Oreste Del Buono: cronache spagnole

12 luglio 1982: Queste maglie color cielo...

Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo! Tre volte campioni! Tricampioni! Come il Brasile. E dire che pareva cominciata male. Agli inizi della finalissima la nazionale italiana aveva rivelato un grande impaccio, era irriconoscibile rispetto alle ultime tre vittoriose partite. Oppure, ahimè, era riconoscibile rispetto alle prime tre partite pattate. Persino troppo riconoscibile. Teneva la difesa, come al solito, ma l’attacco già sprovvisto di Antognoni, poi di Graziani, con Rossi marcato a uomo da un inesorabile tedesco, pareva più disorientato, parerà meno sicuro di sé. E’ stata solo un’impressione delirata dalla grande attesa che recava questa finalissima, Poi, nel secondo tempo, tutto si è sciolto. Si è sciolto nonostante che la squadra avesse da risalire anche lo sconforto, il contraccolpo di un rigore mancato da Cabrini. Nel secondo tempo il rigore mancato nel primo tempo è stato dimenticalo. Rossi ha segnato con una di quelle sue azioni misteriose che vanno subito dopo interpretate dagli osservatori che debbono controllare quello che hanno visto, quello che hanno sentito, quello che hanno intuito. Rossi, insomma, ha segnato e poi ha segnato Tardelli, l’uomo che nella squadra italiana ha sempre dato il segno e il suggello della rinascita, quello che segnò per primo contro l’Argentina. C’è stato persino un terzo gol e un po’ di gloria per Altobelli, il nunzio, che era entrato a sostituire Graziani infortunato. Cosa succede quando una partita di calcio, anzi una partita di pallone come nella canzone di Rita Pavone lasciata troppo sola dall’amore tifoso, diventa tanto importante per una nazione, una nazione intera dal suo presidente Pertini all’ultimo dei 50mila italiani arrivati in Spagna a rischio e pericolo di non trovare neppure un biglietto, o dei milioni di italiani restati a casa a montar la guardia per ore e ore nelle strade, nelle piazze, davanti al televisore per festeggiare il risultato sperato? Succede un fatto, su cui i facili moralisti, gli attuali fustigatori dei costumi, i disinvolti censori di quanto non rientra nei loro interessi non avrebbero il diritto di sentenziare e di scagliare i fulmini delle più spietate condanne, prima di essersi costretti a riflettere. C’è sempre tempo per abbandonarsi alla tempestosità delle maledizioni contro la frivolezza italiana. Un minimo di riflessione potrebbe essere utile a tutti Perché il fatto c’è, ed è un autentico fatto. Autentico e tipicamente Italiano. Il campionato di calcio Italiano, sebbene ogni domenica è discusso e vilipeso, è forse l’unica grande organizzazione Italiana che funzioni con regolarità quasi perfetta, nonostante la profonda diffusissima disorganizzazione del paese. Ogni domenica gli arbitri arrivano in orario a dirigere partite che cominciano e terminano puntualmente, a meno di terremoti o altre catastrofi naturali. Gli stadi sono frequentati anche se gli spettatori non sono sempre soddisfatti del livello del gioco e qualche volta dimostrano clamorosamente la loro insoddisfazione. Intorno alle partite di calcio si svolge il Totocalcio che raccoglie miliardi di puntate e alimenta con una parte delle sue entrate non solo ti calcio stesso, ma tutto lo sport nazionale. La nazionale Italiana è la rappresentativa di una grande organizzazione funzionante. Certo l’essere chiamati a indossare la maglia color cielo non basta a elevare il livello di gioco medio dei calciatori italiani e, infatti, in questo senso erano state interpretate le prime non travolgenti esibizioni nostre al Mundial 1982. Ma… Ma, strada facendo, quando non solo i giornalisti al seguito davano per spacciata la nazionale italiana, ma alcuni parlamentari in vena di demagogia proponevano interpellanze fiscali o altrimenti vessatorie contro gli azzurri, per assecondare il malcontento di piazza che fiutavano con le loro sensibili nari, ecco invertirsi la rotta, i calciatori italiani in terra di Spagna dare la prova contro l’Argentina che almeno loro non si erano arresi in partenza, che intendevano fare, sensazionale, inaudito, quello per cui erano venuti in Galizia e poi in Catalogna ecc. E insomma avevano davvero nel loro destino Madrid. Siccome il livello medio del calcio italiano, causa le tattiche che impongono il risultato a tutti i costi nel nostro campionato, non era troppo elevato, i nostri rappresentanti avevano stentato un poco a mettersi in carreggiata. Ma ora, se l’avversario giocava bene, loro giocavano meglio, e se gli avversari giocavano peggio, loro cercavano di giocar meglio ugualmente. Per giocare al calcio occorre essere in due. Due squadre che si equivalgono o si superino addirittura. Soltanto l’avversario più forte può destare l’istinto dell’emulazione in una squadra nazionale come quella Italiana. La squadra italiana si è scoperta via via mentre si andava avanti, mentre si alternavano le partite e si procedeva verso la finalissima; la squadra italiana si è scoperta come una autentica vera squadra, un gruppo chiuso, agguerrito, solido come non saprei definirlo, come un gruppo di difesa e d’assalto. E’ a questo punto che la nazione si è innamorata della sua nazionale. Frivolmente, ma appassionatamrnte, storditamente, ma sinceramente. Questa è una nazionale che ha fatto piangere molti italiani. Una vittoria nel Mundial non è certo in grado di migliorare la situazione terribile dell’Italia, il cui disavanzo pubblico non solo non si è fermato ai 50 mila miliardi previsti, ma non mostra intenzione di fermarsi ai 90 mila, non è in grado di salvare il Banco Ambrosiano né la lira, non è in grado di ricostruire la credibilità finanziaria dell’Italia all’estero, ma è in grado di dare agli Italiani qualche ora di orgoglio, di speranza, di certezza di essere alla pari con gli altri Paesi almeno in un gioco. Il gioco del calcio. Il gioco della fortuna. Il gioco della tenacia.