Pietro Puzone: dall’Olimpo all’abisso

«Io e Maradona eravamo due ragazzi venuti da quartieri difficili, forse per questo eravamo tanto simili»

Negli scintillanti anni ’80 del calcio italiano, un solo nome dominava incontrastato: Diego Armando Maradona. Attorno al “Pibe de Oro”, però, orbitavano anche talenti destinati a vivere glorie effimere prima di sprofondare nel dimenticatoio. Tra questi, la vicenda di Pietro Puzone si staglia come un racconto emblematico del nostro tempo, dove l’ascesa all’olimpo del calcio si intreccia drammaticamente con la discesa negli abissi più oscuri dell’esistenza umana.

Compagno di spogliatoio del fuoriclasse argentino, Puzone ha vissuto l’età dell’oro del Napoli non da semplice spettatore, ma da protagonista di un’epoca irripetibile, dove il confine tra trionfo e tragedia si faceva sempre più sottile. La sua vicenda personale si staglia come un monito: nella vertiginosa ascesa verso la gloria, non sempre si è preparati al peso di quella stessa luce che ti illumina.

Gli anni d’oro al Napoli

Puzone ricorda con nostalgia il periodo trascorso al Napoli: «Gli anni di Maradona sono stati bellissimi. Con Diego abbiamo fatto tante cose importanti e anche tante bravate.» Il culmine di questa esperienza fu la vittoria dello scudetto nella stagione 1986-87, un trionfo che segnò la storia del club partenopeo e della città intera.

«Quando abbiamo vinto lo scudetto noi non ci credevamo,” racconta Puzone. “Per Napoli quello scudetto ha significato tanto. Eravamo diventati campioni d’Italia ma per la città era come se avessimo vinto un mondiale». Questa vittoria non fu solo un successo sportivo, ma rappresentò il riscatto di un’intera città, spesso bistrattata e sottovalutata nel contesto nazionale.

L’amicizia con Maradona

Il legame tra Puzone e Maradona andava ben oltre il campo da gioco. «Ero il suo migliore amico degli anni di Napoli, sono stato al suo matrimonio, eravamo come fratelli», ricorda Puzone. Questa amicizia era radicata in un’origine comune: «Eravamo due ragazzi venuti da quartieri difficili, forse per questo eravamo tanto simili».

La loro complicità si manifestava non solo nelle vittorie sul campo, ma anche nella vita notturna napoletana. Puzone racconta: «Spesso portavo Maradona ad Acerra, gli prestavo anche casa per stare con alcune donne, così poteva stare più tranquillo e lontano da occhi indiscreti». Confidenze che rivelano il lato umano, e talvolta fragile, di due giovani improvvisamente catapultati nel mondo del successo e della fama.

La partita del fango

Tra i ricordi più vividi di quell’epoca spicca la leggendaria “partita del fango” di Acerra, una storia che rivela l’anima più pura di Maradona. Era l’inverno del 1985, in una domenica qualunque dopo una partita contro l’Atalanta, quando il destino bussò alla porta sotto forma di una richiesta d’aiuto. «C’era questo bambino, Luca Quarto, figlio di un nostro tifoso» rammenta Puzone. «Soffriva di una rara malformazione alla bocca e necessitava di un intervento all’estero, ma la famiglia non poteva permetterselo».

L’idea di una partita benefica nacque spontanea, e quando Puzone la propose a Diego, la risposta fu immediata, istintiva. Il presidente Ferlaino tentò di frenare l’iniziativa, preoccupato per l’assicurazione dei giocatori, ma Maradona spazzò via ogni ostacolo con un gesto regale: «Mise mano al portafoglio e sborsò 12 milioni per assicurare l’intera squadra» ricorda Puzone con emozione.

Quel giorno, su un campo che sembrava più adatto alle patate che al calcio, si scrisse una pagina indimenticabile. «Era tutto un pantano, eppure Diego giocava come se fosse la finale di Coppa dei Campioni» racconta Puzone. Fu più di una semplice partita di beneficenza: fu la testimonianza di come il calcio, quando tocca le corde giuste dell’animo umano, possa trasformarsi in qualcosa di più grande, un ponte tra i campioni e la loro gente.

Eccessi e bravate

Durante la sua militanza partenopea, il calcio era solo una faccia della medaglia. Fuori dal rettangolo verde, la vita scorreva a ritmi vertiginosi, in un vortice di luci e tentazioni. «La gioventù, il successo, i soldi facili… avevamo il mondo ai nostri piedi» confessa Puzone con un velo di nostalgia. «Ovunque andassi, c’era sempre qualcuno che voleva un autografo, una foto, un momento della tua attenzione».

Le serate con el Pibe de Oro si trasformavano in odissee notturne, dove il confine tra realtà e favola si dissolveva tra champagne e risate. Un episodio, in particolare, cristallizza l’essenza di quell’epoca dorata: «Correva l’anno ’86. Ci concedemmo una fuga a Roma che si trasformò in una follia da 56 milioni di lire. Tornammo a Napoli con il serbatoio della macchina che ansimava, senza nemmeno i soldi per un pieno di benzina».

Ma quello che all’epoca sembrava un gioco, un naturale prolungamento del loro status di semidei del calcio, conteneva già i semi di una caduta che nessuno poteva prevedere. Per Puzone, quelle notti scintillanti si sarebbero rivelate il preludio di un destino amaro.

La fine della carriera e il declino

Nonostante il suo innegabile talento, la parabola calcistica di Puzone rimase incompiuta, schiacciata dall’ombra di giganti. «Il potenziale c’era, ma mi trovavo in una squadra di fenomeni» riflette oggi. «Con Maradona, Giordano, Careca e Carnevale davanti, anche il più talentuoso dei giovani faticava a trovare il suo spazio».

Il vero dramma si consumò dopo l’addio al calcio giocato, quando il sipario calò bruscamente sulla sua vita da atleta. «Persi la bussola» confessa con voce rotta. «Cominciai a prendere a calci l’esistenza invece del pallone». Fu l’inizio di una spirale discendente, alimentata da vecchi demoni e nuove dipendenze. La strada divenne la sua casa, una panchina il suo letto, mentre i ricordi di gloria sbiadivano nell’indifferenza della città.

La lucidità con cui oggi analizza quel periodo è disarmante: «Diego era Diego, poteva permettersi qualsiasi eccesso perché il suo genio lo proteggeva. Io ero solo Puzone, e i miei errori mi stavano trascinando verso l’abisso». Una confessione che racchiude tutta l’amarezza di chi ha danzato con gli dei, per poi precipitare tra i mortali.

Il percorso di riabilitazione

Il suo viaggio verso la redenzione è stato possibile grazie a una rete di affetti che non l’ha mai abbandonato. «La salvezza è arrivata attraverso le mani tese dei miei concittadini, della mia famiglia, dei vecchi compagni di squadra», racconta Puzone con gratitudine nella voce. Il percorso di disintossicazione in clinica ha segnato l’inizio di una nuova vita, ma il destino aveva in serbo un’ultima, crudele prova: la scomparsa di Diego Maradona. «Ero appena riemerso dal buio quando la notizia della morte di Diego mi ha travolto come un’onda», confessa con dolore.

Ma dalle ceneri è nato un uomo nuovo. Oggi Puzone ha riscoperto la bellezza della normalità, trovando una dimensione diversa nel mondo che aveva quasi perso. «Non prendo più a calci né il pallone né la vita», sorride. Ha trasformato la sua esperienza in insegnamento, dedicandosi alla scoperta di giovani talenti nella sua Acerra, dove osserva con occhio esperto i sogni calcistici che sbocciano sui campi di provincia. E quando commenta il calcio, lo fa con la saggezza di chi ha visto entrambi i lati della medaglia: la gloria e l’abisso.

  • Fonti: stralci dell’intervista tratti dal Corriere del Mezzogiorno (Link)

Pietro Puzone (Acerra, 1º febbraio 1963)

StagioneSquadraPres. (Reti)
1981-1982 Napoli2 (0)
1982-1983→  Cavese19 (0)
1983-1984→  Akragas26 (2)
1984-1985 Napoli2 (0)
1985-1986→  Catania35 (3)
1986-1987 Napoli0 (0)
1987-1988→  Catania29 (3)
1988-1989 Spezia10 (0)
1989-1990 Ischia Isolaverde12 (0)
1990-1991 Vis Sezze17 (1)
1991-1992 Pomigliano11 (2)
1992-1995 Acerrana20 (0)
1995-1996 Boys Caivanese3 (0)