Quando il Bayern rovinò l’addio a Cruijff

Le partite d’addio sono una festa, con risultati equilibrati e spettacolo per il pubblico. Ma nel 1978, davanti a 55.000 tifosi dell’Ajax, i tedeschi ignorarono la tradizione umiliando i padroni di casa con un clamoroso 8-0.

Amsterdam viveva giorni di febbrile attesa nel novembre 1978. Johan Cruijff, il genio del calcio totale, aveva annunciato il suo ritiro e l’Ajax aveva organizzato una serata che prometteva di essere memorabile. Lo stadio Olimpico, gioiello architettonico della capitale olandese, si preparava ad accogliere 55.000 tifosi, tutti pronti a salutare il loro eroe.

I biglietti erano andati esauriti in poche ore, e il mercato nero faceva affari d’oro. I tifosi più creativi avevano preparato striscioni elaborati, alcuni dei quali raccontavano la storia di Cruijff attraverso le sue gesta più memorabili: il “gol impossibile” contro l’Atletico Madrid, la “giravolta di Cruijff” che aveva lasciato di stucco i difensori svedesi, le tre Coppe dei Campioni consecutive.

Le radio locali trasmettevano ininterrottamente interviste e ricordi. I giornali dedicavano intere pagine all’evento. Si parlava di una partita-spettacolo, di un’esibizione che avrebbe permesso al maestro di salutare il suo pubblico con le giocate che lo avevano reso leggendario. I bar di Amsterdam erano pieni di gente che discuteva su quali sarebbero state le ultime magie di Johan.

Maier, Krol e Cruijff scherzano prima del match

Nessuno, proprio nessuno, avrebbe potuto prevedere che quella serata si sarebbe trasformata in uno degli episodi più controversi della storia del calcio europeo. L’aria festosa che si respirava per le strade della città stava per scontrarsi con una realtà molto più amara.

L’ospite indesiderato

Il Bayern Monaco non era stato scelto a caso come sparring partner per l’addio di Cruijff. Era l’altra grande dinastia europea degli anni ’70, il club che aveva raccolto il testimone dell’Ajax nel dominio continentale. L’arrivo della squadra tedesca ad Amsterdam, tuttavia, fu accompagnato da strani presagi.

Nei corridoi degli spogliatoi ospiti, quattro veterani stavano confabulando tra loro. Erano Paul Breitner, il ribelle dal passato maoista, Sepp Maier, il portiere carismatico, Gerd Müller, il bomber implacabile, e lo jugoslavo Branko Oblak. Il loro messaggio ai compagni più giovani era chiaro: questa non sarebbe stata una semplice partita-esibizione.

Breitner, in particolare, sembrava posseduto da uno spirito combattivo fuori luogo. Appena tornato al Bayern dopo esperienze al Real Madrid e all’Eintracht Braunschweig, portava con sé un bagaglio di contraddizioni: ex rivoluzionario convertito al lusso, polemista nato, cercava sempre lo scontro. Il Bayern stesso attraversava un periodo difficile in Bundesliga, con piazzamenti deludenti nelle ultime stagioni. Forse vedevano in questa “amichevole” l’occasione per riaffermare la propria grandezza.

La tensione era palpabile già dal riscaldamento. Mentre i giocatori dell’Ajax palleggiavano con leggerezza, i tedeschi si preparavano come se dovessero affrontare una finale di Coppa dei Campioni.

La tempesta perfetta

Cruijff tra Schawarzenbeck e Augenthaler

Il primo minuto di gioco fu come uno schiaffo in pieno volto per i 55.000 presenti. Un lungo rinvio di Maier sembrò innocuo finché un rimbalzo traditore non mise Gerd Müller nella condizione ideale per fare ciò che sapeva fare meglio: segnare. Il “bomber della nazione” non si fece pregare, trafiggendo la porta dell’Ajax con la freddezza che lo aveva reso leggendario.

Il giovane Ruud Kaiser, schierato come ala sinistra nell’Ajax, ricorda ancora il momento con amarezza: “Avevamo un piano semplice e chiaro: ogni pallone doveva passare dai piedi di Johan, volevamo che brillasse un’ultima volta davanti al suo pubblico. Ma ci trovammo di fronte undici guerrieri pronti alla battaglia“.

Il Bayern pressava con un’intensità fuori luogo per un’amichevole celebrativa. Ogni contrasto era al limite, ogni duello aereo una guerra. I tedeschi raddoppiavano sistematicamente su Cruijff, impedendogli di ricevere palla nelle sue zone preferite. L’atmosfera festosa dello stadio iniziò a mutare in preoccupazione.

Nemmeno i veterani dell’Ajax riuscivano a comprendere cosa stesse succedendo. Era come se il Bayern avesse deciso di trasformare una festa in una dimostrazione di forza. Il primo tempo si chiuse sul 2-0, ma il peggio doveva ancora venire.

L’umiliazione

Uno dei rari tentativi a rete di Cruijff

Il secondo tempo si trasformò in un incubo a occhi aperti per l’Ajax. Il Bayern, come una macchina perfettamente oliata, iniziò a macinare gioco con una precisione chirurgica. Breitner, libero di muoversi dalla difesa al centrocampo, sembrava essere ovunque. Rummenigge, con la sua velocità devastante, squarciava ripetutamente la difesa olandese.

I gol iniziarono a cadere con una regolarità impressionante. Il terzo arrivò dopo appena due minuti dalla ripresa, con Breitner che raccolse un rinvio sbagliato di Schrijvers. Il quarto fu un capolavoro di gioco corale: una serie di passaggi culminata in un colpo di tacco di Martin Jol per Dürnberger, che servì Rummenigge per un gol da antologia.

L’Ajax sembrava una squadra di fantasmi. Il centrocampo era completamente scomparso, la difesa commetteva errori da principianti. Ogni volta che il Bayern attaccava, lo stadio tratteneva il respiro, consapevole che un altro gol fosse nell’aria. E puntualmente arrivava.

Le triplette di Breitner e Rummenigge sancirono l’8-0 finale, un risultato che ancora oggi rappresenta la peggior sconfitta casalinga nella storia dell’Ajax. Il pubblico, passato dallo shock alla rabbia, iniziò a lanciare oggetti in campo. La festa per Cruijff si era trasformata in un’umiliazione storica.

L’Ajax schierato in quella “tragica” serata indossava una maglia commemorativa

Le ragioni della vendetta

Dietro questa inaudita dimostrazione di forza si celavano motivazioni complesse e stratificate. Alcuni giocatori del Bayern lamentarono un’accoglienza fredda e poco professionale: nessuno ad attenderli all’aeroporto di Schiphol, un hotel di seconda categoria, una generale mancanza di rispetto.

Ma c’era di più. Breitner riferì di aver sentito insulti nazisti dalla curva, risvegliando ferite storiche ancora fresche. Solo dodici anni prima, Amsterdam era stata teatro di violente proteste anti-tedesche in occasione del matrimonio della principessa Beatrice con un nobile tedesco che aveva militato nella Gioventù Hitleriana.

La vendetta sportiva giocava anche un ruolo fondamentale. Nel 1973, l’Ajax aveva umiliato il Bayern con un sonoro 4-0, una sconfitta che i bavaresi non avevano mai digerito. Come confermato da Kurt Niedermayer anni dopo, i veterani della squadra avevano quell’episodio “ancora ben impresso nella memoria“.

Il Bayern degli anni ’70 era anche una squadra che aveva fatto della professionalità spietata il suo marchio di fabbrica. Come sottolineava lo storico del calcio Uli Hesse, esisteva un “ambiente spietatamente professionale” nel club, dove anche le amichevoli venivano affrontate con la massima serietà.

Il silenzio del maestro

Cinque anni prima, il Bayern era stato umiliato dall’Ajax nei quarti di Coppa Campioni

Il vero protagonista della serata, Johan Cruijff, reagì all’umiliazione con una dignità che rendeva ancora più surreale l’intera situazione. Mentre lo stadio Olimpico si trasformava in un teatro di rabbia e delusione, con cuscini e oggetti che piovevano sul terreno di gioco, il maestro olandese manteneva una calma apparente che parlava più di mille parole.

Le telecamere lo ripresero negli spogliatoi, una sigaretta tra le dita, mentre sistemava metodicamente i regali d’addio sotto un gagliardetto del Bayern che sembrava quasi prendersi gioco di lui, elencando orgogliosamente i trionfi bavaresi. Il suo volto era una maschera impenetrabile, ma chi lo conosceva bene poteva leggere nei suoi occhi una miscela di delusione e rabbia repressa.

Per tutta la serata, Cruijff aveva cercato di illuminare il gioco come sapeva fare. Un colpo di testa sulla traversa, qualche assist non finalizzato, un paio di dribbling dei suoi. Ma il Bayern aveva sistematicamente soffocato ogni sua iniziativa, marcandolo stretto e raddoppiando su di lui ogni volta che toccava palla.

Solo anni dopo, Cruijff avrebbe rotto il silenzio su quella serata con una frase laconica ma carica di significato: “Non fu molto piacevole. Se li incontro di nuovo, li sistemerò io“. Una promessa di vendetta che non si sarebbe mai concretizzata, ma che rivelava quanto profondamente quella umiliazione lo avesse segnato.

Semi di rivalità

Quella gelida serata di novembre del 1978 piantò i semi di una delle rivalità più accese del calcio europeo. Anche se in quel momento i tedeschi, più concentrati sulla rivalità con l’Austria dopo l’eliminazione dal Mondiale ’78, non ne erano pienamente consapevoli, negli olandesi stava maturando un risentimento profondo.

L’8-0 divenne più di un semplice risultato: fu il catalizzatore di tensioni latenti tra due culture calcistiche. Le conseguenze si materializzarono negli anni successivi in modi inaspettati. Quando il Bayern tentò di ingaggiare il giovane talento Frank Rijkaard, si scontrò con un muro invalicabile: il suocero di Cruijff, che era anche l’agente di Rijkaard, bloccò la trattativa ricordando proprio quella maledetta serata.

La rivalità tra Germania e Olanda esplose definitivamente negli anni ’80, con episodi che entrarono nella storia del calcio: Ronald Koeman che si pulisce con la maglia tedesca dopo la vittoria agli Europei dell’88, lo sputo di Rijkaard a Völler ai Mondiali del ’90.

Trent’anni dopo, KarlHeinz Rummenigge sentì il bisogno di scusarsi pubblicamente per quell’8-0, ma Kurt Niedermayer rivelò che quelle scuse erano più un atto diplomatico che un reale pentimento: “Dimenticammo tutto non appena lasciammo lo stadio“. Ma gli olandesi, quello zero a otto, non lo dimenticarono mai.

Ironia della sorte, quello non fu nemmeno il vero addio di Cruijff. Come un grande attore che non resiste al richiamo del palcoscenico, il maestro olandese tornò a calcare i campi per altri tre anni: due con l’Ajax e uno, quasi per una beffa del destino, con il Feyenoord. Ma nessuna di queste performance successive riuscì a cancellare il sapore amaro di quella notte di novembre.