Portieri con i piedi: una squadra soltanto di numeri 1

Molti grandi portieri non lo sono stati sempre o hanno scoperto tardi la vocazione, dopo avere giocato in altri ruoli. Ecco perché, tra realtà e posto simbolico nella storia, si può tentare di ipotizzare una squadra di calcio composta solo da loro, dai numeri 1. Che potrebbe schierarsi così.


In porta

Tra i pali, per forza, Lev Jascin. È l’unico portiere ad aver vinto il Pallone d’oro (nel 1963). E il premio Fifa per il miglior portiere di ogni Mondiale è intitolato a lui. Con Jascin si impone definitivamente il controllo dell’area e anche gli immediati spazi fuori. In campo e nella vita, di chi non stimava diceva: «Non vede il campo». Non subì gol in 209 delle 438 partite giocate, fra Dinamo Mosca e Nazionale. E parò circa 150 rigori. Spesso respingeva i cross con la testa e, per farlo, si toglieva il berretto in corsa. Ma sappiate che la sua famosa maglia nera, in realtà, era di un blu scurissimo.

In difesa

Ipotizzando un modulo 4-3-1-2, il laterale destro potrebbe essere Ricardo Zamora, «per vent’anni il miglior portiere del mondo» (Galeano) e leggenda di Barcellona e Real Madrid. Ex giocatore di pelota (passato al calcio perché «la palla era talmente grande che pensai sarebbe stato più facile») la sua maglietta con collo bianco era il terrore degli attaccanti, nei cui piedi non aveva paura a buttarsi. Divenne così famoso che, quando il suo omonimo Niceto Zamora divenne premier della Spagna, pare che Stalin fosse convinto si trattasse del portiere.

Al suo fianco, come difensore centrale, ecco Dino Zoff: campione d’Europa e del Mondo, secondo al Pallone d’oro 1973 dietro Cruijff (unico portiere al mondo insieme a Buffon, nel 2006). L’altro centrale è Gilmar, il solo portiere bicampione del mondo — 1958 e 1962, col Brasile di Pelé —, in un Paese in cui all’epoca quello del portiere era considerato un ruolo per «matti o froci». È sua la spalla sulla quale il diciassettenne Pelé piange di gioia dopo la vittoria nella prima Coppa Rimet.

Come laterale sinistro, la scelta cade su Sepp Maier, anche lui campione d’Europa e del Mondo (Germania Ovest 1972 e 1974), oltre che plurivincitore di Coppe dei Campioni col Bayern Monaco, giocando 442 partite in Bundesliga. Altro grande teorico dell’inutilità degli azzardi, è lui a impone l’uso dei guanti di misura più grande rispetto a quella delle mani.

A centrocampo

Là potrebbe muoversi lo jugoslavo Vladimir Beara. Per Jascin, il Pallone d’oro lo meritava lui, ballerino con le mani d’acciaio. A centrocampo ci vuole visione. La stessa che, a fine carriera lo spinse a importare in Africa la figura dell’allenatore di portieri. È grazie a lui se il Camerun ha avuto due portieri leggendari come JosephAntoine Bell e Thomas N’Kono. E indirettamente l’Italia uno, visto che N’Kono era l’idolo di Buffon.

Sul lato sinistro della mediana ecco avanzare Gyula Grosics, portiere della Grande Ungheria degli anni Cinquanta e unanimemente considerato un pioniere nel lasciare la linea e l’area di porta. Il suo movimento consentiva all’Ungheria, che difendeva a tre, di accorciare e tenere compatte le linee. Una modernità straordinaria, quindi, anche andandosi a rileggere quanto Grosics scriveva sulla necessità dell’integrazione fra portiere e resto della squadra. E pazienza se aveva la mania di allenarsi con un berretto rosso nella convinzione che gli desse un certo sollievo da una malattia al cervello…

Dal centro del campo si può tracciare una linea ideale, che collega il terzo centrale all’uomo dietro le due punte. Una linea tutta olandese, perché è con l’Ajax di Rinus Michels che diventa prassi la teoria di Cruijff secondo la quale «il portiere deve essere un giocatore normale coi guanti». Quindi, ecco Heinz Stuy, il n. 1 dei lancieri tre volte vincitori della Coppa dei Campioni tra il 1971 e il 1973. E davanti a lui (a chiudere una storia che passa attraverso i nazionali Jan Jongbloed e Piet Schrijvers) ecco le orecchie, gli occhi, le mani e soprattutto i piedi di Edwin van der Sar. Ingiustamente sottovalutato in Italia perché male utilizzato ma capace di essere anche l’uomo dell’ultimo passaggio, come dimostra l’assist a Dennis Bergkamp in Svizzera-Olanda 0-2 all’Europeo inglese 1996. Su rinvio, di controbalzo, direttamente dalla sua area, sul piede dell’ex interista.

In attacco

Inevitabile il ricorso a una coppia tutta sudamericana. Il primo posto è riservato a Hugo Gatti, classe 1944, che a giocare a calcio iniziò da attaccante. Di sé diceva di essere una punta che stava in porta. E spesso anticipava i suoi ex colleghi di reparto con i piedi piuttosto che con le mani. Il c.t. Menotti e un infortunio al ginocchio finirono per collocare in porta dell’Argentina mondiale nel 1978 Ubaldo Fillol, il suo opposto in tutto, dallo stile di gioco a quello nel vestire (Gatti non disdegnava i colori sgargianti e le bandane).

Al suo fianco potrebbe stare il portiere che ha segnato più gol nella storia del calcio, cioè il brasiliano Rogerio Ceni, oppure il paraguaiano José Luis Chilavert , perché il portiere-rigorista-goleador nasce e si afferma con lui. Uno che, comunque, del suo ruolo aveva un’idea piuttosto precisa: «Per me una squadra non può essere grande se non ha un grande portiere. Il Brasile aveva una formazione fantastica, nel 1982, ma avevano anche Valdir Peres in porta».

E chi siamo noi italiani per non essere d’accordo?