Palla avvelenata

La contesa per le Malvinas e un Argentina-Inghilterra da brividi. Lo spareggio Honduras-EI Salvador e la Guerra del Fùtbol. I servizi giornalistici anti Pinochet e un Italia-Cile violento. Ecco cosa è successo quando i conflitti fra Paesi si sono incrociati con lo sport

INGHILTERRA VS ARGENTINA

Le Falkland sono un gruppo di isolette nell’Atlantico sud-occidentale, le coste sono frastagliate e perennemente battute dai venti. Le abitano duemila anime che vivono di pastorizia e cacciando balene. Appartengono all’Inghilterra ma l’Argentina le chiama Malvinas e le considera di sua proprietà, perchè sono la punta emersa dello zoccolo continentale di cui fa parte la Patagonia. Nel 1982 furono teatro della guerra più tragicomica del secolo: truppe da sbarco argentine le invasero, il 2 aprile, e ne presero possesso.

L’Inghilterra dapprima credette a uno scherzo poi spedì laggiù qualche nave da guerra. Il braccio di ferro durò tre mesi, ci furono cannonate, spari e morti e a metà giugno l’Argentina si arrese. Intanto era già cominciato il Mondiale di Spagna, erano presenti anche Argentina e Inghilterra e questo fu un problema: si temeva che prima o poi le due Nazionali si dovessero affrontare, gli hooligans britannici erano già allertati per fare la festa agli “aggressori argentini”, le due squadre furono blindate con speciali misure di sicurezza.

Per fortuna, entrambe a fine giugno dovettero tornare a casa: l’Argentina eliminata dall’Italia e l’Inghilterra dalla Germania. La tensione finì ma si ravvivò di nuovo al Mondiale 1986, quando nei quarti di finale Inghilterra e Argentina si ritrovarono faccia a faccia. «Quando Diego Maradona saltò davanti al portiere Shilton e gli fece passare con la mano la palla sulla testa, alle Malvinas il consigliere municipale Louis Clifton avvertì il primo mancamento», scrive Osvaldo Soriano nel suo “Fùtbol”. «Il secondo, più prolungato, si verificò quando Diego dribblò mezza dozzina di inglesi e segnò il secondo goal per l’Argentina. Fuori un vento gelido spazzava le strade deserte di Port Stanley e le truppe britanniche chiuse in caserma ascoltavano, turbate, come il piccolo diavolo del Napoli stava rovinando la festa del quarto anniversario della riconquista di quelle che loro chiamavano Falkland».

Finì 2-1, l’Inghilterra avrebbe segnato il gol della bandiera con Lineker. Una rivincita clamorosa dell’orgoglio nazionale argentino, ferito, e ora rinfrancato dal successo in una partita di calcio. «Nelle strade di Buenos Aires – racconta ancora Soriano – sfilavano centinaia di macchine imbandierate che chiedevano la restituzione delle Malvinas perdute dal generale Galtieri nel 1982. Nei camion pieni di ragazzoni che scendevano dai quartieri di periferia si inneggiava al nome di Maradona e le radio ritrovavano i toni sciovinisti che avevano accantonato dopo la capitolazione di Puerto Argentina». Sono passati anni da quella “guerra”, ma ancora oggi, talvolta, inglesi e argentini si sfottono con qualche sogghigno.

HONDURAS VS EL SALVADOR

Nel 1969 successe l’esatto contrario del caso Falkland: da una partita di calcio scaturì una guerra fra due Paesi. Nei libri di scuola del Centroamerica è ricordata come la «Guerra de los Cien Dias» o più spesso come la «Guerra del Fùtbol». Si giocava per la qualificazione al Mondiale 1970.

Le Nazionali di Honduras e El Salvador, Paesi già divisi da contrasti politici ed economici, dovettero affrontarsi in uno spareggio, fissato sul campo neutro di Città del Messico il 26 giugno 1969: finì ai supplementari 3-2 per El Salvador, con un gol decisivo di MauricioPipoRodriguez al 101’ dopo una battaglia condotta senza esclusione di colpi. Il tifo e l’orgoglio nazionale presero la mano ai governanti dei due Paesi, che dalle parole passarono ai fatti: truppe ammassate ai confini, schioppettate, morti e feriti. Durò tre mesi, e finì solo grazie alla mediazione dell’OSA, l’Organizzazione degli Stati Americani.

CILE VS ITALIA

La guerra delle Falkland e la Guerra del Fùtbol sono solo due esempi storici di connessione fra calcio e politica. Ce n’è poi un terzo, di matrice diversa, che riguarda direttamente l’Italia. Si colloca nel Mondiale 1962, in Cile, che i giocatori italiani disputarono in un clima quantomai ostile, dovuto ai servizi di due giornalisti italiani (Antonio Ghirelli per il Corriere della Sera e Corrado Pizzinelli per La Nazione), articoli obiettivi, in cui però si denunciava con crudezza la situazione di degrado sociale ed economico di quel Paese.

Si scatenò un’ondata xenofoba per tutto ciò che era italiano che mise in allarme il nostro consolato: bandiere tricolori bruciate, boicottaggio di negozi italiani, insulti a chiunque parlasse la nostra lingua. L’Italia per sua sfortuna era nello stesso girone del Cile. Le due squadre si affrontarono a Santiago il 2 giugno in un’atmosfera intimidatoria per gli azzurri, scortati fin sul campo da guardie armate.

L’arbitro inglese Aston (“figlio di buona donna” , lo definì Gianni Brera) lasciò che i cileni picchiassero impunemente i nostri (a Maschio fu spaccata la faccia) e con zelo eccessivo espulse Ferrini e David, colpevoli di avere reagito a tanta provocazione. Finì con l’Italia in nove e 2-0 per il Cile. Fra gli sberleffi del pubblico, felice che ci venisse stata impartita quella “lezione”.

Sono molti coloro che avrebbero voluto, e vorrebbero, scindere il calcio dalla politica. Purtroppo la storia, e non solo del calcio, insegna che ciò è spesso impossibile: vuoi perché il calcio è una straordinaria cassa di risonanza per qualsiasi problematica, vuoi perché la passionalità di una fazione attecchisce più facilmente là dove è naturale la presenza dell’antagonismo.