubauer, Grundwald.
Italia: Campelli – de Vecchi, Valle – Binaschi, Milano(cap), Leone – Zuffi, Bontadini, Berardo, Barbesino, Mariani.
Arbitro: Herbert James Willing (Olanda)