Quando marcavano Meazza nelle Case Chiuse

Ritiro, sesso, gol, fughe, scappatelle e altri piccoli peccati. Da Meazza in poi, la difficile convivenza degli assi del pallone con le regole ferree dei ritiri. Herrera e Rocco i precursori. Oggi le intercettazioni…


Lo aspettano. Si sfilano gli orologi dal panciotto, i dirigenti. L’avete visto? E’ arrivato? No. Ma come?, sono quasi le due… Fra un’ ora si gioca. Non c’è. Ma dove può essere finito. Incredibile, non può essere sparito, ieri sera aveva chiesto il permesso ai dirigenti e glielo hanno dato. Lui è di parola… era di parola…. Lui è Giuseppe Meazza, detto el Pepin.

Siamo nel 1937. Vigilia di Inter-Juve. I nerazzurri e i bianconeri sono tutti allo stadio. Tutti tranne Meazza. Il numero uno dei numeri uno. La stella, il cannoniere, il divo, il campione, quello con lo stipendio più alto e l’automobile più bella. Meazza centravanti dell’ Ambrosiana Inter è atteso e tutti sono in ansia. Raccontano che quelli della Juventus già si fregavano le mani e si guardavano intorno con aria furtiva. Eh eh… se non arriva… Non arriva e il panico già serpeggia. Non si sarà mica fatto male? Ah, quella maledetta automobile… Lui va forte, gli piace guidare, andare in giro. Ma ieri era sabato e lo sapeva che c’era la Juve, lo sapeva. Disperazione negli spogliatoio dell’Inter.

Poi, senza dire nulla a nessuno, il massaggiatore sale con un accompagnatore su un auto e prende la direzione del centro. Entrano, i due, in una rinomatissima casa chiusa, in quei tempi casino. Forse è lì. A lui piacciono le donne. El Pepin non sa resistere, è giovane e voglioso. Oddio, potrebbe permettersi altre cose, ma lì è più tranquillo. Lo trovano. Pepin Meazza è ancora a letto. Sono passate le 2 e lui dorme profondamente. Giurano di averlo sentito anche russare. A quell’ora. Lo svegliano, lo portano allo stadio, senza che si lavi la faccia. Dài, forza, sbrighiamoci, dài che ce la facciamo.

Pepin, in confidenza con il massaggiatore, racconta di una pesante notte amorosa. Adesso come ti senti, Pepin? Raccontano che nell’ automobile, seduto dietro, si era stiracchiato: un leone, mi sento. Un leone. Il leone Pepin entra negli spogliatoi, gli infilano al volo la sua maglia numero 9. Pepin Meazza va in campo e gioca e segna. Segna due gol contro la Juventus. E’ il migliore in campo, l’Inter vince e poi vincerà lo scudetto. Juve seconda. Il presidente e i dirigenti lo accarezzano: ci hai fatto quasi prendere un colpo. E lui: tranquilli, el Pepin non tradisce.

Non tradisce i suoi compagni, i suoi dirigenti, i suoi tifosi e le sue amanti. Tante. Ne aveva tante, el Meazza. Non gli pesavano. Era solo infastidito dai ritiri (si fa per dire), dal sabato tutti insieme. Lui amava il calcio e la vita. E’ diventato un maestro di calcio, un insegnante. Adesso lo stadio di Milano, zona San Siro, si chiama Stadio Meazza. Ritiro, sesso, gol, fughe, scappatelle e altri piccoli peccati.

Negli anni Trenta, grondanti di moralismo fascista, i calciatori – raccontano i memorialisti – in quanto a libertà sessuale se la passavano (e spassavano) meglio. Erano ricchi, alti e forti, avevano tutto. Come negli anni Quaranta e Cinquanta e Sessanta. Sino ad arrivare alle epoche di Helenio Herrera e Nereo Rocco. Scappavano dagli alberghi e dai ritiri per finire in altri alberghi e in altri ritiri.

Antonio Valentin Angelillo

L’Inter di Helenio Herrera detto il Mago è spesso stata al centro di chiacchiere e pettegolezzi. Il Mago era severo, controllava e faceva controllare. La sera, il sabato sera, quando la febbre del desiderio era più alta di quella della partita, il Mago ordinava ispezioni e agguati e trabocchetti. Appello contrappello, giro delle camere, sono le dieci e tutto va bene. Dentro questo miscuglio di piccole storie e di fughe e di tentativi di fughe, entrano di diritto Antonio Valentin Angelillo e la ballerina Ila Lopez. Ma quella era anche una bella storia d’amore, non gradita, non accettata dal Mago, fustigatore – allora – di costumi. Degli altri.

Angelillo è costretto a lasciare anche, soprattutto, per la scottante relazione. Ma quella era una scusa bella e buona: non gli piaceva, Angelillo. Non gli piaceva come giocatore e allora tutti gli agganci era buoni e utili. Questo ad Appiano Gentile, in provincia di Como.

Dall’altra parte, in provincia di Varese, Milanello, anche i rossoneri avevano i loro problemini. Nereo Rocco, el Paron, era un finto tollerante. Con lui non scappava nessuno, ricordano. Era molto discreto e faceva sorvegliare a distanza. Anche sotto il profilo alimentare. Di notte i giocatori scendevano nelle cucine e prendevano d’assalto le dispense. Sono stati trovati spesso con le mani nel sacco. Con dei paninazzi di mortadella in mano. Era il medico, il giovane dottor Giovan Battista Monti, incaricato a scovarli e riportarli a letto. Erano i tempi del fumetto Diabolik, e Monti venne ribattezzato Ginko, l’ispettore, quello che dava la caccia a Diabolik. E lo ancora, per i vecchi amici: il dottor Ginko.

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Bruno Mora

Ginko però nulla poteva contro le bramosie d’amor di Bruno Mora. La focosa ala destra piaceva alle donne e le donne piacevano a lui. Prendeva e andava. Poi tornava sereno, fresco e libero. Rocco, chiedeva: el mona xe tornado? Sì, paron. Bene, siamo a posto. Rocco era così. Anche lui tornava tardi, dall’Assassino, dopo robuste mangiate e sobrie bevute. Capiva, sapeva, comprendeva. Non come quel mona de Mago, dirà. In quell’Inter, del Mago, c’era Armando Picchi il severo Armando Picchi che poi diventerà l’allenatore della Juve. Un giorno Helmut Haller scappa dal ritiro e Picchi va a prenderlo e lo riporta a casa per un orecchio. Il ribelle Sivori non è mai scappato. Si racconta che una sera, un sabato, una giovane è entrata, non si sa come, nella sua camera e lui l’ha fatta cacciare.Poi le recenti storie di Gullit. Ruud non scappava: lo lasciavano andare. Era un purosangue, quando gli venivano gli attacchi partiva al galoppo e al galoppo ritornava. Come Pepin Meazza. Fuoriclasse dentro e fuori il campo.