Oreste Del Buono: cronache spagnole

5 luglio 1982: Brutte facce del Mundial

Caro campionato, quarto rapportino dal campionato mondiale a te campionato nazionale. Nella folla dei giornalisti italiani al seguito, una folla non portata propriamente alla pace dei sensi, ma puntualmente in polemica, soprattutto con Bearzot e i suoi, ho visto apparire negli ultimi tempi anche altre facce. Facce di presidenti e allenatori che son qui a preparare o semplicemente a sognare la tua nuova edizione prossima ventura. Alcuni sono venuti a valutare la fortuna o la sfortuna dei loro acquisti. Sono i presidenti che hanno mietuto all’estero, e non sempre si mostrano ilari. Forse il gol dell’onore dell’Argentina contro il Brasile, firmato Diaz, avrà apportato l’ombra di un sorriso sulla faccia preoccupata di Ferlaino. Non lo spiavo da vicino per riferire con esattezza. Del resto, avrei voluto vedere l’espressione dei dirigenti del Barcellona, quando, dopo un’ennesima magra, Maradona è stato giustamente espulso. Certo, Maradona ha fallito più di qualsiasi altro asso in questo Mundial 1982. Preceduto dal clamore e lo scandalo di quanto era stato, o era pagato, dato che nel calcio vale l’uso di conoscere anticipatamente le intenzioni economiche, ma di ignorare la data esatta in cui vengono realizzate, se vengono realizzate, Maradona, evidentemente ragazzo sensibile e, dunque, più vulnerabile della media dei calciatori, si è trovato a lottare, oltre che con avversari particolarmente agguerriti e incarogniti, con se stesso, per superare la sua fama. Una parola. Le tre sconfitte riportate in cinque partite dalla squadra dei campioni del mondo uscenti, anzi già usciti, già tornati in Argentina per consumare la disapprovazione patria, e poi disperdersi, sparpagliarsi nascondersi un poco in tutto il mondo, le tre sconfitte contro Belgio, Italia e Brasile gravano sulle spalle di Maradona. Maradona dovrà prima o poi rifarsi vivo proprio qui a Barcellona, dove le tre sconfitte sono state celebrate nella giornata inaugurale del campionato mondiale e nelle due partite della seconda fase. Fatale Barcellona. Intanto, consiglieri interessati o disinteressati si ammucchiano al suo capezzale e non gli risparmiano il peggio del peggio: i consigli. Avrebbe dovuto giocar cosi, e cosà. Pare ipocritamente intervenire in suo favore gente come Pelè: «Maradona è un giocatore straordinario, però si è trovato sottoposto a una pressione a cui è risultato impreparato. E potrebbe incontrare in Spagna situazioni in grado di impedirgli di affermarsi». Se Pelè parla in questo modo, quando vuole difendere qualcuno, figurarsi come parla, quando vuole nuocere. E’ stato più cortese e generoso, forse. Herrera: «Con il rigoroso marcamento di Gentile, Maradona ha avuto la scusa della durezza altrui per giustificare la sua nullità contro l’Italia. Con il marcamento a zona dei brasiliani aveva la possibilità di rifarsi. Non ha combinato granché. Però un giocatore dipende molto dalla sua squadra, e in questo Mundial l’Argentina non è stata degna di Maradona». Ahimè, che amici ha Dieguito. Comunque, sono faccende del prossimo campionato spagnolo. A me interessa di più il tuo futuro, caro campionato italiano. Non so se il presidente Pontello abbia già cominciato ad assaporare qualche dubbio circa il numero di domenichee che riuscirà a giocare di seguito il suo recente acquisto Passarella, gran calciatore di palloni ma anche di stinchi e varie parti del corpo altrui, e in più grande interlocutore di qualsiasi arbitro. Da queste parti comunque, tranne quella di Trapattoni non si incontrano molte facce tranquille. E quella di Trapattoni si incontra poco perché sta al mare. E’ giusto, l’estate si passa meglio al mare. Per lo stadio c’e tempo d’autunno, inverno e primavera Bé, basta. Ho cercato di divagare per non ossessionarmi troppo con Italia-Brasile che sta per cominciare. Non ho la mente troppo lucida. E’già rimbombo di tamburi e trombe della torcida…

Quando il muto dimostra di saper parlare
Questo Mundial 1982 ha distrutto fame ed esaltato nuove stelle. Ha soprattutto cambiato, intaccato, sconvolto, l’immagine di alcuni tra i più celebri protagonisti del calcio, anticonformisticamente mettendone in dubbio le più conformistiche rappresentazioni. Come era rappresentato abitualmente, ad esempio, il nostro Dino Zoff, il portiere veterano, quarantenne d’età, centenario di partite internazionali, se non come il muto per eccellenza dal dolce raro e riluttante sorriso? Ed ecco che la particolare torcida che accompagna la nazionale italiana, e non è tutta composta da tifosi ragazzi e ragazze in maglia oroverde, suonatori e danzatori di samba acriticamente disposti alla festosa celebrazione di trionfi come quella che accompagna la nazionale brasiliana, ed è al contrario composta di giornalisti non sempre di primo pelo, spesso neppure di ultimo, calvi e lucidi a volte anche di superficie di cranio oltre che di interno, spesso laureati e comunque competenti di tribunali e della differenza tra calunnia e diffamazione, portata quasi senza eccezioni a esercitare un austero e pungente magistero critico per riportare sulla retta via calciatori e commissario tecnico, dopo una serie di fraintendimenti, incomprensioni, equivoci contestazioni stranguglioni scazzi e controscazzi, si è trovata a dover fronteggiare il silenzio stampa azzurro, e Zoff come unico oratore incaricato. Un’autentica sorpresa. Ma solo l’inizio di un grappolo di sorprese una legata all’altra. La seconda sorpresa è stata quella di dover constatare che Zoff nel parlare, e nel parlare a lungo, anche e soprattutto a nome dei compagni, se la cavava benissimo, non confondendosi affatto, parando ogni tiro ravvicinato, ogni rigore, con pacata disinvoltura, e dimostrandosi capace di tirare lui all’occorrenza i rigori contro gli avversari che non sapevano rispettare le regole del gioco: la terza sorpresa, comunque, doveva ancora venire. Ed è stata per qualcuno quasi insopportabile. Il sospetto, dapprima solo un’ipotesi irrilevante, e tuttavia presto diventate più corposo e fastidioso, che Zoff esternasse pure in tutta la sua compitezza e dignità un risentimento, no non è la parola esatta, un giudizio meditato nei suoi abituali silemi. Quante parole possono stare in un silenzio? Il giocatore considerato muto, quello che alle domande del giornalisti in tempo di pace tra squadra italiana e torcida italiana rispondeva convincentemente di non aver nulla da dire, rivelava, invece, di aver molto da dire. Non lo avrebbe mai detto di sua iniziativa perché estremamente rispettoso non solo del regolamento del gioco del calcio, ma anche di quello del vivere civile, ma dato che aveva ufficialmente ricevuto l’incarico di sciogliere il voto al silenzio per tutti parlava, parlava, parlava, senza indulgenza. Vorrei tanto che l’improvvisa e non frivola loquacità di Zoff facesse pensare i colleghi della torcida italiana che attualmente si sentono indignati, offesi, traditi dal comportamento maleducato della nazionale azzurra. Qualcuno dei giocatori non è molto educato, d’accordo. Ma Zoff è un esempio di educazione. E, del resto, anche qualcuno dei giornalisti non è molto educato. Sono problemi di cui sarebbero tenute a occuparsi le due federazioni, quella del piede e quella della biro, se non altro nel reciproco interesse. Non è possibile che da un mese circa certi della torcida italiana si augurino un immediato e irrimediabile insuccesso azzurro per tornarsene più presto a casa. Potevano non venire da queste parti, dove, tra parentesi, costituiamo una delle rappresentative giornalistiche più numerose. Il Mundial 1982 è troppo lungo e ha esasperato anche l’esercizio più normale della professione. Siamo in colpa un poco tutti, e magari soprattutto contro noi stessi.