Un mix di talento naturale, lavoro instancabile e puro istinto predatorio. Le sue “Papinades” non erano solo gol, erano momenti di pura magia calcistica.
Papin era un predestinato. Fin da giovane, la sua passione per il calcio e la sua determinazione a diventare un grande attaccante erano evidenti. “Penso che segnare gol sia qualcosa con cui si nasce – è nel sangue“, ha sempre affermato Papin. E con un padre ex calciatore professionista, sembrava davvero che il calcio scorresse nelle sue vene.
La sua dedizione al football era tale che si dice fingesse malattie per saltare la scuola e allenarsi. Un comportamento discutibile, certo, ma che dimostra quanto fosse determinato a perseguire il suo sogno. Questa mentalità lo portò nel 1983 all’Accademia Nazionale di Calcio francese (l’INF Vichy), dove iniziò a raffinare il suo talento naturale.
Primi passi da professionista
Il debutto di Papin nel calcio professionistico arrivò relativamente tardi, all’età di 21 anni con il Valenciennes in Ligue 2. Nonostante l’avvio ritardato, il suo impatto fu immediato: 15 gol in 33 partite attirarono l’attenzione del Club Brugge in Belgio.
Fu proprio a Bruges che Papin esplose definitivamente. Una stagione straordinaria con 32 gol in 43 partite, decisivi per vincere la Coppa del Belgio e a sfiorare il double, perdendo il campionato solo per differenza reti. L’ottimo rendimento lo portò alla ribalta internazionale, guadagnandosi un posto nella nazionale francese per i Mondiali del 1986, nonostante avesse una sola presenza con Les Bleus. E a soli 22 anni, Papin segnò due gol nel torneo, incluso uno nella finale per il terzo posto, dimostrando di essere ormai pronto per i palcoscenici più importanti.
L’Era d’Oro a Marsiglia
Il ritorno in patria di Papin in quell’estate del 1986 coincise con l’inizio di un’era dorata per l’Olympique Marseille di Bernard Tapie. La sua prima stagione fu di adattamento: 16 gol in 44 partite, numeri rispettabili ma non straordinari. Era solo l’antipasto di ciò che sarebbe venuto.
Dalla stagione 1987-88, Papin si trasformò in una vera e propria macchina da gol. I tifosi del Vélodrome iniziarono a trattenere il fiato ogni volta che la palla arrivava sui suoi piedi. E con buona ragione: Papin segnava in ogni modo possibile, dai tap-in ai tiri al volo impossibili che divennero il suo marchio di fabbrica.
Per cinque stagioni consecutive, dal 1988 al 1992, fu capocannoniere della Ligue 1. I suoi numeri erano semplicemente strabilianti: 33 gol nel 1988-89, 38 nel 1989-90, 36 nel 1990-91, e di nuovo 38 nel 1991-92. Era come se avesse trovato la formula magica per segnare a ripetizione.
Ma Papin non era solo un goleador. Era il fulcro di una squadra che dominava il calcio francese. Sotto la sua guida, l’OM vinse quattro titoli consecutivi di Ligue 1 dal 1989 al 1992. Nel 1989, il club completò anche il double, aggiungendo la Coppa di Francia al suo palmarès.
Il 1991 fu l’anno della sua consacrazione internazionale. Non solo portò il Marsiglia alla finale di Coppa dei Campioni (persa ai rigori contro la Stella Rossa), ma si aggiudicò anche il Pallone d’Oro. Fu un riconoscimento che andava oltre i confini francesi, certificando Papin come uno dei migliori giocatori al mondo.
Ciò che rendeva Papin un attaccante unico non era solo la quantità dei suoi gol, ma anche la loro qualità. Il suo marchio di fabbrica divenne noto come “Papinade“: un tiro al volo potente, spesso da posizioni impossibili. Il giornalista Alain Pécheral, che coniò il termine, descrisse la Papinade come qualcosa di magico, irrazionale, frutto di un’abilità innata combinata con anni di pratica ossessiva.
Papin stesso ha rivelato il segreto dietro questi gol apparentemente impossibili: “Non c’era nulla di spontaneo. L’avevo fatto così tante volte in allenamento che non dovevo più chiedermi se controllare la palla, potevo semplicemente colpirla al volo.” Questa dedizione maniacale all’allenamento è esemplificata dal suo rapporto con il portiere di riserva Alain Casanova, che trascorreva ore extra dopo gli allenamenti per aiutare Papin a perfezionare la sua tecnica di tiro.
L’ultima stagione di Papin al Marsiglia, nel 1991-92, fu forse la più dolceamara. Da un lato, continuò a segnare a raffica, dall’altro c’era la sensazione che un’era stesse per concludersi.
Il trasferimento al Milan
Il suo trasferimento al Milan nell’estate del 1992 catalizzò il calciomercato di quell’estate. Con una cifra record di circa 10 milioni di sterline, Papin divenne il giocatore più costoso del mondo in quel momento, suscitando enormi aspettative.
Ma il suo arrivo al Milan coincise con un periodo di transizione per i rossoneri. La squadra di Fabio Capello stava cercando di rinnovarsi dopo la fine del ciclo degli “immortali” di Arrigo Sacchi, e Papin sembrava essere l’uomo giusto per guidare il nuovo attacco rossonero.
La prima stagione di al Milan fu un mix di alti e bassi. In Serie A, contribuì con 13 gol in 25 partite, un bottino rispettabile ma non paragonabile ai suoi numeri stratosferici di Marsiglia. Il Milan vinse lo scudetto, ma la vera delusione arrivò in Champions League.
Nella finale di Monaco contro il suo ex club, l’Olympique Marsiglia, Papin entrò dalla panchina ma non riuscì a evitare la sconfitta per 1-0. Fu un momento agrodolce: vedere i suoi ex compagni trionfare in Europa deve aver lasciato un sapore amaro, considerando che era stato lui a portare l’OM così vicino alla gloria europea negli anni precedenti.
La stagione 1993-94 vide Papin lottare per imporsi come titolare fisso ma la concorrenza in attacco era feroce, con Van Basten, Massaro e Brian Laudrup. Nonostante ciò, il francese riuscì a segnare gol importanti, contribuendo alla conquista di un altro scudetto e alla cavalcata in Champions League.
Tuttavia, il momento che avrebbe dovuto essere il culmine della sua esperienza milanista si trasformò in una nuova delusione. Nella finale di Champions League del 1994 ad Atene, dove il Milan trionfò con un clamoroso 4-0 sul Barcellona di Cruyff, Papin non fu nemmeno incluso nella lista dei 16 convocati. Un colpo durissimo per un giocatore del suo calibro.
Il bilancio complessivo di Papin al Milan fu di 31 gol in 79 presenze in tutte le competizioni. Numeri rispettabili, ma lontani dalle aspettative create dal suo acquisto record.
Un Lento decino
Dopo aver lasciato il Milan nel 1994, si accasò al Bayern Monaco. In Baviera, il francese trovò un calcio diverso da quello a cui era abituato, ma riuscì comunque a farsi valere. Anche se non era più il goleador implacabile di un tempo, contribuì alla causa del club con prestazioni solide. Il momento più dolce della sua avventura tedesca arrivò nel 1996, quando il Bayern vinse la Coppa UEFA sconfiggendo il Bordeaux di un giovanissimo Zinedine Zidane.
E nell’estate del 1996, Papin fece ritorno in Francia, proprio con la maglia del Bordeaux. Era un ritorno alle origini, in quella Ligue 1 che lo aveva visto diventare una stella con l’Olympique Marseille. Al Bordeaux, Papin dimostrò di avere ancora il fiuto del gol, segnando con regolarità nelle sue due stagioni. Non erano più i numeri stratosferici di un tempo, ma per un attaccante che si avvicinava ai 35 anni, erano prestazioni più che rispettabili.
L’ultima fermata di Papin nel calcio professionistico francese fu il Guingamp. Qui, nella stagione 1998-1999, il campione ormai trentacinquenne diede il suo contributo per mantenere la squadra in Ligue 1. I suoi gol furono meno frequenti, ma la sua esperienza si rivelò preziosa per il piccolo club bretone.
Ma Papin non era ancora pronto ad appendere gli scarpini al chiodo. In un finale di carriera che ha del romantico, decise di giocare una stagione con la JS Saint–Pierroise, sull’isola di Réunion. Era un modo per chiudere il cerchio, tornando a giocare per puro amore del gioco, lontano dalle pressioni del calcio d’élite.
La Maledizione Internazionale
Se c’è un rimpianto nella carriera di Papin, è probabilmente legato alle sue prestazioni con la nazionale francese. Nonostante i suoi 30 gol in poco più di 50 presenze, Papin non è mai riuscito a guidare Les Bleus a un grande trionfo internazionale perché la sua carriera in nazionale si è svolta in un periodo di transizione per la Francia, tra l’era dorata di Platini e l’ascesa di Zidane.
L’ex allenatore Michel Hidalgo una volta si lamentò: “Se avessimo avuto Jean-Pierre Papin in attacco, avremmo vinto i Mondiali del 1982!” Questa giusta osservazione riassume perfettamente il paradosso di Papin: un attaccante straordinario che non è mai riuscito a trovare il giusto contesto nella nazionale per esprimere appieno il suo potenziale.
Monsieur Gol
Jean–Pierre Papin rimane uno degli attaccanti più prolifici e spettacolari nella storia del calcio francese. La sua capacità di segnare gol impossibili, la sua dedizione al miglioramento continuo e il suo impatto sul gioco lo rendono una figura leggendaria, soprattutto per i tifosi dell’Olympique Marseille.
Ha incarnato l’essenza del vero goleador: un mix di talento naturale, lavoro instancabile e puro istinto predatorio. In uno sport di squadra come il calcio, l’eccellenza individuale può elevarsi a forma d’arte: le “Papinades” non erano solo gol, erano momenti di pura magia calcistica.