Oreste Del Buono: cronache spagnole

13 luglio 1982: Allora è una grande squadra

Siamo tricampiani, come si dice. Ma quando noi giornalisti abbiamo cominciato veramente o credere di poterlo diventare? Non vi fidate, prego, degli antemarcia, molti di noi ora assicurano di averlo intulto subito. Molti non ci credono ancora e sono inquietati dal sospetto che sia solo un sogno di gloria nazionalistico da cui è possibile venir svegliati a tradimento. Finalmente, si disfano le valigie in casa, ma non svaniscono tra noi che abbiamo seguito la nazionale azzurra in Spagna i dubbi, le perplessità, gli interrogativi su quello che può essere realmente successo, trasformando i ragazzi che venivano ritenuti fatui, viziati e negligenti. Bearzot che è il profeta della squadra, ma fa anche parte integrante della squadra come uno della panchina, assicura che il suo maggior compito è consistito nel proteggere in ogni modo i giocatori, i suoi giocatori, l’equipaggio della zattera Italia. Dunque, il segreto è la squadra in sé e per sé, il preesistere, il sentirsi, l’essere squadra. Certo, quando la nazionale azzurra è partita per la Spagna, dopo una serie di magre e di umiliazioni, nessuno di noi era disposto a scommettere qualcosa su una lunga permanenza al Mundial 1982. Forse, avrebbero passato il primo turno, dato che il loro gruppo, oltre la Polonia, non presentava che Perù e Camerun, ma, insomma, la corsa sarebbe finita lì. Comunque, all’ultima partita amichevole a Braga la figura rimediata contro la modesta squadra locale è stata così meschina che il presidente della Federazione Sordillo si è ritenuto in dovere o in diritto di manifestare il suo scontento e il suo pessimismo. E, allora, si è avuta la prima manifestazione di dissenso: la squadra non ci stava, il primo sussulto caratteriale era solo un allenamento; la squadra era in rodaggio. Lo stesso Sordillo è stato costretto a rimangiarsi la drasticità dei suoi giudizi. Ma ormai si avvicinavano le gare. Se Sordillo aveva mitigato la sua severità, i giornalisti al seguito dovevano riempire in qualche modo le loro giornate piene di pioggia in Galizia e le colonne lasciate a disposizione dai loro giornali in tutte le città d’Italia. Ecco nascere i pettegolezzi non graditi, le battute di gusto indiscutibilmente pessimo, i pareri tecnici irritanti. L’1 a 1 con il Perù, l’1 a 1 con il Camerun, però, danno lo spunto per infierire ai giornalisti demagogicamente sicuri d’interpretare le scontentezze patrie. Secondo sussulto caratteriale. I giocatori decidono di non parlare più singolarmente con i giornalisti, demandando ironicamente e provocatoriamente le comunicazioni ufficiali a Zoff conosciuto come muto. Zoff si rivela un oratore compito e nello stesso tempo non accomodante. I giornalisti spagnoli trovano che il loro primo ministro Calvo Sotelo avrebbe qualcosa da imparare da Zoff e si rifanno a Machiavelli e Gramsci. I giornalisti italiani ancora increduli sulla consistenza della squadra, soprattutto dal trovarsi davanti uno che li conosce troppo bene in difetti e errori. Si sa che i grandi portieri studiano di solito i centravanti avversari, annotano e mandano a memoria se i rigoristi più infallibili tirino di preferenza a destra o a sinistra. Qui, però, ce n’è uno che si è studiato anche i giornalisti ed è in grado di rinfacciare i torti subiti con calma, addirittura con indifferenza. Zoff non parla per fatto personale. Parla per la squadra, che si sta sempre più ritrovando. Dimostra la sua convinzione nella squadra. Ma i giornalisti non possono ancora cambiare idea come hanno cambiato ambiente, venendo al sole della Catalogna. C’è da affrontare l’Argentina, e tutto sarà finito. Le valigie vengono preparate per il ritorno anticipato. A Barcellona l’Italia batte l’Argentina d’impeto e di forza 2 a 1. Difficile rinunciare alle idee ricevute, non ci si accorge che la squadra ha raggiunto la forma giusta. L’Argentina è a pezzi, si preferisce sostenere. Ma incalza il Brasile e finalmente sarà tutto finito. Il Brasile è preso d’infilata, recupera affannosamente due volte, dovrebbe chiudersi in difesa. Non può rimetterci la faccia, però. Vanitosamente va all’attacco, e l’Italia lanciata lo supera per la terza volta. 3 a 2. La colpa è del Brasile, ci si ostina a protestare. Ma intanto l’Italia è in semifinale, e deve ridisputare una partita con la vecchia conoscenza Polonia. Agli inizi la squadra pare incespicare nella neghittosità dei primi pareggi. La corsa si è conclusa, dunque. La Polonia non è il Brasile e non è l’Argentina. I polacchi non sono talmente ingenui, ci conoscono. Vengono battuti con il punteggio classico, 2 a 0. Non esistono addirittura in campo. E allora? Allora, si va a Madrid, si va in finalissima con la Germania, vuol dire che siamo forti, fortissimi? Ma… Un tenace «ma» lotta contro il desiderio di illudersi, di sperare, magari di credere. Siamo stati fortunati a incontrare la Polonia senza Boniek. La Germania richiede maggiore attenzione: sono terribili, loro con la loro forza, la loro volontà di non arrendersi mai. E, infatti, in apertura della partitissima sono i tedeschi ad attaccare, noi ripieghiamo apparentemente intimiditi e molli. Assente Antognoni, latita il gioco. Eppure ci viene assegnato un rigore a favore per una volata di Conti. Rigore sbagliato. Abbiamo tradito la fortuna, nel secondo tempo verremo fatti fuori. Le ultime previsioni sbagliate. Terzo sussulto caratteriale, i nostri vanno d’accordo, non ci sono clan di prime o seconde donne, si forniscono reciprocamente fiducia e sostegno. In campo, la squadra modella il comportamento sugli avversari, li ribatte con un uguale gioco. E poi, a un certo punto, il risultato diventa maturo. La squadra camaleonte si rivela mangusta. Non perdona. Il prestidigitatore Rossi fa sbocciare un pallone nella rete avversaria, gli altri si sciolgono panzer di burro. I ragazzi dalla maglia color cielo non solo hanno meritato la loro fortuna, l’hanno costruita giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. L’unica ipotesi valida per spiegare il successo dell’Italia al Mundial 1982 è che si tratti di uno squadrone. Cuori buoni oltre a piedi buoni, e teste buone pure. Almeno qualche testa sopraffina. La gente d’Italia lo ha già capito spontaneamente, forse ci arriveranno presto anche i più illustri critici di calcio. Meglio tardi che mai. Cosi potranno riattaccare a farci la lezione.