PUGLIESE Oronzo: nel nome del Mago

A lui si ispirò Lino Banfi nel mitico «L’allenatore nel pallone»: dietro Canà c’era – in chiave comica – Oronzo Pugliese. Pirotecnico motivatore di squadre spesso modeste e fenomeno del calcio anni Sessanta, Pugliese ebbe una storia più cinematografica di un film.

Oronzo Pugliese è stato un’indimenticabile icona del calcio ruspante della provincia italiana, il sale nel piatto di un movimento cresciuto vistosamente nei centri metropolitani ma sommamente debitore a luoghi e personaggi dei centri più piccoli. Oronzo Pugliese, “il mago di Turi”, ha avuto gran parte in questi meriti, per il carisma, l’indelebile carica umana, persino la sintassi pittoresca, che ne dipingevano il ritratto di un donchisciotte coraggioso contro lo strapotere degli squadroni, nient’affatto privo peraltro di astuzia e competenza, ben mimetizzate dagli istrionismi utili a caricare tifosi e giocatori.

Era nato a Turi, un paesino della Puglia in provincia di Bari, il 5 aprile 1910 e sui campi dell’estrema periferia calcistica aveva consumato una dignitosa carriera di calciatore snodatasi dal 1929 al periodo bellico: Acquaviva Fonti, Casamassima, Benevento, Pro Gioia, Moffetta, Frosinone, Montevarchi, Potenza, SIME Popoli e in fine Siracusa, dove fu decisivo l’incontro con Gipo Viani per attivarne l’istinto di allenatore.

Veniva definito “vulcanico“, termine in voga nel calcio di qualche decennio fa e del tutto appropriato ad abbracciarne il torrenziale eloquio, quasi sempre a ugola spiegata, così come il frenetico agitarsi nel tentativo di convincere l’interlocutore. Un allenatore ideale per caricare la truppa a gettare il cuore oltre l’ostacolo, così come a schierare le pedine col chiodo fisso che già era stato del suo maestro Gipo: i più deboli possono sempre battere i più forti.

Avviata col Leonzio dal 1946 al 1952, la sua avventura prosegue a Messina dal 1952 al 1956, con tanto di promozione in B del club giallorosso, poi a Reggio Calabria, dal 1956 al 1958, con un’altra promozione, dalla D alla C. Nel 1958 la prima chiamata al Nord, al Siena, dove lo attende una delusione atroce.

Col conforto del presidente Nannini porta fino allo spareggio per la promozione in B una squadra di grande grinta, ma nell’atto conclusivo, a Genova contro il Mantova di Edmondo Fabbri (che diventerà “il piccolo Brasile” volando fino alla A) perde di misura, con la maligna convinzione che qualche giocatore si sia venduto la partita ad amareggiargli il pane per i due successivi tornei.

Nel 1961, per fortuna, lo chiama Mimi Rosa Rosa, presidente entusiasta di un Foggia ridotto ai minimi termini. C’è bisogno di entusiasmo e Pugliese ribolle di voglia e di idee. Arringa i giocatori e i tifosi, segue le azioni dei suoi correndo su e giù a fianco della corsia laterale, è un istrione ma anche un ottimo tattico e quel Foggia vola. Lo porta subito in B e poi in due stagioni in A dove Pugliese diventa personaggio, riuscendo a infliggere un memorabile 3-2 all’Inter del “Mago” Helenio Herrera.

E diventa “il mago di Turi” o “il mago dei poveri”, fino a venire insignito, nel 1964, del Seminatore d’Oro, il massimo riconoscimento per un allenatore, coronamento di una carriera ormai quasi ventennale che residua solo un rammarico: non avere la possibilità di allenare un grande club. Ci arriva vicino, però, l’anno dopo, quando Marini Dettino lo chiama alla Roma, che naviga in cattive acque finanziarie. In giallorosso Pugliese coglie tre dignitosi piazzamenti, prima di venire brutalmente spazzato via dall’arrivo del grande rivale, Helenio Herrera, che lo surclasserà quanto a ingaggio, ma non in fatto di risultati.

Da lì, nuove tappe importanti, in A: il Bologna (1968-69), il Bari, tanto desiderato (1969-70), che gli riserva però l’unico esonero della carriera, infine la Fiorentina (1970-71) e ancora il Bologna (1971-72): squadre bisognose dell’aiuto di un allenatore poco forbito, ma in gran sintonia con le battaglie sul fondo della classifica:

«Mi dicono che sono un allenatore provinciale. Che significa? Vuol dire forse che io la laurea non ce l’ho. La laurea in giurisprudenza o in qualche altra diavoleria del genere. No, non ce l’ho. Ma quella in… calcisticheria, sì che ce l’ho!».

Ma dopo la salvezza colta in terra emiliana gli si parò dinnanzi il fantasma del declino. Il calcio sembrava non trovare più spazio per un personaggio genuino come lui: Lucchese, Avellino, Termoli, Crotone le ultime tappe. Nel 1980 dovette farsi da parte e la notte del 31 dicembre 1982 durante il brindisi di fine anno un ictus ne spezzò definitivamente la prorompente vitalità, già minata dalla malinconia della disoccupazione.

Seguirono anni bui, sulla sedia a rotelle, amorevolmente curato dalla moglie Adelina, incapace di riconoscere amici e ricordi, ogni tanto solo fiammeggiando dallo sguardo come al balenare improvviso di frammenti del passato. Morì il 12 marzo 1990 per arresto cardiocircolatorio e le parole più dolci per lui le ebbe proprio Helenio Herrera, che aveva sempre considerato grande rivale e più volte battuto con le sue squadre tutte grinta.

Dal 2008 la cittadinanza di Turi ha creato in suo onore il Premio Nazionale per lo Sport “Oronzo Pugliese” e sempre nel paese natale, gli è stata dedicata la via che porta al campo sportivo comunale.