Portogallo 86: per pochi dollari in più

Il capitano Bento guidò la rivolta della nazionale portoghese a pochi giorni dal Mundial messicano. Poi arrivò la tregua, ma al rientro in patria i ribelli saranno radiati

Al momento di scendere in campo per l’amichevole contro le Tigri di Monterrey, domenica 25 maggio 1986, capitan Bento e gli altri 21 calciatori del Portogallo impegnati nella preparazione al Mondiale messicano (i lusitani tornavano a gareggiare nella kermesse dopo 20 anni esatti) incrociarono le gambe. Si ammutinarono, si rifiutarono di giocare, minacciarono lo sciopero ad oltranza. Diventarono i “ribelli di Saltillo“, dal nome della località dove stavano in ritiro, su nella sierra, e la vicenda durò a lungo, bel oltre il Mundial 1986, fra un susseguirsi di polemiche, lotte interne, piccole meschinità e grandi vendette.

All’inizio era un problema economico, una storia di privilegi e quattrini. I portoghesi chiedevano 4 mila dollari a partita, invece dei 2 mila promessi dalla federazione, l’aumento della diaria da 27 a 60 dollari ed il tesserino per assistere in Patria a tutte le partite della nazionale. Non pretendevano la luna, viste le cifre in circolazione, ma il vicepresidente federale Armando Carvalho la mise giù dura e minacciò punizioni e scomuniche.

Il portiere Bento in conferenza stampa annuncia il boicottaggio dei calciatori

Come risposta, il giorno dopo, i portoghesi si allenarono con le magliette rovesciate, per nascondere i nomi dei due sponsor della nazionale, e pretesero di trattare solo con il presidente federale Antera Silva Resende. Il quale, giunto con il primo aereo, ribadì il suo no a tutte le rivendicazioni. La colpa, secondo lui, era del tecnico José Torres, ritenuto troppo debole, e di quei tre capipopolo che avevano trascinato gli altri alla rivolta. I tre erano Bento, Carlos Manuel e Diamantino, che fra l’altro erano comunisti, mentre Resende era iscritto alla locale dc. Risvolti di natura politica complicavano la vertenza.

Lunedì sera, alle 21, nell’hotel La Torre di Saltillo arrivò il telex del Presidente della Repubblica portoghese, Mario Soares. Era un appello alle due parti per una tregua, in nome del buon senso. E tregua fu. La federazione incassò il colpo, stretta com’era fra gli inviti di Soares, i moniti della Fifa e le minacce degli sponsor, ed anche i giocatori si piegarono alla ragion di Stato. I tifosi portoghesi, che non capivano i motivi di tanto astio, scrivevano lettere di fuoco ai giornali. Insomma, era l’ambiente giusto per fare cilecca in campo.

Il 3 giugno, invece, il Portogallo esordì contro l’Inghilterra e vinse. Gol di Carlos Manuel, proprio lui. Negli spogliatoi Futre disse: «Abbiamo battuto gli inglesi e umiliato la nostra federazione». Parole dure: e la tregua? Poi vennero le sconfitte per 0-1 contro la Polonia e per 1-3 contro il Marocco, ed i portoghesi ripresero la via di casa accompagnati dagli strilli e dai lamenti della critica.

Silva Resende, dopo tanta attesa, poteva infine consumare la sua vendetta, piatto freddo e gradito. Con l’aiuto di Rui Seabra, un avvocato che nascondeva la scure dietro concilianti sorrisi, tagliò tutti i rami. Fece piazza pulita, a cominciare da Torres. Vennero radiati 8 giocatori, Bento, Carlos Manuel, Diamantino, André, Jaime Pacheco, Joao Pinto, José Antonio e Sobrinho. Gli altri 14 per solidarietà rifiutarono le convocazioni.

Si aprì un periodo di crisi profonda per il calcio portoghese, che neppure una specie di amnistia a novembre riuscì a frenare, dato che non furono perdonati Bento, Carlos Manuel e Diamantino e che l’associazione calciatori rifiutò il compromesso. Solo Alvaro, terzino del Benfica, tornò a indossare la maglia della nazionale. Ma anche all’interno delle federazione cresceva l’opposizione alla linea dura di Silva Resende.

Una squadra a pezzi fu sconfitta dall’Italia a Lisbona nel febbraio del 1987, sulla strada dell’Europeo, e la situazione non si sbloccò. I ribelli di Saltillo erano ancora al bando. Soltanto a settembre dello stesso anno, dopo le elezione federali vinte con leggero margine da Resende, le cose cambiarono. Il presidente fu costretto a fare ampie concessioni all’avversario Romao Martins e a Stoccolma contro la Svezia, alla fine del mese tutti i ribelli, esclusi Bento e Carlos Manuel che non firmarono la pace, fecero ritorno in squadra. E il Portogallo vinse con un gol di Gomes.