Parma Letale: la fine del sogno

Estate 1996: finisce all’improvviso la lunga avventura di Nevio Scala e Pedraneschi. Stefano Tanzi diventa presidente e la gestione del club un affare di famiglia. Comincia così la parabola discendente della società che finirà travolta dal crac Parmalat.


Sono passati più di vent’anni da quel giorno che cambiò la storia del Parma Calcio, della provinciale diventata una grande del calcio. E forse anche della Parmalat, l’azienda della famiglia Tanzi. Ecco gli appunti che da cronista zelante Giorgio Gandolfi (ex responsabile della comunicazione del club)  prese meticolosamente e che oggi rappresentano un documento prezioso.

Stagione 1996-97: il Parma di Carletto Ancelotti era da poco arrivato a Baselga di Pinè, per il ritiro precampionato, quando – come addetto stampa della società – dovetti fare il comunicato che annunciava il cambio alla presidenza: il 19 luglio 1996 Stefano Tanzi subentrava a Giorgio Pedraneschi. Un comunicato scarno, conciso, come mi era stato richiesto dal nuovo direttore generale del Parma Calcio, Michele Uva. Anzi, Direttore esecutivo, come aveva imposto l’avvocato Anzalone dopo una riunione alla Parmalat nel corso della quale Pietro Tanzi propendeva per la definizione di Direttore operativo. In pratica, Giambattista Pastorello non aveva un erede ma nasceva una nuova figura dirigenziale. Uva veniva dalla pallavolo, dicevano che avesse come parente un esponente della Democrazia Cristiana, altri che era amico di Stefano Tanzi che aveva conosciuto negli States durante un corso universitario. Figlio di farmacisti di Matera, aveva fatto “carriera” nella locale società di pallavolo femminile. Il suo compito era di rivoltare il Parma, di risparmiare all’osso, cosa che fece sotto molti aspetti. Non so sino a che punto siano dipesi da lui tanti cambiamenti come quelli avvenuti in una società dove eravamo otto dipendenti, cosa di cui si era vantato Tanzi con Tony Damascelli in un’intervista sul Giornale, arrivando poi ad essere 25 più una ventina di consulenti esterni. Uva non è stato fortunato: ha lavorato in due grandi società, Parma e Lazio, tutte e due fallite. Naturalmente non è colpa sua, ma dei Tanzi e di Cragnotti.

Il Parma dei tempi d’oro: da sinistra Lorenzo Mnotti, il patron Calisto Tanzi, l’allenatore Nevio Scala e il presidente Giorgio Pedraneschi.

Il rifiuto di Capello

Avevo saputo dell’esonero di Pedraneschi il giorno precedente dallo stesso presidente. Cioè il giorno della presentazione della squadra al Tardini con Ancelotti, William Vecchi e Giorgio Ciaschini sulla tolda di comando. In realtà, sarebbe dovuto arrivare Capello, ma il tecnico del Milan si era spaventato quando aveva saputo che la squadra si allenava nel parco della Cittadella, davanti agli occhi di tutti, in quanto non esistevano impianti a disposizione della squadra. Questa, almeno, è stata la versione di Vincenzo Pincolini, suo fidato preparatore atletico. In realtà erano sorti anche problemi di natura tecnica: gli erano stati promessi giocatori importanti, non soltanto Thuram, ma anche Rivaldo, Cafu e Roberto Carlos, tutti del Palmeiras.

Pensate che squadrone avrebbe potuto allestire il buon Fabio, con quei fuoriclasse che erano stati negati dalla proprietà a Nevio Scala, accontentato con Zola e poi… con l’ex Pallone d’Oro Hristo Stoichkov («Nella mia formazione che avevo presentato alla società c’era scritto, sottolineato, no Stoichkov e Asprilla, sì Roberto Carlos»). Divertente la battuta che fece Roberto Pelacci, il magazziniere, al bulgaro quando a Pontremoli lo scovò in un angolino del ristorante mentre divorava di nascosto alcuni panini: «Hristo, ti danno 8 milioni di lire al giorno per patire la fame!» L’ex Pallone d’Oro venne pagato 13 miliardi in contanti, l’equivalente della campagna abbonamenti.

Scala al momento opportuno aveva cercato di impuntarsi: voleva la cessione di Asprilla, che sul piano disciplinare aveva superato ogni limite immaginabile; voleva la cessione di un paio di italiani (che però erano simpatici ai Tanzi ) e in cambio chiedeva Roberto Carlos che avevamo potuto seguire durante la tournée in Brasile assieme al bizzarro Edmundo, concessi in prestito dal Palmeiras, allora di proprietà Parmalat. A Scala erano piaciuti entrambi, specie il piccolo ed arrembante laterale. Edmundo non parlava mai, aveva già la fama di “animale”, come venne soprannominato. Con noi si comportò bene.

Lo strano caso dei campioni perduti

Caso strano, Roberto Carlos finì all’Inter, Cafu alla Roma e Rivaldo in Spagna. Nessuno dei tre campioni al Parma. Anni dopo un amico direttore sportivo mi spiegò l’arcano: fossero passati dal Palmeiras alla squadra emiliana, entrambe di proprietà Parmalat, nessuno ci avrebbe guadagnato. In questo caso invece girarono molti quattrini finiti nelle casse del Palmeiras (e dunque della Parmalat) e dei mediatori. Evidentemente Capello non credeva nella squadra che gli sarebbe stata affidata e allora meglio fare una brutta figura con Tanzi, al quale aveva dato la sua parola, e puntare sulla Spagna, sul Real Madrid. Ecco perché arrivò Ancelotti dalla Reggiana, con la quale aveva conquistato la promozione in A col fiatone.

Ma torniamo a Giorgio Pedraneschi, il presidente del Parma in Serie A, un personaggio caro a tutta la città e che aveva saputo conquistare rispetto e simpatia nel mondo del grande calcio. Dirigente della Parmalat, nel 1990 aveva accettato, da buon sportivo (in gioventù era stato campione di tennis) la presidenza fidandosi delle promesse di Calisto Tanzi, suo compagno di scuola e poi d’avventura nel calcio. Con l’acquisto delle azioni del club da parte della Parmalat, Pedraneschi era subentrato a Fulvio Ceresini, la cui famiglia aveva retto per anni un peso sempre più difficile, cioè la gestione di una squadra in una città che offriva qualcosa come due-tremila abbonati, non di più.

L’arrivo dello sponsor Parmalat e poi il passaggio delle azioni, quasi in concomitanza con la scomparsa, il 4 febbraio 1990, di Ernesto Ceresini (tutti geometri in famiglia, a parte l’architetto Dante), avevano risolto problemi non indifferenti, qualcosa come una decina di miliardi di lire di debiti. Ai Ceresini spettano tantissimi meriti, non ultimo dei quali l’ingaggio di Giambattista Pastorello quale direttore generale e di Nevio Scala come tecnico assieme al professor Ivan Carminati, destinato a una brillante carriera in Italia e all’estero e con la Nazionale, e Vincenzo Di Palma, autentico risanatore di portieri). Pastorello si era presentato alla città con un proclama che aveva scosso i tifosi: «Nel giro di pochi anni» aveva dichiarato alla Gazzetta di Parma «raggiungeremo la Serie A e avremo uno stadio da 30 mila posti». Come promettere la manna sul tranquillo tran-tran dei parmigiani. Fu di parola in tutti i sensi. Scala e i suoi collaboratori portarono molte novità e tanto entusiasmo, oltre a creare la squadra che avrebbe conquistato la Serie A e le prime Coppe con alcuni gregari trasformati in campioni.

Questi i personaggi che nell’estate del ’96 la famiglia Tanzi aveva deciso di liquidare dopo anni di calcio esaltante e la conquista di una Coppa Italia, della Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa (a spese della grande Juventus di Baggio, Vialli e Del Piero), una Supercoppa Europa (a spese del Milan di Papin e Savicevic) e tante finali perse per un soffio e molta sfortuna, a cominciare da quella di Stoccolma (Coppa delle Coppe 1993-94) contro l’Arsenal.

Michele Uva, Carlo Ancelotti e Stefano Tanzi

L’addio a Nevio Scala

Le avvisaglie della burrasca – l’arrivo di Ricky Sogliano al posto di Pastorello e altri avvicendamenti – si erano avvertite a Parigi il 21 marzo 1996, dopo l’uscita dalla Coppa delle Coppe ad opera del Paris St. Germain. Cioè una sfuriata della figlia di Tanzi, Francesca, nei confronti del segretario generale Renzo Ongaro, al quale tutti dovevano rispetto per la sua rettitudine sul lavoro e un’abnegazione e una competenza che sono davvero diffìcili da riscontrare nelle persone che occupano questo ruolo. La Tanzi (finita poi anch’ella in carcere dopo il crac Parmalat), piombò nella sala dove stavamo mangiando dopo la partita persa anche a causa di due rigori, aggredendo Ongaro davanti alla squadra e ai dirigenti. Lo accusò apertamente di avere fatto uno sgarbo allo zio Gianni negandogli i biglietti della tribuna d’onore. Detto fra parentesi, lo stesso Ongaro e io non avevamo posto neppure nella tribuna centrale, per cui eravamo finiti assieme ai giocatori non utilizzati in piccionaia con gli spettatori francesi. Ongaro rispose alla “padrona” con molta compostezza: «Avevo quattro posti in tribuna d’onore e sono andati al Presidente Pedraneschi, al cavalier Tanzi, a Stefano e a Pastorello». In effetti cosa c’entrava Gianni Tanzi, oltre a essere zio di Stefano, da questi chiamato “il reggiano”, per via della presidenza della Giglio? Francesca si infuriò ancora di più e in quell’occasione molti scoprirono l’altra faccia della damigella Parmalat (anche Stefano quando si arrabbiava non mostrava più la faccia da angioletto esibita in pubblico).

Insomma, era la fine del rapporto idilliaco instaurato fra i Tanzi e il Parma calcio. Con Scala il rapporto si era raffreddato già in estate a New York, in occasione della tournée dei gialloblù, per la mancata concessione di alcuni giocatori per l’esibizione di una scuola calcio al Giants Stadium («Siamo qui per fare pubblicità o per prepararci in vista del campionato?» si era chiesto il mister dopo una settimana di interminabili “esibizioni”). Domenica 20 febbraio 1996, battuto il Padova al Tardini, Scala va alla Domenica sportiva e racconta: «Un dirigente prima di partire per le Maldive mi ha detto: “La ringrazio per quanto ha fatto per il Parma in questi anni”». Si riferisce all’avvocato Anzalone. Poi aggiunge: «O lui resta per due anni alle Maldive oppure sono stato liquidato». Anzalone tornò dopo due settimane. Scala se ne andò a fine stagione.

Affari di famiglia

Crespo e Cannavaro, due grandi colpi di Pastorello

In quei primi mesi del 1996, dunque, i proprietari uscivano allo scoperto, avevano deciso di cambiare la gestione, di comandare direttamente. Pensavano” di avere “imparato” abbastanza. Dentro parenti, figli e nipoti, così tutto quanto avviene resta in famiglia. Verso la fine della stagione 1995-96 c’era stata una riunione ad alto livello. Ecco gli appunti che ho conservato. Da ricordare i componenti del consiglio direttivo: Franco Gorreri e Giorgio Scaccaglia vice presidenti (per quest’ultimo fu il padre a presenziare alla riunione decisiva), Claudio Anzalone, Camillo Catelli, Fulvio Ceresini, Giorgio Orlandoli, Pietro Tanzi, segretario particolare del Cavaliere ma non suo parente.

La maggioranza dei presenti era contro Scala, voleva il suo esonero. «Soltanto Camillo Catelli» mi disse poi Giorgio Orlandoli, allora direttore dell’Unione industriali e membro del direttivo «si è opposto. Scaccaglia poi è stato irremovibile: la cattiva gestione non è stata soltanto colpa di Pastorello, Pedraneschi doveva controllarlo». In realtà il Parma aveva chiuso il bilancio in attivo ed erano arrivati giocatori importanti. Pedraneschi era andato a prendere Crespo in Argentina assicurandosi inoltre Thuram. In precedenza aveva messo a segno il colpo Asprilla quando il colombiano stava andando alla Fiorentina. Pastorello aveva colpito ancora una volta, dimostrando tutta la sua competenza calcistica, portando al Parma Filippo Inzaghi, Fabio Cannavaro e Massimo Brambilla, l’unico dei tre a non esplodere ma ugualmente un campione a mio avviso. Senza dimenticare Buffon, strappato al Milan quando era in prova a Milanello e tanti altri arrivati a Parma al minimo costo, tipo Fiore.

Giocatori che assieme a Thuram e a Cannavaro hanno fruttato centinaia di miliardi al Parma. Ricordo quando Pastorello e Ongaro fecero il bilancio degli acquisti e delle cessioni fattenegli anni di gestione accogliendo poi con un urlo il risultato finale, la dimostrazione di un largo attivo. Non dimentichiamo Figo, che senza l’intrusione della Juventus avrebbe fatto fare un ulteriore salto di qualità ai ragazzi di Scala. «Quando Tanzi mi chiese chi poteva essere il sostituto di Scala» parla sempre Orlandini «feci i nomi di Capello e Lippi, oppure Tabarez». Il 18 luglio il Parma si radunò al Tardini per trasferirsi all’Hotel Pineta di Bedollo. Alle 11 il presidente Pedraneschi incontrò i giornalisti. Dopo di che andai a pranzo e verso le 13 rientrai: si partiva alle 14. Percorrendo il corridoio della sede vidi che Pedraneschi era nel suo ufficio. Mi sembrava affranto ma sapevo che non stava bene. «Presidente, cos’ha?» gli chiesi e lui mi rispose: «Non sono più il presidente, Calisto mi ha fatto presidente onorario e sostituito con Stefano. Da oggi in poi ci vada lui coi tifosi».

Il nuovo corso di Ancelotti

Anch’io rimasi choccato come lui. Non sapevo cosa dire. Uscii e nel corridoio incontrai Stefano Tanzi che passeggiava smangiucchiando un gelato. Mi guardai bene dall’accennare alla novità e raggiunsi la squadra sul pullman. C’erano facce tirate e molte novità. Ancelotti fumava, cosa che con Scala era vietatìssima. Al massimo i giocatori potevano giocare a carte anche se molti (Zola, Di Chiara e Pin, soprattutto) preferivano leggere oppure vedersi un film che lo stesso Zola procacciava. Con Ancelotti era cambiata l’atmosfera, una bella differenza. Di Chiara e Pin non facevano più parte della rosa, per Zola era questione di settimane. Praticamente liquidato da Ancelotti, che voleva cambiargli posizione, si sarebbe preso una clamorosa rivincita in Inghilterra. Nell’occasione, ricordo un articolo, bellissimo, di Gianni Mura sull’ingratitudine (e qualcosa d’altro) di certi allenatori nei confronti dei grandi del calcio, quelli col numero 10.

In serata, parlando a tavola con Ancelotti, il sottoscritto e Gianfranco Migliazzi (il mitico accompagnatore della squadra per 25 anni), Sogliano confermò la notizia aggiungendo che sarebbe arrivato Uva definendolo «Direttore esecutivo… dell’esecuzione». Ricky scherzava sempre. E poi capitan Minotti mi confidò: «Tanzi me l’ha detto un mese fa». Molti definirono “lacrime di coccodrillo” il comunicato, ma soltanto Minotti, Apolloni e Zola ebbero il coraggio di ricordare con parole di elogio il lavoro di Pedraneschi. Il 6 agosto, l’ex presidente mi raccontava: «Ho incontrato Tanzi negli uffici a Collecchio e mi ha chiesto: Giorgio, non vai in vacanza ? E io ho risposto: “Sono andato in Argentina una settimana per prendere Crespo e mi hai fatto fuori dal Parma. Se vado in vacanza magari mi fai fuori anche dalla Parmalat”. C’è rimasto di merda. Ma quando “ganascino” mi ha chiesto di sostituirlo col sindaco per una visita allo stadio non ho potuto dirgli di no». Ganascino era il soprannome dato in Parmalat a Stefano Tanzi assieme ad altri che non ricordo. Sogliano, invece, lo chiamava “il presidentino”.

Il Parma del nuovo corso di Stefano Tanzi

Rileggo un appunto sul direttore sportivo: «Mentre eri in vacanza» mi disse «il presidentino ha imperversato». Scoprii che Michele Uva mi aveva sostituito anche con la rassegna stampa: la mandava lui a Stefano. Praticamente non facevo più niente, era stata abolita anche la rivista del club, poco alla volta avrebbe fatto tutto Giorgio Bottaro, altro ex della pallavolo che, tramite il fratello, avrebbe portato al Tardini anche le body-guard con tanto di auricolare e vestito scuro; non so se nella giacca avevano pure la rivoltella. Forse ce ne sarebbe stato bisogno (di loro, non delle rivoltelle!), ma… a Collecchio.

Il risparmio comincia a tavola

Stava cambiando davvero tutto. Accesso vietato allo spogliatoio ai dirigenti al termine della partita. Addio deliziosa fetta di torta della signora Jolanda Priori di Vigatto che portava Roberto Pelacci (un altro grande dello spogliatoio assieme ad Elio Gandolfi). A Cremona vietarono l’ingresso anche a Tanzi. Ciaschini stava davanti allo spogliatoio come un bull-dog. A Migliazzi vietarono l’ingresso al Tardini in auto. Il pranzo coi giornalisti venne spostato dal Maxim’s in viale Mentana, tradizione consolidata da tanti anni, alla trattoria Corrieri. Ho sottomano l’originale del fax in cui il menu di 50 mila lire veniva ridotto a 40. Uva corresse il testo annullando il culatello. Un giornalista pubblicista, Tulio Baroni, commentò: «Appena vedo Calisto glielo dico. Quando venivi a scuola alla Salle eri più povero ma adesso questi risparmi non ti fanno onore».

Anche la cena al Maxim’s con l’avversaria portoghese di Coppa Uefa vide un cambiamento del menu, niente più branzino come secondo. Disse Maurizio Ferrari, come sempre impeccabile regista della serata: «Niente più mezza forma di formaggio ma un triangolo. Prosciutto e salame con torta fritta, risotto con asparagi e salsiccia e come secondo Rosa di Parma». Cioè un involtino di carne. Uva applicava alla lettera le disposizioni di Tanzi. A fine cena, lo stesso Stefano, Ceresini e Francesca Tanzi gli dissero sorridendo: «Risparmi anche con noi?» Uva replicò: «Com’è possibile offrire il branzino a Parma?». Ci sono Giorgio Scaccaglia e signora, molto apprezzata, e Stefano che improvvisa il suo primo discorso da presidente agli ospiti stranieri: «Speriamo di lasciare due belle storie alle nostre spalle, anche perché Parma e Guimaraes sono due città belle e simpatiche. In Portogallo ho sempre trovato degli amici, vorrei trovarne ancora altri». In realtà prenderemo due sberle e usciremo dalla Coppa al primo turno.

Il mistero Zè Maria

In società c’è molta confusione, ma Renzo Ongaro resiste dall’alto della sua esperienza. Per fortuna non è stato liquidato come avrebbe voluto un consigliere. Scoppia la prima grana, riguarda il brasiliano Zè Maria. Rileggo gli appunti. In conferenza stampa Ancelotti dice ai giornalisti: «Daremo un turno di riposo a Mussi, c’è Zè Maria». Gli sono vicino e gli sussurro: «Guarda che Renzo dice che non è in regola, non può giocare». Ancelotti è bravissimo a improvvisare. «Vedremo se è a posto, credo che ci sia qualche problema». Arriva Uva e annuncia: «Ho dato disposizione per cambiare i numeri delle maglie». Ancelotti gli chiede di Zè Maria e lui: «Sogliano dice che non ci sono problemi». Ongaro mostra la documentazione. All’Uefa è stato mandato un elenco che comprende anche Zè Maria, ma il tesseramento in Federazione è avvenuto soltanto venerdì 6 settembre, alla vigilia della partita col Napoli. Ancelotti non scherza: «Se non sono sicuro al 100 per cento non lo faccio giocare». Una telefonata all’Uefa e arriva la conferma, il brasiliano non gioca. Il Parma ha rischiato di perdere la partita a tavolino. Mica male come inizio. Il resto è un’altra lunga storia, tante belle parentesi ma anche una brutta, inevitabile, fine. La favola, ormai, non c’era più da un pezzo.