PAOLO ROSSI – febbraio 1977

Intervista di Guido Meneghetti, Guerin Sportivo febbraio 1977

Mentre gli squadroni blasonati del Nord lo prenotano (Juve in testa) per il prossimo campionato, Paolo Rossi – capocannoniere della serie B – insegue il gol con la precisione di un cronometro svizzero


VICENZA. Adesso, grazie alla sua puntualità spaziale per il gol, per il suo scatto velocissimo e per gli assists di cronometrica precisione, da queste parti Paolo Rossi — capocannoniere con 16 reti di un Vicenza campione d’inverno — è diventato «Bulova» per tutti. Per i suoi tifosi, per G.B. Fabbri, per il presidente Farina («La Juve ce l’ha dato e guai a chi ce lo tocca!» è il suo proclama del momento) e per i compagni di squadra. Tradizionalista per quanto riguarda il matrimonio, contrario al movimento femminista e incerto sul grosso problema dell’aborto, Rossi è il comune denominatore di un’equazione che coinvolge l’intero Vicenza. Plasmato da un mister che mira dritto al sodo sull’esempio delle migliori scuole europee di calcio, «pallino» dell’ex Damiani che vede in lui un nuovo Garrincha e che fu l’artefice di un prestito — via Como — concordato per soli dieci milioni (più altri ottanta per il riscatto completo) è diventato la carta vincente di Farina. In tutti i sensi: sul campo (con i suoi gol) e in una proiezione «prossima-ventura». Quella cioè del calcio-mercato: la sua quotazione, infatti, ha raggiunto vertici da capogiro (si parla di due miliardi, sull’esempio di Savoldi, dunque) e gli acquirenti più blasonati — Juve in testa — si sono già messi in lista d’attesa.

Ma al di fuori di questo contesto economico-finanziario, «Bulova» è rimasto il ragazzo semplice di Prato che non ha niente da spartire con il business e guarda incredulo a chi lo paragona a Luis Vinicio che proprio a Vicenza riuscì ad essere capo-cannoniere della serie A. Consapevole, per di più, di non essere ancora completo, di avere ancora carenze da limare ed errori da evitare. Magari il colpire di testa, dove – dichiara serafico – “sono ancora a zero”.
Ed una volta rotto il ghiaccio, il «bomber» cadetto va via a ruota libera in un’auto-analisi completa, a volte ironica a volte estremamente ingenua, in cui tuttavia il pallone è l’elemento catalizzatore, ma non il personaggio principale.
Quello spetta di diritto a Paolo Rossi, ragazzo di provincia che un giorno fece la valigia per tentare l’avventura del calcio, poi poco mancò che la nostalgia privasse il Vicenza di un validissimo lasciapassare per la serie A. Leggere per credere…

Paolo Rossi “prima maniera”, qui con con Cinesinho

– Paolo Rossi: da una squadra dilettantistica a personaggio del giorno. Com’è iniziata la favola?
«Ho cominciato a giocare in una squadretta di Prato quando avevo 10 anni, nell’Ambrosiana, dove sono rimasto poco più di un anno e mezzo. Quindi sono andato a giocare a Firenze in una squadra giovanile, la Cattolica, che comprendeva 9 squadre fra allievi, juniores e pulcini. A 16 anni ho preso la strada per Torino dove sono rimasto per tre anni e mezzo alla Juventus di cui uno con la prima squadra. L’anno scorso a novembre fui trasferito a Como e quest’anno, da agosto sono stato ceduto al Vicenza».

– Ti ispiri a qualche tipo di gioco o a qualche giocatore in particolare?
«In particolare a nessuno, mi piace essere Rossi e basta. Ci sono tanti giocatori che ammiro, mi piacerebbe giocare come Mazzola e Rivera, che ho sempre ammirato, assomigliare a qualcuno. Cerco, comunque, di migliorare sempre, di imparare un po’ da tutti soprattutto da quelli che penso siano i migliori».

– Tu sei nato calcisticamente come ala destra, adesso sei centravanti e capocannoniere del campionato. E’ questo il ruolo che preferisci?
«Indubbiamente adesso sì. La soddisfazione di fare goal non è di tutti i giorni, di tutti i tempi; lo preferisco proprio per questo, soprattutto per questo. Se ritornassi a giocare all’ala, non mi spiacerebbe, solo che giocando al centro dell’attacco si hanno maggiori soddisfazioni».

– Che effetto ti fa essere al centro delle attenzioni generali con una valutazione da capogiro? E’ cambiato qualcosa nella tua vita?
«I primi tempi, un paio di mesi fa quando ho cominciato a fare le prime reti ed i giornali (ed anche la televisione) si sono interessati a me seguendomi di qua e di là, ci stavo un po’ attento. Però io sono rimasto il ragazzo di prima. Non mi sono montato la testa, in pratica le abitudini che avevo prima mi sono rimaste anche adesso, non è cambiato assolutamente nulla. D’altronde il cognome che ho non mi ha permesso di montarmi la testa: ci sono tanti Rossi in giro».

-Si parla tanto dì Juventus, forse perché sei anche mezzo juventino. Se questa fosse la tua destinazione futura, non avresti paura di affrontare un grosso club dove certamente sono maggiori le soddisfazioni, ma anche i rischi di bruciarsi?
«Devo ammettere che a me è rimasta nel cuore anche la Juventus dove sono rimasto tre anni e mezzo e sono praticamente cresciuto a livello giovanile. Devo dire, però, se dovessi tornare e non giocare, tornerei malvolentieri nonostante sia una grossa società come nome e come tradizione. Io rimarrei con piacere anche a Vicenza a patto di avere la possibilità di giocare. Dopo la brutta esperienza che ho avuto a Como dove sono rimasto sempre fuori squadra, per me giocare vuol dire tanto, moltissimo».

– Come giudichi il mondo del calcio sotto il profilo umano, sotto l’aspetto dell’emarginazione e delle difficoltà di inserirvi nella società?
«Il nostro è un ambiente difficile: da fuori sembrano tutte rose e fiori mentre invece per i giocatori ci sono purtroppo problemi grossissimi. E’ un mondo fatto di interessi, è una industria, la più grossa industria italiana si può dire, e in tutto questo giro di soldi a volte i giocatori vengono trattati come bestie. L’esempio tipico di questa situazione è il mercato dei calciatori. Anche il calcio ha i suoi lati positivi nel senso che è uno sport sano, si fa vita all’aria aperta però tutto questo può passare in secondo piano dì fronte alle polemiche, alle critiche cui siamo sottoposti anche senza avere colpe specifiche. Quanto all’emarginazione, alla presunta difficoltà di inserimento nella società, ritengo che, come anche in tutti gli altri settori, nella vita ci deve essere la componente della fortuna unita ad una certa saggezza nel pensare al futuro. Con la tragica scomparsa di Re Cecconi sono tornati alla ribalta questi problemi assieme ad altri ancora più gravi, come il fatto che i giocatori hanno molto tempo libero e non sapendo cosa fare passano parecchio tempo in giro, nei bar. Io penso si stia esagerando: parecchi giocatori hanno la famiglia, hanno altri interessi, sono sempre impegnati. Quello che è successo al povero Re Cecconi mi sembra assurdo, è un fatto unico che non va assolutamente generalizzato, è stata una stupidaggine che poi è finita in una tragedia. Sono cose che possono succedere. Ora è capitato ad un calciatore, ma avrebbe potuto succedere a un muratore, a un idraulico, a chiunque altro insomma».

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– Qual è stato il momento più bello e quello più brutto della tua carriera?
«Inizio dal primo che è stato il più bello e il più significativo: mi riferisco alla prima volta che sono andato a Torino seppure a livello giovanile, poiché ancora soddisfazioni grosse a livello professionistico non ne ho avute nonostante sia attualmente capocannoniere in serie B con 16 reti. Quando sono andato alla Juventus mi sembrava fosse un sogno; fin da ragazzini, se piace il calcio, ci si entusiasma nel sentire parlare della squadra bianconera. Per me quello che sembrava un sogno si era improvvisamente tramutato in fortunata e dolce realtà. Il momento più brutto che ho passato sono stati gli stessi anni trascorsi nella Juventus nel senso che mi sono fatto tre volte male al ginocchio, sono stato operato tre volte al menisco. Per un ragazzo giovane, a 16, 17, 18 anni, lontano da casa con tutti i problemi connessi dovere affrontare tre volte operazioni così gravi può essere decisivo per la sua carriera: a me era venuta la voglia di smettere di giocare. Ho trovato poi la forza di reagire e in questi frangenti conta molto anche il carattere».

– Cosa ne pensi dei giovani d’oggi?
«I giovani d’oggi forse sono cambiati rispetto ai giovani d’un tempo. Perlomeno sentendo parlare i più vecchi, i più anziani. E questo, sia nella squadra che nella società. Penso che abbiano acquistato più personalità, forse sono anche più sfacciati, più sfrontati nei confronti dei vecchi. Ritengo però che adesso si stia passando un brutto periodo ma ora si sta ritornando sui livelli d’un tempo e la nazionale giovanile, juniores e under 21, si sta prendendo delle grosse soddisfazioni a livello internazionale. Mi sembra che i giovani d’oggi siano più interessati ai problemi della vita, alla politica. Ritengo, insomma, che siano anche più maturi e più partecipi nella società».

– Credi nel matrimonio?
«Sì, credo nel matrimonio, in quello vero però. Tanti matrimoni si fanno in modo troppo affrettato e si vengono a creare poi tante situazioni brutte, tanti divorzi. Il matrimonio è bello quando è fatto veramente bene, quindi ci si medita sopra non una, ma cento volte».

– E dell’aborto cosa ne dici?
«Questo è un problema grosso, molto complesso: ritengo che sia giusto in certi casi come sia ingiusto invece in altri. La legge da poco approvata, tutto sommato mi sembra giusta e deve servire ad eliminare certe situazioni familiari precarie».

– Tu hai la ragazza, la fidanzata?
«No, non sono fidanzato ufficialmente. Ho una ragazza qui a Vicenza, sono tre o quattro mesi che la frequento, che ci sto assieme e mi trovo bene con lei. Ma è ancora tutto in via ufficiosa».

– Approvi la dottrina del movimento femminista?
«Forse no, perché penso che una donna abbia determinate cose da fare e l’uomo altre. Vedo qualcosa di giusto anche nelle richieste che vengono formulate dalla donna, però non si può arrivare ad un livellamento generale: non tutti abbiamo le stesse caratteristiche».

– Sposeresti una tua collega calciatrice?
«Una mia collega? Forse sì, forse no. A parte che io personalmente proprio le donne per il calcio non le vedo, mi sembra che sia uno sport assolutamente inadatto a loro. Sposarsi poi è una parola grossa, ma se fosse una brava ragazza sposerei anche quella» .

– E se si chiamasse Paola Bresciano, centravanti come te, miss Sicilia e miss Italia?
«Beh, allora, una ragione in più per sposarla. No, guarda che sto scherzando, comunque vale anche per il discorso di prima».

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