Rampulla, un gol per ricordo

«Quando un portiere fa gol è difficile da dimenticare: è il sogno di ogni numero uno».

Michelangelo Rampulla all’archivio consegna una carriera lunga 19 stagioni e dipanata tra Varese, Cesena, Cremonese e Juve: oltre 400 partite giocate sui campi di A e B e del resto del mondo e 10 maglie azzurre delle Nazionali Giovanili. Ufficialmente mette in bacheca una serie impressionante di trofei: 3 scudetti, 1 Champions League, Coppa Intercontinentale, 1 Supercoppa Europea, 1 Coppa Uefa, 1 Coppa Italia, 1 Super-coppa Italiana.

Se li è guadagnati con la maglia bianconera fra il 1992 e il 1999 disputando oltre 50 incontri di campionato, Coppa Italia e Coppe europee e per il resto incitando i compagni dalla panchina: a 30 anni infatti Rampulla iniziò il mestiere di vice-Peruzzi. Un anno prima aveva rifiutato l’Inter dicendo che non aveva nessuna voglia di fare il “secondo” a qualcuno. Ma un anno prima non era ancora successo l’evento che lo avrebbe proiettato nella leggenda del calcio nazionale e che poi lo avrebbe fatto sentire appagato.

Michelangelo Rampulla infatti è stato il primo portiere italiano ad aver segnato un gol su azione. E il giorno che fece il colpo disse: «Non ho mai provato una sensazione così meravigliosa». Successe il 23 febbraio 1992, indossava la maglia numero uno della Cremonese, giocava contro l’Atalanta, al 91’ segnò di testa il gol del pareggio (1-1). Qui vogliamo ricordare come nacque quell’impresa.

Rampulla è uno di quei portieri che ha sempre avuto l’istinto del gol. Punizioni e rigori lo hanno sempre affascinato, così come la possibilità di buttarsi in una mischia e tentare di sorprendere il collega avversario. Non che aspirasse a diventare il Chilavert o l’Higuita italiano, però qualche volta avrebbe voluto provarci. Tanto più che in allenamento era infallibile. Conoscendo questa sua mania, compagni e allenatori talvolta lo hanno assecondato.

Nel 1990, con la Cremonese a Piacenza, si era spinto in avanti al 90’, aveva colpito bene di testa ma il portiere aveva respinto. Prima, nel 1985, col Cesena aveva calciato un rigore al Monza ma aveva tirato fuori. Due esperimenti falliti, che lo avevano convinto a limitare al campo di allenamento queste sue esibizioni e a sfogare la sua voglia di gol in partitelle non ufficiali: pochi mesi prima dell’evento, nel match fra la Nazionale Portieri e quella dei cantanti aveva giocato da numero 10. Poi, quella domenica contro l’Atalanta.

La Cremonese era sotto di un gol, glielo aveva segnato su rigore Bianchezi. Gli assalti dei grigiorossi alla porta bergamasca, difesa da Ferron, non avevano sortito alcunché. Si avvicinava la fine e il risultato non si schiodava dall’1-0: era la 22.a giornata, la Cremonese si trovava sul fondo della classifica e all’orizzonte già aleggiava il fantasma di una nuova retrocessione. Fu lì che Rampulla decise di dare ascolto al suo cuore. Raccontò: «Perso per perso, e visto che l’Atalanta non riusciva a raddoppiare e che i miei colleghi d’attacco non riuscivano a tirar fuori un ragno dal buco ho preso l’iniziativa».

Ci provò una prima volta, quando alla sua squadra fu assegnato un calcio d’angolo. Fece un cenno al mister Giagnoni, chiedendogli il permesso di correre sotto la porta avversaria. In allenamento succedeva spesso che il portiere partecipasse a qualche attacco. Il buon Gustavo acconsentì, non aveva più niente da perdere. Ma Gualco calciò dalla bandierina con troppa fretta e Rampulla, che era già arrivato a metà campo, dovette fare una precipitosa marcia indietro.

Pochi minuti dopo, altro angolo per i grigiorossi. Questa volta i compagni di Rampulla puntarono decisamente sulla sorpresa, visto che il loro portiere era intenzionato a fare la sua parte sotto la porta avversaria. Chiorri si aggiustò il pallone il tempo necessario a permettere a Rampulla di attraversare il campo. Aveva chiesto di nuovo a Giagnoni il permesso di abbandonare l’area e aveva detto a Giandebiaggi di coprirgli le spalle, non si sa mai… La folla, come sempre fa in queste occasioni, seguì attentamente i movimenti del portiere. Qualcuno improvvisò anche una scommessa: io dico che fa gol, io dico invece che Ferron respinge, l’Atalanta va in contropiede e segna il 2-0.

I giocatori erano quasi tutti ammassati sul primo palo, Rampulla si spostò verso il secondo, dove c’erano solo gli atalantini Bianchezi e Nicolini. Chiorri mirò decisamente al proprio compagno, un cross teso che sorvolò il grumo di uomini appostato sulla sinistra della porta. «Attenti al portiere!!!», urlò Bigliardi quando (troppo tardi) si accorse dell’irruzione di Rampulla. Tutti si voltarono a guardare Ferron che stava valutando l’eventualità di uscire a respingere. Ma il portiere cui bisognava prestare attenzione non era Ferron, bensì Rampulla. Che colpì la palla di piena fronte e la mandò in rete. Era il 91’ e fu l’1-1.

Mai vista una cosa del genere in Italia, mentre dall’estero era giunta l’eco di simili imprese del polacco Tomaszewski, del camerunense Bell, del colombiano Higuita o del paraguaiano Chilavert. Da noi fino ad allora aveva fatto gol un paio di portieri ma su rigore: il mitico Lucidio “Cochi” Sentimenti, detto Sentimenti IV e Rigamonti del Como. Pagliuca, allora della Sampdoria, ogni tanto sul finire delle partite perse, si buttava alla disperata nell’area avversaria ma il colpo grosso non gli era mai riuscito, così come a Terraneo del Lecce.

Fu festa grande, attorno a Rampulla, per quella storica impresa. I giornali – bontà loro – lo gratificarono di un 8 in pagella, non avendo capito l’importanza di quel gol: quella volta avrebbero dovuto mollare un 10. Il complimento più apprezzato gli venne dal portiere avversario, Ferron, che si disse stupito per quel gesto atletico e anche orgoglioso per la categoria dei numeri uno. Lui, Michelangelo, si schermì in modo ironico. Erano i giorni in cui l’International Board stava per ratificare la norma secondo cui il portiere non può raccogliere con le mani il retropassaggio di un compagno. Disse: «In fondo il mio gol è una rivincita contro il nuovo regolamento così penalizzante per noi portieri. Vogliono trasformarci in giocatori esattamente come gli altri? E allora noi andiamo a segnare i gol».

Nonostante la prodezza di Rampulla e quel punto incamerato in modo così insolito, quell’anno la Cremonese non evitò la serie B. E la Juventus del Trap e Boniperti ingaggiò il portiere della Cremonese, come secondo di Peruzzi. Questa volta Michelangelo accettò la prospettiva della panchina: ormai aveva scolpito a lettere maiuscole il proprio nome nella storia del calcio italiano.