Quei Bidoni a cavallo degli anni 2000

All’epoca delle “sette sorelle”, tra i novanta e il duemila, pare che i nostri Presidenti diedero vita ad un contest per aggiudicarsi il bidone più clamoroso…


Mendieta: Novanta miliardi svaniti in una notte

La notte del 19 giugno del 2001, all’esterno dell’hotel Majestic in via Veneto, il presidente della Lazio Sergio Cragnotti annunciò il colpo di mercato dell’estate: Gaizka Mendieta. Il centrocampista basco, acquistato dal Valencia, costò novanta miliardi delle vecchie lire e un ingaggio di 8 miliardi per cinque anni. E nel contratto fu inserita una clausola che impediva di cedere Mendieta al Real Madrid pena il pagamento di una forte penale. Fu probabilmente il peggior affare mai realizzato da una squadra italiana sul mercato internazionale. Mendieta fu osannato come un fenomeno, ma in serie A «toppò» clamorosamente. Tecnica raffinata e ottima visione di gioco, si mise in mostra nel Valencia di Cuper. Inquietante il suo rendimento alla Lazio: 20 presenze e nessun gol. Ancora oggi i tifosi della Lazio non vogliono più sentirlo nominare.


Vampeta: quel baffetto da copertina osée

Dalla fusione tra un vampiro e un diavolo ne è uscita un’icona gay. Nel calcio si dice Vampeta. Nell’anno di grazia (ricevuta) 2000 comparve all’Inter con baffetti da far impallidire Sandro Mazzola e pettinatura da far ingelosire Quaresma. Costò la bazzecola di 30 miliardi di lire. Per lui garantiva Ronaldo. Poi si scoprì che, per altri versi, non era il suo tipo. Un magazine brasiliano, gradito a omosessuali e donne guardone, pubblicò la sua nudità dentro la rete di una porta e con la pelle lucidata da strani olii. Il nome era uno scioglilingua, Marcos André Batista Santos, il suo giocare italiano un mistero. Giocò 72 minuti a Reggio Calabria, dove l’Inter perse. Poi Lippi se ne andò e Tardelli lo spedì in tribuna. In novembre l’ultima esibizione con disastroso 6-1 subito dal Parma in coppa Italia. A gennaio i saluti a cui seguirono accuse e critiche.


R.Oliveira: La stella diventata il Calloni del Duemila

Era la carta di riserva del Milan appena uscito dal ciclone Calciopoli quasi indenne nell’estate del 2006: il patron Berlusconi non aveva autorizzato la spesa per Ibrahimovic (finito all’Inter) e il Real Madrid non aveva ancora maturato l’idea di cedere Ronaldo. Perciò Galliani e Braida, da Madrid, s’infilarono su un treno veloce per Siviglia dove riuscirono ad acquistare per una cifra impegnativa (17 milioni di euro, poi recuperati 14) Ricardo Oliveira. Si presentò tra squilli di tromba: gol alla Lazio, di testa, nel debutto a San Siro, appena entrato dalla panchina. Sembrava una nuova stella, venne presto oscurata dai suoi ritardi e dai suoi limiti, temperamentali più che tecnici. Sbagliò di tutto e di più nelle rare occasioni in cui venne chiamato da Ancelotti a giocare tanto da meritarsi l’etichetta di Calloni brasiliano.


Athirson: Il pappagallo triste che ingannò Moggi

L’ha dimenticata lui, prima di noi: l’esperienza in Italia, casa Juve. Per allenatori Ancelotti e Lippi, non due frilli qualsiasi, che l’hanno visto, provato e messo da parte. Infatti sul sito di Athirson Mazzolli de Oliveira non compare traccia della permanenza italiana. Luciano Moggi avrà fatto mea culpa? Arrivato con la fama di terzino alla Roberto Carlos, anzi dell’erede designato, suggerito da Omar Sivori, se n’è andato (gennaio 2002) con soprannome che dice tutto: il pappagallo triste. Pappagallo per loquacità e simpatia. Triste per le illusioni perdute. Anziché correre sul campo, si è dedicato a correre al centro «Viva Lain», dove massaggiatrici a luci rosse gli toglievano la tristezza. Il suo nome è comparso sulla lista degli inquirenti. Alla Juve sono rimasti danni e beffa: per rescindere il contratto fu costretta a pagare una penale di 2,3 milioni di euro.


Trotta: Arrivò con Bianchi e fu cacciato con lui

Era un uomo di fiducia di Carlos Bianchi in quel Velez che a sorpresa vinse la Coppa Intercontinentale battendo nella finale di Tokyo niente meno che il Milan di Capello. Così nella stagione 1996/97, quando il compianto presidente della Roma Franco Sensi scelse «El Jefe» (il capo in argentino) per la panchina giallorossa, Bianchi volle portare con sé il difensore dal gol facile Roberto Luis Trotta. Quindici miliardi delle vecchie lire il costo dell’operazione, soldi buttati al vento. Sei presenze e moltissimi fischi fu il bilancio del «conductor» (il suo soprannome appena arrivato nella Capitale) poi, alcuni dicono diplomaticamente, si fece la bua al ginocchio e non giocò mai più in giallorosso, lasciando pochi rimpianti. In realtà dopo l’esonero di Bianchi a gennaio, anche Trotta fu provvidenzialmente allontanato dal club giallorosso.


De La Pena: Da Piccolo Buddha a grande mistero

Al tramonto dell’8 luglio 1998 il piccolo Buddha (soprannome legato alla sua presunta genialità in campo) si materializza dal balcone della palazzina di Formello e benedice la folla di duemila fedeli. Ivan De la Pena saluta con l’aria di chi è capitato lì per caso, non al termine di una delle trattative più estenuanti della storia laziale. Di scuola Barcellona, nel ’98 fu ceduto alla Lazio (45 miliardi il costo dell’operazione, al calciatore ingaggio di 6 per 4 anni): vinse la Supercoppa italiana, anche se nel resto della stagione non lasciò grandi tracce. Buon dribbling e tecnica individuale, ottima visione di gioco, ma estremamente lento. Nel 1999 fu ceduto al Marsiglia e poi tornò al Barca. Ma nel 2001 fu di nuovo in biancoceleste diventando ben presto un «oggetto misterioso»: non giocò neanche nelle amichevoli. E dopo un anno il divorzio definitivo.


Javi Moreno: L’uomo più veloce nel fare le valigie

Non era granché l’appellativo: lo ribattezzarono «topone» per quel musone che preannunciava scarsa fiducia nei propri mezzi. Non era granché neanche come centravanti Javi Moreno arrivato con l’infornata di calciatori provenienti dal mercato spagnolo, sulla scia di Josè Mari e Contra: le sue performances furono rare e segnate da pochissimi gol, nove in tutto tra campionato (doppietta al malcapitato Venezia), coppa Italia (si accanì contro la Lazio) e Uefa (decisivo il sigillo per la qualificazione a Lisbona). Concluse la sua carriera rossonera in una sfida contro la Juve dove giocò per l’assenza di Inzaghi nel frattempo ko: si capì allora la sua consistenza. Non era da Milan, da grande squadra. Ebbe un solo merito: appena gli chiesero di fare le valigie non esitò un istante né se la prese col destino cinico o con la stampa.


Fabio Junior: Il nuovo Ronaldo ma solo nel contratto

Lo avevano ribattezzato «il nuovo Ronaldo», ma di fenomenale ebbe solo il contratto spuntato a Sensi: 5 anni e mezzo, a due miliardi netti a stagione. L’attaccante brasiliano Fabio Junior sbarcò a Roma nel gennaio del 1999: Zeman si vide recapitare questo ragazzone con la faccia triste, pagato 30 miliardi al Cruzeiro. Ma Fabione ci mise poco a diventare una meteora: facile da prendere, difficile da rispedire al mittente tanto che l’attaccante fece il «pacco postale» fino al gennaio 2003 quando passò all’Atletico Mineiro grazie ad una lettera scritta di suo pugno. Grosso, tecnica approssimativa, impacciato nel controllo di palla, a disagio nella corsa: altro che nuovo Ronaldo. Confermato per un altro anno fra gli sfottò dei laziali, Fabione non si ambientò mai. Poi il divorzio, con vitalizio giallorosso per 4 anni.


Esnaider: Due reti in tre anni e mai in campionato

Cosa dire di un attaccante che, in tre stagioni, gioca 26 partite e segna due gol? Un bel bidone dai piedi a ferro da stiro. Ecco il ritratto di Juan Eduardo Belen (sì, questo è il caso di pensare alla bella e alla bestia) Esnaider, arrivato alla Juventus nel 1998 con una frase che segnerà una storia: «Ringrazio per avermi preso, la mia vera carriera comincia qui». Senza aggiungere: e grazie per lo stipendio di tre miliardi all’anno. Arrivato dalla Spagna, dove aveva toccato Real Madrid e Real Saragozza, venticinquenne con la fama di goleador dal brutto carattere, si è mangiato occasioni. Capigliatura da uomo delle caverne, presenza prevalente nelle amichevoli, realizza una rete in coppa Italia e una in coppa Uefa contro l’Omonia Nicosia. A Saragozza aveva vinto qualcosa, a Saragozza è tornato per scoprire la via del tramonto.


Carini: Il portiere che valeva più di Cannavaro

Se passi all’Inter in cambio di Cannavaro, devi essere un campione. Invece Fabian Carini, stella uruguaiana spedita a Milano nel 2004, è riuscito ad essere ancora più speciale: nessuna presenza nella Juve, solo quattro nell’Inter, portiere di belle speranze e scarsa credibilità per gli allenatori. Un affare per chi se ne liberava. Nessuno capirà mai, se non per ragioni di plusvalenze, questo lasciarsi prendere al laccio dall’Inter. D’accordo, i medici raccontavano che Cannavaro soffriva di microtraumi e non ce l’avrebbe mai fatta a tornare un giocatore a pieno regime. E si è visto! Ma scambiarlo per il quarto portiere della Juve… Era arrivato in Italia per diventare l’erede di Van der Sar, non ha mai convinto gli allenatori nel suo gestire la porta: discreto fra i pali, meno nel resto. Dicevano fosse un pararigori: ha lasciato traccia parandone uno ad Amoruso.