Poco prima della disgregazione dell’URSS, la Juventus di Gianni Agnelli fu vicinissima ad assicurarsi il centravanti prediletto dal colonnello Lobanovski. Uno dei più intriganti what-if del calcio sovietico.
Capitò l’11 febbraio 1989. Un quotidiano titolò a tutta pagina: «Juve-Protasov, che colpo!». E spiegava: «Manca solo il sì del ministro della Difesa. L’Avvocato ha convinto l’Urss grazie all’accordo-Panda: un affare da un miliardo di dollari». Ricordiamo che da qualche mese, con esiti peraltro insoddisfacenti, giocava nella Juve Aleksandr Zavarov, il folletto fantasioso della Dinamo Kiev e della Nazionale sovietica “laboratori” di Valeri Lobanovski. L’Impero, di cui si cominciavano a intravedere i primi sgretolamenti (il Muro di Berlino sarebbe caduto qualche mese dopo) sembrava promettere, una volta apertene le frontiere, una miniera di talenti.
La Nazionale falce e martello era in Italia per uno stage, ospitata ad Appiano Gentile dall’Inter; dove il colonnello Lobanovski spezzava il pane della sua scienza. Il centravanti di quella squadra, Oleg Protasov, vincitore di una Scarpa d’argento e di una di bronzo, era stato tra i campioni più attesi degli Europei del 1988. Aveva segnato solo due gol e soprattutto non aveva retto il confronto a distanza con Van Basten, suo rivale in finale. Ma sembrava destinato comunque a una grande carriera, per l’armonia tra la potenza fisica e la qualità tecnica, entrambe eccellenti.
Di Van Basten era coetaneo, essendo nato il 4 febbraio 1964, ma solo nel 1988 era passato alla Dinamo resa celebre dal colonnello Lobanovski. Alle spalle, aveva anni densi di gol nelle file del Dnepr Dnepropetrovsk, con cui aveva esordito giovanissimo nel 1982. In sei campionati aveva messo insieme la bellezza di 95 gol in 145 partite. Nel 1985, anno della Scarpa d’argento come secondo bomber d’Europa, aveva realizzato 35 gol in 33 partite. Un biglietto da visita che incastrato nel perfetto meccanismo di gioco della squadra ucraina prometteva scintille. Protasov godeva di grande notorietà da noi, avendo spazzato via l’Italia in semifinale nell’Europeo delle magiche serate di Vialli e Mancini.
In quel mese di febbraio 1989 era agli inizi della carriera professionistica: a 25 anni, dopo tanto dilettantismo (per lo meno ufficiale) era uscito dalla condizione di “studente”, diplomandosi alla scuola di educazione fisica e potendo finalmente percepire uno stipendio ufficiale, peraltro risibile. Ma lo “scoop ” non ebbe buoni esiti. Protasov non approdò mai alla Juve e la sua carriera non uscì da una pur luminosa mediocrità. Giocò fino ai Mondiali del 1990 nella Dinamo, mettendo insieme un titolo nazionale e una Coppa dell’Urss.
Fece fiasco nella manifestazione iridata italiana (tre presenze, zero gol e a casa) e si ritrovò solo con un’offerta allettante dalla Grecia. Lo voleva l’Olympiakos Pireo, allenato da Oleg Blochin, in cui giocava il suo connazionale Litovchenko, e accettò. Nelle file dell’Olympiakos Pireo tenne fede alla propria fama di goleador: in tre stagioni e mezzo, 80 presenze e 47 reti, e una Coppa di Grecia. Alla fine del 1993, nel pieno della sua stagione migliore (8 reti in 9partite), entrò in conflitto col club, che non gli voleva riconoscere emolumenti secondo lui previsti dal contratto.
Ne approfittarono i giapponesi del Gamba Osaka, per proporgli un lucroso contratto e Protasov si trasferì nel Paese dei Sol Levante, dove giocò fino al 1995. Nel complesso, una carriera che avrebbe potuto dare molto di più: cosa sarebbe successo se fosse arrivato alla corte degli Agnelli in quel lontano 1989?